Se il centrosinistra piange, il centrodestra non ride. Trovare la quadra sui sindaci è operazione complessa in entrambe le coalizioni. E se tra Pd e M5s siamo un po’ al “vorrei ma non posso” – Casaleggio, Rousseau, Conte che dà ultimatum ma non ci crede neppure lui, Grillo non pervenuto e Zingaretti che guarda al Campidoglio solo se il patto Letta-Conte riesce a blindare la Regione Lazio – nel centrodestra tra Lega e Fratelli d’Italia è un continuo mettersi le dita negli occhi. Forza Italia al momento è più spettatrice che protagonista. E anche questo non fa bene alla tanto acclamata e mai come adesso presunta unità del centrodestra.

Il fatto è che siamo a maggio ed entrambe le coalizioni sono in alto mare. Sul doppio fronte, alleanze e candidati. Con l’estate di mezzo e il voto nella prima quindicina di ottobre, il ritardo è vistoso. Quasi preoccupante. Anche perché, come fanno notare anche i tecnici al governo, «parliamo dei sindaci delle più grandi metropoli italiane, Torino, Milano (l’unica con un candidato forte, l’uscente Sala), Bologna, Roma e Napoli, e saranno loro a dover gestire la messa terra di molti progetti del Pnrr italiano». Sarebbe consigliabile poter cominciare a lavorare con i candidati fin da subito perché in ottobre non si può perdere altro tempo. Invece siamo alle crisi di nervi. Soprattutto nel centrodestra dove sta pesando in modo, secondo alcune fonti, “non più componibile” lo scontro sulla presidenza del Copasir. Fratelli d’Italia lo reclama come unica forza di opposizione e ha un candidato blindato ed esperto come Adolfo Urso. Ma la Lega non intende mollare: Raffaele Volpi (Lega) resta al suo posto nonostante l’invito di Salvini alle dimissioni. Meloni invoca l’intervento dei presidenti di Camera e Senato i quali però hanno trovato modo e maniera di restare terzi. È così da due mesi e la situazione oggi è così radicalizzata che non si vede via d’uscita.

Questa la cornice in cui vanno inserite le provocazioni ormai quotidiane tra Giorgia e Matteo. A cui vanno aggiunti i report dei vari sondaggi che settimana dopo settimana rosicchiamo decimali alla Lega e li regalano pari pari a Fratelli d’Italia. Il grande freddo tra i due leader si misura ogni giorno nelle piccole e grandi cose: se Meloni convoca una conferenza stampa, Salvini chiama un punto stampa mezz’ora dopo; se Meloni s’intesta la battaglia sul coprifuoco, Salvini alza la bandiera delle aperture; se Fdi lancia un ordine del giorno, Salvini presenta un ddl sulla riforma della giustizia o sui reati omofobici firmati “centrodestra di governo”. Della serie “noi, Lega e Forza Italia, che ci siamo assunti la responsabilità di dare un governo al paese nel mezzo della pandemia”. Sottinteso: “Troppo facile stare all’opposizione e dire sempre no”. Se Salvini lancia Albertini a Milano e Bertolaso a Roma, Meloni zitta zitta li fa saltare entrambi. Quanto meno: lascia capire che nessuno ha deciso niente e che senza di lei non si fa un passo. La verità è che Fdi ormai è al 18,7% in costante seppur leggera crescita, il Pd al 19 (stabile) e la Lega al 20,09, in leggero ma costante calo. Stare al governo non paga l’elettorato di destra. Sebbene oltre il 30% degli intervistati sia nella categoria indecisi.

Questo il quadro fino a ieri mattina. Con stracci volanti e anche qualcosa di più. Ieri le cose hanno tentato di cambiare direzione prima che la situazione sfugga di mano. Un primo passo sarà mercoledì. Per quel giorno Salvini ha convocato una riunione di centrodestra a livello però di responsabili degli enti locali e non di segreterie di partito. Meloni aveva chiesto un vero e proprio vertice. Ignazio La Russa ha definito l’appuntamento «il classico topolino partorito dalla montagna di tensioni di questi mesi». Giorgia e Matteo non si vedono dal 3 febbraio scorso, il giorno in cui fu sancita la spaccatura per l’appoggio al governo Draghi, e ieri si sono scambiati qualche whatsapp.

Se ieri è iniziato qualcosa che assomiglia ad un disgelo, le caselle restano al momento tutte vuote. L’ultima tensione è nata giovedì quando Gabriele Albertini, che Salvini aveva indicato per competere su Milano contro l’uscente Sala (Pd, centrosinistra e civiche), si è defilato per “motivi familiari”. Più presunti che veri. Giovedì sera ospite a “Porta a porta” Salvini ha stigmatizzato “i troppi no” degli alleati ad Albertini e Guido Bertolaso (indicato per la Capitale, ma anche lui gentilmente rifiuta). E ha puntato il dito contro chi, nella coalizione, lavora per “disfare”. Una Meloni furiosa si è sfogata con i suoi: «Noi non abbiamo bocciato alcun candidato, ha fatto tutto lui (Salvini, ndr), da solo, ha annunciato dei nomi ma ha rinviato gli incontri per decidere. Sono giorni che dico “Matteo convoca una riunione”. Che almeno sia ristabilita la verità». A quel punto, sempre giovedì sera, Meloni ha scritto un messaggio: «Matteo, convoca un vertice, vediamoci e parliamone». Il capo di via Bellerio non ha risposto subito.

Da via Belleri è stata fatta trapelare la convocazione della riunione di mercoledì prossimo a livello però di responsabili del dipartimento enti locali. È stato allora che La Russa (Fdi) ha risposto con un filo di scetticismo: «Se ora si apre a una riunione dei responsabili degli enti locali, sarà sicuramente una riunione dilatoria, che non fa mai male, ma le decisioni le prendono i leader». È la montagna che ha partorito un topolino. «Se vogliamo voltare pagina, questi meccanismi devono finire e bisogna cominciare a lavorare insieme e bene come i nostri elettori ci chiedono. Senza giochini» ha scandito. Poco dopo, verso l’ora di pranzo, Salvini ha risposto a Meloni, sempre via whatsapp.

Il segretario leghista è soddisfatto di sapere che “non ci sono veti”. Tutto si risolve, “basta parlarsi” ha risposto Meloni. In realtà gli unici nomi possibili per il centrodestra restano Albertini a Milano, forte nei sondaggi, e Bertolaso a Roma. A Torino potrebbe essere trovata la sintesi su Paolo Damilano, imprenditore legato al centrodestra ma che preferisce presentarsi come civico. A Napoli resta in pole il magistrato antimafia Catello Maresca. Serve solo che Salvini e Meloni smettano di farsi la guerra. E questo è senza dubbio più difficile.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.