Criteri di assegnazione delle risorse poco chiari e soprattutto basati sulla competizione tra i singoli Comuni e non sui reali bisogni degli stessi, “Quota Sud” del 40% in bilico, tanti progetti ma obiettivi strategici non definiti. È il quadro del Pnrr delineato in una nota firmata Svimez. Un quadro tutt’altro che incoraggiante per un Sud che rischia di rimanere, per l’ennesima volta, indietro rispetto a un Nord che invece corre veloce. Per quanto riguarda le somme, alle regioni del Mezzogiorno dovrebbero andare 86 miliardi, pari al 40,8% dei 211,1 miliardi in dotazione del Pnrr e del FoC con destinazione territoriale.

«In generale rileviamo una carenza di un disegno strategico – afferma Adriano Giannola, presidente dell’associazione Svimez – Ci sono tante cose, tantissimi progetti ma pochi obiettivi identificati come prioritari e capaci di imporre una svolta al sistema». In particolare risulta che, rispetto alla soglia minima del 40%, la fase di attuazione del Piano può avvalersi di un “margine di sicurezza” piuttosto limitato: 1,6 miliardi, appena 320 milioni di euro annui dal 2022 al 2026. È questo, da solo, un dato che qualifica la “quota Sud” come un obiettivo che non sarà facile conseguire, a meno di non introdurre azioni correttive e di accompagnamento “in corsa”. Deve trattarsi di necessari aggiustamenti da apportare alle procedure di attuazione già avviate, con particolare riferimento a due ambiti: gli interventi che vedono come soggetti attuatori gli enti decentrati beneficiari di risorse distribuite su base competitiva dalle Amministrazioni centrali e gli interventi di incentivazione a favore delle imprese. Aggiustamenti urgenti, non solo necessari. Infatti, degli 86 miliardi potenzialmente allocabili al Mezzogiorno, ben 62 finanziano misure per le quali è stato espletato almeno un atto formale che già sta orientando l’allocazione territoriale delle risorse nelle fasi successive dell’attuazione.

La Relazione fa emergere diversi profili di criticità, discussi in dettaglio per ciascuna delle quattro diverse modalità seguite dalle Amministrazioni centrali per quantificare le risorse da destinare alle regioni del Mezzogiorno. Le uniche risorse “certe” sono i 24,8 miliardi che finanziano progetti già identificati e con localizzazione territoriale e costi definiti. Meno di un terzo degli 86 miliardi della “quota Sud”. Queste risorse sono per oltre la metà (14,6 miliardi) di titolarità del Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili, e in buona parte finanziano “progetti in essere”, ovvero interventi per i quali già esistevano coperture nel bilancio dello Stato poi sostituite da quelle del Pnrr. I rimanenti 61,2 miliardi di euro rappresentano invece risorse “potenziali”, la cui destinazione effettiva alle regioni del Mezzogiorno dovrà realizzarsi in fase di attuazione superando diverse criticità.

Così la famosa “quota Sud” risulta essere molto ballerina per tantissimi motivi. «Il più grave è il criterio di assegnazione delle risorse che avviene attraverso bandi competitivi, una tecnica assurda e immotivata – spiega Giannola – Ci sono due o tre aree dovrebbero essere esenti da questa tecnica e sono: sanità, istruzione e mobilità sostenibile. Quando si fa un bando competitivo ai quali accedono i comuni, per esempio per la nuova edilizia scolastica, bisognerebbe assegnare le risorse in base ai reali bisogni dei territori e non in base a chi è più bravo. Quando si parla di istruzione e salute non ha nessun senso fare una gara tra i comuni. Sono dei bisogni primari costituzionalmente garantiti e per cui è responsabilità del Governo assegnare i fondi in base alle esigenze conclamate di quella comunità. Questa competizione – conclude – credo sia costituzionalmente non corretta. In questo modo si perde tempo e si sprecano risorse, oltre a correre il rischio di ampliare il divario tra Nord e Sud e non di ridurlo».

Timori sulla capacità di spesa delle regioni meridionali riguardano anche le risorse in capo al ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, la cui quota destinata al Mezzogiorno si attesta al 37%. «I territori devono utilizzare le strutture competenti per realizzare i progetti, compito che spetta proprio a loro -sottolinea il presidente Svimez– E parlo delle università, dei politecnici, delle associazioni di ricerca. Hanno il compito della cosiddetta terza missione ovvero la cura del territorio. Il Governo dovrebbe delegare a questi enti pubblici la realizzazione dei progetti».

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Giornalista napoletana, classe 1992. Vive tra Napoli e Roma, si occupa di politica e giustizia con lo sguardo di chi crede che il garantismo sia il principio principe.