La telefonata, anzi la videocall, è arrivata in zona Cesarini, ieri intorno alle 18. L’accordo è stato più tribolato del previsto ma poi proprio che sia arrivato. Confermando l’unica opzione ragionevole: Stefano Bonaccini sarà il presidente del Partito democratico in nome e per conto di quel 46,25% che lo avrebbe voluto segretario e che gli assegna in Assemblea ben 267 delegati contro i 333 di Elly Schlein eletta segretaria il 26 febbraio con il 53,75% degli elettori “aperti” delle primarie. Un partito spaccato che sarebbe stato suicida voler spaccare ancora di più mettendo da una parte i vinti e dall’altra i vincitori.

“È ovvio che andrà così, sarebbe clamoroso il contrario, ovverosia che dopo tutto il percorso fatto nell’ultimo anno (con il ritorno a casa di Articolo 1, ndr) si lavorasse ancora per dividere. Dobbiamo invece unire e Stefano presidente ne è la garanzia migliore”, diceva a metà pomeriggio un big dell’ala sinistra come Roberto Speranza. Bonaccini a Bologna, Schlein a Roma, alla fine gli ex duellanti si sono incontrati da remoto per arrivare con i giochi fatti domattina all’assemblea nazionale convocata in una location inedita come la Nuvola di Fuksas all’Eur. La Presidenza è la casella più importante da riempire, senza dubbio quella che dà la maggiore agibilità e autonomia al governatore dell’Emilia Romagna e alla sua mozione progressista e a vocazione maggioritaria. Molti, nell’inner circle della segretaria, erano contrari. “Se fai lui Presidente si crea nei fatti una diarchia”, è stato il refrain degli ultimi giorni e il motivo di tanta indecisione.

Cioè “ti trovi l’avversario in casa che ti marca a uomo”. Ma Schlein non aveva alternative: un’esclusione di Bonaccini da ruoli apicali e decisionali sarebbe stata l’anticamera di una fuga dal Pd e del suo schiacciamento a sinistra (e sui 5 Stelle). Del resto poco meno della metà del partito è con il presidente dell’Emilia Romagna e questo è un fatto con cui la segretaria deve fare i conti.
Le altre caselle strategiche per intuire che strada prenderà il nuovo Pd riguardano i capigruppi di Camera e Senato. Che restano ovviamente espressione dei gruppi parlamentari, almeno sulla carta e al momento assai sbilanciati verso Bonaccini. Anche qui si dovrebbe arrivare ad un accordo 50/50, cioè un capogruppo a testa. Un altro boccone amaro per Elly e la sua squadra che si erano già divisi pani e pesci con ipotesi del tipo Francesco Boccia capogruppo a palazzo Madama e Beppe Provenzano alla Camera, in alternativa sono circolati i nomi di Chiara Gribaudo, Chiara Braga o Michela De Biase.

La sorpresa potrebbe essere la conferma di Debora Serracchiani alla guida del gruppo Camera, il più numeroso ma meno tattico rispetto a quello del Senato. Una scelta che però contrasta la richiesta di discontinuità della segretaria. Ed ecco che potrebbe uscire fuori il nome di Simona Bonafè, ex segretaria del Pd in Toscana, ex europarlamentare, un tempo lontano anche renziana. Digerite queste rinunce, Elly e il suo cerchio magico avranno modo di rifarsi con la segreteria. Sarà tutta ad immagine e somiglianza o vorrà essere inclusiva? E, in questo caso, in quale direzione? La formazione della segreteria non è in programma domani. L’ordine del giorno dell’assemblea prevede l’elezione del segretario, del Presidente e del vicesegretario. Che era l’altra opzione per Bonaccini, che l’avrebbe coinvolto forse maggiormente nel giorno per giorno ma sempre da secondo. Più autonomo e autorevole il ruolo del Presidente del partito.

Messa in cassaforte la gioia della vittoria e fatto tesoro dell’entusiasmo che la circonda, Schlein ha capito perfettamente che la strada della sua segretaria sarà, ancora una volta, piena di trappole. E che il compagno di strada più insidioso alla fine potrebbe non essere Bonaccini con cui dovrà certamente concordare linea e contenuti ma si sta ponendo, forte di metà del consenso, in un atteggiamento di “unità e collaborazione”. Non sono state gradite, ad esempio, le prime uscite programmatiche della segretaria su unioni civili, coppie gay e ius soli. Importanti, senza dubbio, ma lo è di più, a parere della corrente perdete come si crea lavoro di qualità in questo Paese e come si protegge chi fa impresa, sempre di qualità. Fare sintesi sui temi: ecco la vera sfida tra Schlein e Bonaccini.

I problemi per Elly potrebbero invece arrivare dagli “ex” capi bastone del Pd. O anche dai “ritornati” di Articolo 1. Si mormora infatti che Andrea Orlando, Goffredo Bettini, lo stesso Zingaretti, Dario Franceschini, i main sponsor della Schlein comincino a vedere un po’ con sospetto quella che ai loro occhi sta assumendo a tutti gli effetti le sembianze di una vera rottamazione. Furfaro, Braga, Sarracino, Gribaudo e molti altri: c’è una nuova generazione di quarantenni che sta prendendo posti e potere al Nazareno. Con buona pace di chi ha sostenuto la “rivoluzione” Schlein. Che forse, però, è andata anche oltre le loro stesse aspettative fino a perderne il controllo. “Che succede se Schlein connota il Pd “con un movimentismo alla Renzi e però a sinistra”? Ecco, la domanda cominciano a farsela in tanti. Domani arriveranno le prime risposte.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.