Il coronavirus regna. Penso che ogni altro argomento di scienza, dopo la notizia che tutta l’Italia sarà zona rossa per un quasi un mese, salvo proroghe, sarebbe accolto con freddezza. E allora torniamo a parlarne, ma in un modo un po’ diverso da quello che avete sentito nei giornali e in televisione. Anche perché non sempre è comprensibile quello che ci dicono e una buona divulgazione ha la funzione di spiegare quei concetti che la necessaria sintesi giornalistica si limita a menzionare. Mi riferisco, per esempio, al “differimento del picco”. Lo avrete sentito nominare in vari modi, ma il senso è “prolungare il tempo che precede il picco dei contagi”. Che cos’è questo picco e perché bisogna posporlo? Il picco è il numero massimo di contagiati, ovvero di persone affette dalla sindrome provocata dal coronavirus.

Immaginiamo che siano mille le persone che manifestano sintomi gravi e abbiano bisogno di cure intensive. Se il contagio è rapido, i mille si ammalano tutti insieme. Quindi, andranno a intasare le strutture sanitarie, i reparti di malattie infettive non avranno posto per accogliere l’ondata e il sistema rischierà il collasso. Invece, attenendosi ai metodi di confinamento e di prevenzione delle adunanze, rispettando le norme di igiene e profilassi, seguendo comportamenti che non espongano al contatto diretto, se anche per ipotesi alla fine i contagiati fossero sempre mille, non si ammaleranno comunque tutti insieme. Ce ne saranno 5 il primo giorno, magari 10 il secondo, 20 il terzo, 40 il quarto, 80 il quinto ecc. Stavolta il picco, cioè il massimo numero di malati, diciamo 200 o 300, si avrebbe dopo forse una settimana o dieci giorni.

I primi ricoverati sarebbero stati già trasferiti nei reparti di terapia sub-intensiva o in corsia, liberando il posto per gli altri. Insomma, la situazione non sarebbe rosea, ma comunque gestibile. Quando invece il numero di malati giornalieri supera la disponibilità degli ospedali a riceverli, la macchina si inceppa. E per ora sto parlando solo dei malati di coronavirus, ma a questi vanno aggiunti malati gravi che richiedono cure frequenti e impegnative. Ad esempio, quelli sottoposti a terapie oncologiche o i pazienti in dialisi. Certamente il mondo si è trovato impreparato di fronte a una situazione che non si verificava più da un secolo esatto, ma che non era tuttavia imprevedibile. Infatti, pur non potendo supporre da dove potesse provenire il nuovo contagio e di che natura potesse essere, non era inimmaginabile che prima o poi potesse accadere. Le epidemie ci sono sempre state.

È vero, le pestilenze che flagellavano il mondo nel passato adesso sono state debellate. Eventi apocalittici come la peste di Atene durante la Guerra del Peloponneso, o le “febbri pestilenziali” del Trecento e del Seicento, descritte da Boccaccio e Manzoni, sono scongiurate, perché conosciamo il nemico da combattere e sappiamo come sconfiggerlo. Ci sono ancora focolai occasionali nelle aree depresse del mondo, ma una grande peste non potrebbe più diffondersi. Il motivo è che la peste è di origine batterica e i batteri sappiamo – abbastanza bene – come fronteggiarli. Gli antibiotici sono un’arma formidabile.

Il discorso è diverso per i virus. Esistono farmaci antivirali, ma sono pochi e specifici. Non esiste l’equivalente di un antibiotico ad ampio spettro contro i virus, l’unica difesa efficace è la vaccinazione. Ma la vaccinazione richiede che venga sviluppato il vaccino, il che, a sua volta, richiede tempo. E, in questo tempo, il contagio si può diffondere. L’ultima volta accadde alla fine della Prima Guerra mondiale. L’epidemia su denominata “influenza Spagnola”, solo perché i giornali spagnoli furono i primi a parlarne (la Spagna non prendeva parte al conflitto e l’informazione non era sottoposta a censura). In realtà il focolaio non fu in Spagna e non si sa neanche esattamente da dove provenisse, anche se probabilmente (ancora una volta) dall’Asia Orientale. L’influenza Spagnola fece decine di milioni di vittime, più della stessa guerra.

Il coronavirus è un microrganismo furbo e subdolo, come lo sono in generale i virus. Ovviamente non è il singolo virus a possedere queste qualità, ma è la categoria dei virus, la specie virale. Nel corso dell’evoluzione, i virus hanno sviluppato meccanismi sofisticati per insinuarsi all’interno delle cellule dell’ospite, riprogrammandole e costringendole a produrre, anziché altre cellule, come avviene normalmente, copie del virus infettante. La cellula riprogrammata si trasforma in uno zombie che agisce sotto il controllo di un entità aliena. Il coronavirus ha degli spunzoni, da cui deriva (con un po’ di fantasia) il nome, con i quali si aggancia alla parete esterna della cellula, per potervi penetrare all’interno con tutta calma. Tutti sappiamo che il coronavirus, come d’altronde tutti i virus, è molto piccolo. Però forse non abbiamo davvero la cognizione di quanto sia minuscolo.

Supponete che io abbia un coronavirus nel polmone e che una videocamera molto sofisticata mi faccia una fotografia. Ora immaginate di ingrandire la fotografia. Ingrandite, ingrandite, ingrandite, finché il coronavirus non ha raggiunto le dimensioni di un pallone da calcio. A questo punto, quanto sarei diventato alto io? Quanto un grattacielo? Quanto il monte Everest? Cioè circa 400 metri o 8000 metri? Se avete pensato così, siete molto lontani dalla verità. Nella scala in cui il coronavirus è grande quanto un pallone da calcio, il mio metro e ottanta di altezza sarebbe divento seimila chilometri… Con qualche passo, potrei fare il giro del mondo. Altro che Godzilla! Questo era solo per mostrare come la nostra percezione sia ingannevole quando ci confrontiamo col microcosmo dei germi.

I virus sono una piaga per tutti gli esseri viventi, unicellulari e pluricellulari, fino agli organismi complessi come noi. I batteri possono essere nocivi, indifferenti o anche benefici. Molti batteri vivono in simbiosi con noi e ci sono indispensabili in diverse funzioni vitali. Invece i virus sono sempre dannosi. Più o meno dannosi, ma sempre dannosi. Eppure, il coronavirus e i suoi compagni, ci saranno utilissimi loro malgrado. Sfruttando la loro diabolica capacità di riconoscere le cellule e penetrare al loro interno, diventeranno veicoli per i nuovi farmaci e per le terapie geniche.
Adesso quindi impegniamoci tutti insieme per superare questa crisi, con pazienza e attenzione, e il round decisivo, nel lungo scontro con i virus, sarà nostro!