Marco Travaglio lancia la sua Opa sul Movimento. Lancia la “Fondazione Fatto Quotidiano” nel momento di massima crisi della storia grillina recente. Caduto in quell’aporia che Giuseppe De Masi, intellettuale tradizionalmente vicino ai Cinque Stelle, definisce «mortificante, senza più alcuna capacità reattiva», il Movimento cerca disperatamente un rivolo per uscirne e risollevarsi. Ma è evidente che il problema è Conte; quel “Conte dimezzato”, come lo descrive, quasi scomodando Calvino, una fonte che nel M5S lavora.

Il rapporto con i gruppi parlamentari fatica a costruirsi. Come dimostra la recente vicenda che ha visto prevalere Mariolina Castellone su Ettore Licheri quale capogruppo al Senato, è un rapporto tutto in salita. Gli eletti del 2018, selezionati con le parlamentarie in un altro periodo storico, con altre premesse e altri referenti, sembrano non aver mai digerito l’avvocato con la pochette. E tra tre settimane, il 12 dicembre, le scintille sul capogruppo sono destinate a rivedersi alla Camera, dove Davide Crippa si ricandida a dispetto della scarsa sintonia con il nuovo leader. Il presidente dei deputati Cinque stelle dovrebbe essere il grande mediatore tra Conte e i parlamentari, «ma nella pratica, fino a ora, abbiamo assistito a diverse manovre finalizzate solo a delegittimare l’ex premier», graffia una fonte parlamentare M5s.

La battaglia di Viale Mazzini, vinta da Di Maio che si è accodato alla scelta di Monica Maggioni, vede l’ex premier in duplice affanno: non ha ottenuto nulla sul piano delle nomine e sembra sconfessato perfino su quello del metodo, con l’ad Rai Carlo Fuortes che ha preferito trattare con Di Maio. Né sembra scuotere più di tanto l’autorinuncia firmata da Conte ad andare in Rai. «Se davvero Conte e i dirigenti M5S non parteciperanno più a Tg e programmi Rai, sarà un male per il pluralismo e un bene per la lingua italiana», se la ride l’ex direttore del Tg2, Mauro Mazza. È su questo scenario che la rete ammiraglia dei grillini, La7, manda in onda a ripetizione gli spot che annunciano la nascita della Fondazione del Fatto Quotidiano. Che chiede donazioni ai simpatizzanti del quotidiano in nome di un impegno civico che – non potendosi ancora conoscere le attività della Fondazione – è nei fatti ascrivibile solo all’attività del giornale. E comunque inutile sottilizzare: la Fondazione si muove come un soggetto della politica, individua tre temi socio-politici, a partire dalla violenza sulle donne, e promette di far arrivare contributi alle iniziative che saranno individuate da un comitato di indirizzo interno.

La Fondazione nelle intenzioni sbandierate è una estensione “solidaristica” della società editrice proprietaria della testata, la Seif. “La Fondazione – a scopo umanitario – è nata con l’intento di consolidare l’impegno sociale di Seif per contribuire all’inclusione sociale e alla riduzione delle disuguaglianze, alimentando il dialogo all’interno della società civile e promuovendo progetti solidaristici”, si legge nel comunicato che la presenta. Iniziativa peculiare. Atipica. Sono infatti rare le fondazioni sociali facenti capo a testate quotidiane. Ed è ancor più irrituale che il Cda della Società Editrice Il Fatto – ovvero dell’impresa – coincida con i vertici della fondazione nelle due figure chiave della Presidente, Cinzia Monteverdi, e del Vice presidente, Marco Travaglio. Che questa fondazione l’ha sagomata a sua immagine e somiglianza, dagli organi direttivi alla mission. L’organo di indirizzo è costituito da Martina Castigliani, Gad Lerner, Silvia Truzzi, Elias Vacca ed Elisa Travaglio: l’amatissima figlia del direttore – della quale Travaglio stesso ha parlato a proposito degli incidenti di piazza San Carlo, che la videro coinvolta nel 2017 – è schierata per la prima volta nella compagine sociale. Tutto per beneficenza? Non proprio. Le attività – si può leggere sullo statuto depositato – si estendono al campo della formazione e all’editoria stessa, da finanziare “mediante attività di raccolta fondi, richiesta a terzi di lasciti, donazioni e contributi”.

Una cassaforte in grado di ricevere, gestire, distribuire attraverso il doppio binario di un Fondo di dotazione ed un Fondo di gestione che dovranno, si legge, “amministrare il patrimonio osservando criteri prudenziali di rischio e di economicità in modo da conservarne il valore nel tempo”. Una Fondazione è per sempre, insomma. E il progetto è tutto pre-politico. Mira a scaldare le corde degli elettori disamorati, parla alla base che rimpiange l’impegno pioneristico e corsaro della fondazione del Movimento. A quale scopo d’altronde Travaglio avrebbe messo in campo un tale soggetto, se non per influenzare ancora di più la governance politico-culturale di riferimento? È ancora De Masi che prova a dare una risposta. «Sono ormai due anni che il M5S assiste, indifferente, a tutto quello che gli accade intorno. Non è presente, insomma, nello scacchiere nazionale in modo visibile, come è stato precedentemente». Si tratterebbe dunque non solo di individuare una nuova figura di leader – posizione alla quale Marco Travaglio aspira apertamente – ma di «reagire alla dissoluzione del Movimento attraverso una capacità nuova di stimolarlo, sollecitarlo, gestirlo», conclude De Masi.

Conte in questo primo mese di leadership formale non ha dato alcun segnale di svolta. Il progetto di dare vita a un partito strutturato territorialmente, con una sede nazionale e derivazioni regionali, un consiglio nazionale e una scuola di formazione politica, è al palo. Le presentazioni dei libri sono le uniche attività che tengono in vita le diverse anime; quello di Casalino non ha superato il tetto delle ventimila copie, quello di Di Maio va già meglio e quello di Spadafora, complice il trampolino di lancio di Fabio Fazio, vende perfino più di quanto si aspettava l’autore. Chi non scrive libri, fa proclami: è il caso di Alessandro Di Battista che nel giorno della dèbacle contiana alla Rai risfodera il guanto della sfida a Draghi. “Hanno scelto in modo scellerato di far parte del governo dell’assembramento? Beh queste sono le conseguenze”, graffia. E prova a far leva sulla sua quinta colonna interna per spingere M5S fuori dal perimetro di maggioranza. Senza successo né di critica né di pubblico: i follower pentastellati non gli danno più retta. Se il capo corrente dei governisti rimane Luigi Di Maio, quello dei duri e puri può essere guidato da Travaglio. Adesso la sua Fondazione è lì a sottolinearlo.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.