Renzi rompe con gli ex alleati e favorisce questa strada
Perché Mattarella ha scaricato Giuseppe Conte e scelto Mario Draghi
Il Conte 2 è finito. Il Conte ter non ci sarà più. Tocca adesso al governo del professor Mario Draghi. Un governo istituzionale “di alto profilo e senza formule politiche” che nasce per volontà del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Al Parlamento e ai partiti, tutti, il Capo dello Stato chiede il più largo sostegno. Da mesi una larga fetta del paese voleva questa soluzione. Sempre tenuta coperta. Ma, come si vede, sempre coltivata. Mario Draghi è il nome con cui tutto il paese e su cui tutto il Parlamento dovrebbe ritrovarsi. Esulta Matteo Renzi che in questi mesi ha condotto la crisi passo dopo passo verso questa direzione.
Si chiude così l’avventura di Giuseppe Conte caduto per troppa arroganza e sicurezza di sé, due ingredienti che gli hanno impedito di vedere e di capire come lo stallo nell’azione di governo da lui stesso troppo a lungo tollerata fosse diventata insostenibile. E perniciosa per il destino del paese. Mattarella, che ha seguito dal Colle passo passo l’evoluzione della crisi, ha voluto ancora una volta parlare alla Nazione per spiegare le sue decisioni. Il fallimento dell’esplorazione per cui ha ringraziato il Presidente della Camera Roberto Fico, ha portato la crisi davanti ad un bivio: andare subito al voto; dare vita ad un governo in grado di portare il paese fuori dalla crisi sanitaria ed economica. Nel suo discorso Mattarella ha spiegato, rivolto a tutti coloro che in queste settimane hanno invocato le urne, perché non è possibile andare adesso al voto e quindi passare i prossimi 3-4 mesi senza un governo nel pieno delle funzioni. Serve un esecutivo invece che prenda subito in mano la situazione. Prima di tutto per la pandemia: il piano delle vaccinazioni non va come dovrebbe; il rischio contagi nelle affollate campagne elettorali.
Poi per la grave crisi sociale: il paese è in ginocchio, il 31 marzo scade il blocco dei licenziamenti, servono misure urgenti per il lavoro e l’impresa. Infine, serve un governo nel pieno dei suoi poteri perché le scadenze europee sul Recovery plan non consentono più di perdere neppure un giorno. Non resta quindi che il Governo del Presidente. Mario Draghi salirà al Quirinale a mezzogiorno. Era il jolly che Mattarella ha sempre tenuto nella manica. È anche, è bene dirlo, l’ultima occasione per l’Italia. Le parole del presidente esploratore sono state inequivocabili e hanno consegnato la foto di una missione fallita. «Allo stato attuale permangono distanze tali per cui non ho registrato l’unanime disponibilità di dare vita a una maggioranza» ha detto il presidente della Camera dopo 40 minuti di colloquio con il Capo dello Stato.
La salita al Colle dell’esploratore Roberto Fico per comunicare il fallimento della sua missione chiude un’altra giornata sulle montagne russe. Con continui ribaltamenti di fronte. E ricca di indizi per le prossime settimane. In mattinata il Conte ter dato per spacciato. All’ora di pranzo in risalita nelle quotazioni. Nel primo pomeriggio di nuovo in discesa e poi di nuovo in ascesa. Un saliscendi parallelo alle notizie che filtravano dai due tavoli della trattativa. Quello sul programma nella sala della Lupa a Montecitorio. E quello “telefonico” che ha proceduto parallelo in queste ore con Franceschini nei panni di mediatore tra i leader, da Renzi a Zingaretti, da Roberto Speranza a Giuseppe Conte, interpellato – anche lui come leader e parte – quasi più di Vito Crimi. E già questo la dice lunga sulle condizioni del gruppo parlamentare 5 Stelle che ieri ha perso un altro pezzo importante, il giornalista e deputato Emilio Carelli transitato in un gruppo che sembra guardare più a destra che a sinistra.
Alle sette di sera il tavolo del programma ha sciolto la seduta con una fumata più nera che grigia. L’esploratore Fico ha fatto un ultimo giro di tavolo con tutti i gruppi della maggioranza, il pentapartito individuato come possibile sostenitore del Conte ter, Pd, Iv, M5s, Leu, le Autonomie e i nuovi Responsabili del Centro democratico di Bruno Tabacci. Nelle mani del presidente della Camera che ha usato in queste 48 ore tutte le migliori maniere per favorire un accordo, sono rimaste però solo parole. Non c’è il cronoprogramma dettagliato nei tempi e nei contenuti come voleva Italia viva «perché senza questo strumento la crisi non risolve lo stallo». I 5 Stelle non l’hanno voluto perché sarebbe stato un’umiliazione per Conte. «Incostituzionale visto che il programma è compito del Presidente del Consiglio» ha provato a spiegare Davide Crippa, capogruppo M5s alla Camera. Non c’è stato neppure il verbale della seduta che comunque avrebbe ratificato una sorta di accordo politico sui temi che al momento però non c’è. Non c’è traccia infatti di quella “discontinuità” nei temi e nei nomi della squadra che Matteo Renzi aveva chiesto come segno di una vera svolta nell’azione del nuovo governo. «Sarebbe inutile e inspiegabile aver fatto tutto questo senza una evidente discontinuità tra Conte due e Conte ter» spiegava ieri sera una fonte di Italia viva.
