Umile non lo è mai stato, dal giorno in cui ha messo piede a Palazzo Chigi. Più che avvocato del popolo , è sempre stato l’avvocato arrogante che non vuol mediare e che se la sente calda in qualsiasi occasione. Adesso, anche grazie a una campagna stampa a lui favorevole, si è convinto di aver vinto le elezioni. Il fatto di avere dimezzato i voti non lo tocca minimamente, l’auto-convinzione è la cosa migliore: a forza di ripeterselo allo specchio, ci crede davvero: Conte, Conte delle mie brame chi ha vinto nel reame? E così, in un gioco in cui conta poco la matematica, ma molto la magia della comunicazione, ha fatto passare il messaggio che ha preso più voti lui del Pd e che se c’è qualcuno di sinistra è lui, quel presidente del Consiglio che andava in giro con i cartelli che inneggiavano al blocco navale.

Ora, quindi, che avrebbe vinto si sente anche in diritto e in dovere di dettare le proprie condizioni al Pd: o le accetta in blocco, oppure nessun accordo per le regionali nel Lazio. Sulla Lombardia sorvola ma ha mandato avanti i suoi per bocciare l’ipotesi Giuliano Pisapia, un avvocato anche lui, ma che a differenza di Conte non se la tira, è bravo ed è veramente di sinistra. Il leader dei Cinque stelle, quando si tratta di prendere posizione sulle scelte fatte fin qui dal governo Meloni, arranca. Sul decreto cosiddetto anti rave ci ha messo 48 ore a capire che si trattava di una misura liberticida e che se voleva fare quello di sinistra non bastava dire che era una norma bislacca. In ritardo è arrivato anche sui migranti, questione decisiva per chi pretende di avere un Dna minimamente dalla parte degli ultimi, a favore dell’eguaglianza, della solidarietà, della fratellanza. Ma anche in questo caso le sue dichiarazioni oltre che tardive sono molto timide, rispetto a un governo che sta praticando – oltre al blocco – la terribile e disumana “selezione” per chi viene salvato e chi invece sommerso.

Ha detto Conte: “Tenerli in mare non risolve il problema, è propaganda”. Un po’ pochino, vista la sfida di civiltà che sulla questione migranti è da intraprendere. Ma in questo caso oltre la mancanza di cultura politica, pesano due fattori. La coda di paglia per essere stato alla guida del governo gialloverde che i migranti li ha perseguitati e per essere alla guida di una compagine politica che la caccia delle Ong la ha iniziata prima di tutti. Il secondo fattore riguarda i sondaggi: più del 50 per cento degli elettori Cinque stelle sono a favore dei provvedimenti presi dal governo Meloni proprio su migranti e rave. Su una questione invece sembra non risparmiarsi: la pace e la guerra. Una posizione dettata anche questa volta dal consenso. L’avvocato ha capito che c’era uno spazio e lo è andato a coprire, spacciando per sua una manifestazione organizzata da 600 organizzazioni e associazioni che sul disarmo e per la pace lavorano da anni e anni.

A poco più di un mese dalle elezioni, bisognerebbe allora spiegare all’ex premier che le elezioni non le ha vinte, ma le ha sonoramente perse, dimezzando i voti che il movimento Cinque stelle aveva preso nel 2018. Bisognerebbe anche spiegargli che per dialogare con un’altra forza politica non servono gli ultimatum, ma bisogna mediare e magari cedere anche su qualcosa. La domanda vera è però quella per il Pd: davvero il futuro della sinistra si può costruire con uno che cambia idea a seconda delle convenienze, dei sondaggi e del proprio ego ipertrofico? Il no che è che è arrivato ieri sul Lazio può essere l’occasione per chiudere definitivamente una pagina ambigua, che non porta da nessuna parte.

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Vicedirettrice del Riformista, femminista, critica cinematografica