Leggete questa breve dichiarazione rilasciata da un altissimo magistrato, qualche settimana fa, nel corso di un convegno: «Bisogna procurarsi la fiducia della collettività, perfino dell’imputato. Bisogna abbandonare gli atteggiamenti incompatibili con questa professione e prendere atto che la magistratura è chiamata a svolgere un ruolo di responsabilità rispetto al funzionamento complessivo del sistema». L’ autore di questa dichiarazione assai saggia – e sicuramente in linea con le prime decisioni del nuovo governo e con gli orientamenti del nuovo ministro è Giovanni Melillo, Procuratore di Napoli, magistrato molto esperto e stimato, ora candidato alla superprocura antimafia.

Tenete a mente queste parole, perché tra qualche riga ci torniamo. Ora cambiamo scena. Vi parlo di un processo che conosco abbastanza bene perché l’imputato principale è un mio amico, ed è anche l’editore di questo giornale. Alfredo Romeo. Al processo che è in corso a Napoli, giorni fa depone una testimone che si chiama Elvira Capecelatro. Deve dire alla Corte se è sua o no la firma in calce a una attestazione che servì a Romeo per ottenere una attestazione di qualità per le sue aziende. Il Pm sostiene che quella firma non è della signora Capecelatro, cioè è una firma falsa, e la incalza, la mette alle corde e ottiene la sua dichiarazione: non è mia. Dichiarazione decisiva per vincere il processo. Eppure c’è già una formale sentenza di un tribunale civile che ha accertato che quella firma invece è vera, verissima, autentica, sulla base di una perizia calligrafica. Il Pm non sapeva di questa sentenza? Non sapeva neanche che ci fosse un processo civile in corso? Possibile che abbia svolto il suo compito senza informarsi su fatti di assoluta rilevanza come questi?

Per risolvere la questione è stato necessario il controinterrogatorio della testimone da parte della difesa, nel corso del quale è stata mostrata (e depositata agli atti) la sentenza del tribunale che scagiona la Romeo gestioni e smentisce le dichiarazioni che il Pm ha spinto la testimone a rilasciare. Stesso processo, udienza successiva. Il testimone stavolta è un certo Vadorini. Secondo l’accusa fu assunto dalla Romeo Gestioni per fare un favore a un amico del Vadorini, un certo Giovanni Annunziata, funzionario del Comune che avrebbe potuto aiutare Romeo a ottenere le strisce pedonali davanti all’ingresso del suo albergo sul Lungomare (era suo pieno diritto avere le strisce pedonali). Vadorini – sostiene Romeo – fu assunto perché era un ex dipendente che aveva diritto all’assunzione a norma di legge. Non si poteva non assumerlo. Il Pm sostiene invece che c’è stata corruzione. Vadorini avrebbe ottenuto l’assunzione al prezzo delle strisce pedonali. Le strisce, in realtà, sebbene diritto acquisito, non sono mai state realizzate.

Il Pm vuole interrogare Vadorini come testimone per avere conferma della corruzione realizzata da Romeo. Ma se le cose stanno come dice il Pm anche il Vadorini è imputabile e quindi non può essere ascoltato come testimone. Né avrebbe dovuto essere interrogato come testimone, e senza avvocato, negli interrogatori a cui era stato sottoposto precedentemente. La difesa lo fa notare al giudice che stabilisce che la difesa ha ragione. Vadorini ha il diritto di non rispondere secondo le regole del codice di procedura penale. E se ne avvale. Perché il Pm non glielo ha detto prima? Non conosce il codice di Procedura che vieta a un Pm di interrogare come testimone una persona imputabile per le dichiarazioni che rilascia? Possibile?

Il Pm in questione – magari qualcuno di voi lo ha già indovinato – si chiama Henry John Woodcock. È uno dei sostituti procuratori proprio di Napoli, dove Melillo è procuratore. Mi chiedo: il dottor Melillo sa che il suo sostituto in processo si comporta in questo modo? Immagino di no. Lo informiamo noi. Perché a me sembra che questi atteggiamenti del Pm siano esattamente quelli che il dottor Melillo ha dichiarato incompatibili con la professione. Ha detto proprio così: incompatibili. Che fiducia nella giustizia può avere un imputato che vede il Pm assumere atteggiamenti aggressivi, intimidatori e persecutori, e che invece di mettere a suo agio un testimone, per cercare la verità, tenta di metterlo con le spalle al muro costringendolo a dire quello che lui vuole che dica, per dare forza all’accusa?

Magari voi potete anche pensare che io abbia qualcosa di personale contro Woodcock. Non vi sbagliate. Mi ha querelato – cioè ha querelato il Riformista – per un articolo che ho scritto tempo fa. Vuole che io sia condannato a qualche mese o qualche anno di prigione per avere criticato alcuni suoi comportamenti, e vuole, evidentemente, che lo risarcisca, o che lo risarcisca il mio giornale. In questo articolo raccontavo una serie di irregolarità che ho riscontrato nelle indagini (da lui coordinate) che hanno avviato il processo Consip. In particolare ho contestato la correttezza di una perquisizione effettuata dal capitano Scafarto, su mandato di Woodcock, nell’ufficio e nell’abitazione dell’architetto Gasparri (all’epoca funzionario Consip), che è l’unico accusatore di Romeo nel processo Consip al quale mi riferisco. La perquisizione avvenne dopo una telefonata alla moglie di Gasparri, nella quale Scafarto (che si trovava in compagnia dello stesso Gasparri) avvertiva la signora che sarebbe stato lì dopo una mezz’ora per perquisire la casa, e dunque di “fare quel che doveva fare”.

È evidente che una perquisizione annunciata non ha nessun valore ed è del tutto irregolare. Per di più, nell’articolo raccontavo di una telefonata tra Gasparri e l’avvocato Diddi, nella quale Gasparri diceva della perquisizione e l’avvocato Diddi rispondeva: tranquillo, so tutto, sto qui nell’ufficio del Pm, tu non fare cazzate e spicciati a nominarmi tuo difensore. Beh, capite bene, che se le cose sono andate come dico io, è da escludere che la testimonianza di Gasparri, e cioè la chiamata di correità a Romeo, abbia neppure la parvenza della spontaneità. E se manca la spontaneità, a norma di legge, la chiamata di correo vale zero.

Il problema è che il processo è in corso a Roma , e che il Pm non è più Woodcock, ma il processo si basa solo sulle indagini realizzate da Woodcock. Se si accerta che le indagini non reggono e che erano irregolari, è tutto il processo ad andare all’aria. Naturalmente è da dimostrare che le cose che io ho scritto siano vere. Per questa ragione io ho chiesto di essere interrogato a Roma, sono stato interrogato, ho ribadito le cose che avevo scritto e ho prodotto tutte le intercettazioni – regolarmente depositate – dalle quali risulta che ogni parola che ho scritto è vera. Ora mi rivolgo di nuovo – cambiando ancora discorso – al procuratore Melillo. In queste condizioni è legittimo che il processo di Napoli continui con Woodcock Pm? Non esiste un conflitto di interessi, quantomeno per il fatto che lui ha querelato il Riformista, cioè il giornale di Romeo, che vuole un risarcimento dal Riformista e che l’imputato del suo processo è Romeo? Non credo che esistano altri paesi in Occidente dove una commedia così potrebbe andare avanti. Mi auguro che non possa succedere anche in Italia.

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.