Perchè non possiamo più dirci "comunisti"
Quei negazionisti del virus mi scippano la parola comunista
Perché non possiamo più dirci “comunisti”, neppure per amor di paradosso o puro vezzo post-ideologico. Non so quanto sia vero, ma un amico bene informato racconta che sarebbe stato lo stesso Carlo Marx a decidere di chiamare comunisti, e non più semplicemente “socialisti”, i propri compagni di strada politici. Ciò avveniva poiché il termine “comunisti”, come in un convincente accrescitivo, incuteva più paura presso la controparte, cioè il “borghese”, risultando appunto come monito e insieme “incubo” in agguato. Non è un caso, forse, che il “Manifesto” del 1948 si apra esattamente prospettando faville di terrore ai danni dei Padroni: “Uno spettro che si aggira per l’Europa…”
Devo confessare che fino a qualche tempo fa, ormai giusto per puro dandismo, ogni qualvolta c’era da puntualizzare un sentire critico forte, sia pure virgolettando, e precisando espressamente proprio le “caporali”, amavo definirmi “comunista”, e poco importava che non lo fossi più da decenni.
Ora quel pensiero non abita più con me, tutto è cambiato in modo assoluto, soprattutto da quando la pandemia del covid, e soprattutto le posizioni di alcuni, espressamente antiscientifiche, e addirittura venate da una cifra paranoica e complottista, hanno lavorato come liquido reagente per comprendere la babele post ideologica nella quale ci troviamo immersi, un crac intellettuale che non ha risparmiato neppure l’insieme politico specifico cui ho appena fatto riferimento, cioè coloro che si ostinano a dirsi “comunisti”. Rassicura tuttavia che il Partito della Rifondazione comunista, tra non pochi “concessionari” del brevetto originale, espressamente per bocca del suo segretario, Maurizio Acerbo, abbia assunto una posizione inequivocabile sulla necessità vaccinale come strumento di contenimento del virus. Proviamo allora ad andare oltre ogni nominalismo, a dispetto della ormai comprovata menomazione espressiva. Resta infatti che d’ora in poi mi ritroverò tristemente privato di un notevole “babau” lessicale. In breve: non potrò più dirmi “comunista”, dovendo magari ricorrere ad altre note a pie’ di pagina, esatto, alla necessaria ironia che serve a puntualizzare alterità rispetto al pensiero ora fascista ora ottuso ora al conformismo tout court.
Resterà pur sempre però un vuoto rispetto a un prêt-à-porter politico, quasi una polaroid già perfetta per chiarire il proprio rifiuto dall’esistente. Un vuoto comunque doveroso quando il timore di risultare imbecilli in prima persona coincide invece, con chi, definendosi “comunista” a sua volta, sembra mostrare, almeno ai tuoi occhi, una profonda inenarrabile ottusità. Va ancora precisato per amore di completezza che perfino molti anarchici appaiono posseduti dal pensiero negazionista, interpretato anche in questo caso come risposta ennesima alla declinazione del sorvegliare e punire, sia detto senza bisogno di citare Michel Foucault, prodromi di un’involuzione golpistica e poliziesca.
Non possiamo fare a meno di notare, su tutto, una babele di pronunciamenti politici antitetici tra loro, eppure concordi nel rifiuto dello stesso virus. E non diremo neppure che nei paesi già del socialismo reale la scienza era ritenuta intoccabile, perfino innalzata nei simboli ufficiali dei singoli stati, né citeremo il genetista Miciurin che realizzava in laboratorio mele gigantesche o Dmitrij Šostakovič costretto a comporre sinfonie sull’elettrificazione dell’Urss.
Alla fine, forse, resta da dire a se stessi, non senza amarezza: e se con quelli, i “comunisti”, non avessi mai avuto nulla in comune? Oltre ogni caso personale, mi è accaduto di osservare l’amarezza, in rete, di Elisabetta Canitano, ginecologa, cui si deve, a Roma, uno straordinario impegno civile in difesa della sanità pubblica, oltre alla militanza in Potere al popolo (di cui è stata anche candidata al Campidoglio), proprio lei che non ha certo timore di denunciare l’atteggiamento repressivo del governo Draghi a proposito delle occupazioni dei licei, è comunque costretta a rilevare quotidianamente l’astio di chi reputi il suo convincimento sanitario qualcosa di inaccettabile. Non va meglio in ambito post-brigatista, un insieme che ancora adesso sembra avere rappresentanza del mare magnum dei social.
Sulla pagina di una già stella di prima grandezza del “partito armato” così infatti leggo: “Non sento gli ululati degli antifascisti difensori della Costituzione. Qual è l’articolo della messa al bando di milioni di persone senza uno straccio di reato?” A seguire una ampia spolvero di emoticon di plauso, cui si aggiunge la pagina Facebook dei Marxisti-leninisti-eredi di Stalin, che si distingue per un viaggio nella selva di ulteriori fantasmi che credevo morti da decenni. Alla fine, ripensando alla terza dose appena fatta, come fosse un Gran Collare dell’Annunziata, meglio, un titolo di nobiltà intellettuale, sia detto senza ironia alcuna, sono costretto a definirmi menscevico, di più, tanassiano, nel senso di Mario Tanassi.
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