L’accordo non si trova. Il verbale non viene firmato. E finisce con un nulla di fatto anche la call pomeridiana tra Renzi, Franceschini, Zingaretti, Speranza e Crimi. «Distanze incolmabili» è il verdetto di Maria Elena Boschi quando lasciano la Sala della Lupa. «Non è un problema di verbale o accordo di programma. Il problema sono le distanze e nessuno, neppure Fico, ci ha posto una questione relativa o meno a Conte». Davide Faraone la mette così: «Con questi presupposti si rischia la moviola di un film già visto. Ora la strada si fa più stretta». Subito dopo sfila Loredana De Petris in delegazione con Federico Fornaro per Leu. «Se non ci sono notizie da altri tavoli – e al momento non mi pare ci siano – il Conte ter non ha i numeri per andare avanti». La situazione ora è “difficile” e il voto sarebbe “l’unico sbocco alla crisi”. Tabacci, che tanto ha lavorato per arrivare fin qua, non si ferma neppure con i cronisti.
Più aperturisti Marcucci e Delrio, i capigruppo del Pd. «Le distanze ci sono, è vero, anche per noi, ma non sono incolmabili. Siamo convinti che un presidente incaricato avrebbe margini per ricucire e trovare una sintesi». Che da quel momento è passata nelle mani del Presidente della Repubblica dove l’esploratore Fico è salito alle 20 e 30 con tanta buona volontà ma anche il fallimento della missione. Comunque vada i 5 Stelle escono ancora più malconci da questo ennesimo giro di giostra. I capigruppo Crippa e Licheri, collegati costantemente con il capo politico facente funzioni Vito Crimi, hanno detto no ad ogni richiesta – giustizia, lavoro, industria, investimenti, opere pubbliche, Inps, reddito di cittadinanza – costringendo Italia viva in un angolo e provocando la rottura arrivata nel pomeriggio dopo due giorni di rimbalzi. «Bonafede, Mes, Scuola, Arcuri, vaccini, Alta velocità, Anpal, Reddito di cittadinanza, su tutto questo abbiano registrato la rottura. Non su altro. Prendiamo atto del niet dei colleghi della ex maggioranza» ha twittato Matteo Renzi mentre dalla sala della Lupa saliva la fumata più nera che grigia. Non hanno capito, i delegati al tavolo, che in questo genere di trattative è necessario lasciare una via di fuga a tutti i partecipanti. Un modo perché tutti possano dire alla fine di aver vinto.
Questa rigidità miope («avevamo premesso che non avremmo mosso un passo rispetto ai nostri temi identitari» ha commentato alla fine Licheri) ha diviso i gruppi parlamentari. Emilio Carelli ha motivato la sua uscita con parole dure: un Movimento che «ha perso la sua anima»; costretto a vedere «troppe volte scelte e persone sbagliate e incompetenti» rispetto alle quali è «rimasto inascoltato»; per non parlare del «triste spettacolo di queste ultime settimane con il tentativo di compravendita di singoli parlamentari delle opposizioni o dei gruppi minori per garantire la maggioranza risicata ad un governo che i voti non aveva più». E per finire anche «l’inadeguatezza del piano di attuazione del Recovery fund». Non è un mistero che nell’ultimo mese Carelli avesse indicato la via del governissimo e del dialogo con Italia viva e Renzi come l’unica soluzione possibile per dare al Paese un governo in grado di gestire crisi economica e sanitaria. Adesso ha creato la componente del Centro-Popolari italiani («giù le mani da quel nome» ha avvisato Pierluigi Castagnetti), più o meno dalle parti del centrodestra, e spera che molti scontenti del Movimento facciano il passo che meditano da tempo.
Dopo l’addio di Carelli (intorno alle 15), le chat del Movimento sono impazzite. Polemiche per i capigruppo al tavolo della Lupa che trattavano «in nome e per conto di non si sa bene chi», la denuncia di «scarsa collegialità nelle decisioni». E polemiche anche per la miope rigidità. «Dovevamo, potevamo mollare su qualcosa» ha scritto la deputata Dieni. Carelli era anche in pole per un posto nel Conte ter. Nel primo pomeriggio ha scommesso, prima di altri, sul fallimento della terza edizione del governo del Professore e se n’è andato. Pare che Salvini abbia brindato alla notizia. Fonti di centrodestra confermano che da tempo la Lega sta lavorando alla creazione di un gruppo centrista che possa diventare la nuova casa di chi non vuole più stare in Forza Italia. Un gruppo che copra il “centro” della Lega. Un gruppo con funzioni di “cuscinetto” che, se cresce, potrebbe anche essere lo strumento di un ribaltone in danno di un governo di centrosinistra e a favore di un governo di centrodestra.
Il quadro politico in Parlamento è scomposto e molto fluido. Ecco anche perché la strada del governo del Presidente è questo punto anche la via d’uscita più sicura per il Paese. Una maggioranza larga, con dentro più o meno tutti i gruppi parlamentari, per portare il Paese fuori dalla pandemia e farlo ripartire.
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