La missione della ministra Marta Cartabia a Napoli suscita riflessioni sui possibili rimedi da suggerire per superare l’impasse in cui si trovano i giudizi civili e i processi penali. È con assoluto favore che si deve ricevere una visita così autorevole e attenta ai problemi della giustizia in Campania e, più in generale, del Sud. Attenzione che, per la verità, era stata già manifestata con l’istituzione della Commissione per la giustizia nel Sud che non poche proteste ha suscitato nella magistratura associata che ha ritenuto offensiva l’intenzione di individuare best practices formatesi in uffici di altri territori e verificare la loro possibile funzionalità nei distretti del Mezzogiorno, oltre quella di formulare proposte per migliorare le condizioni di lavoro degli operatori, superare le carenze dell’edilizia giudiziaria e applicare l’intelligenza artificiale così da supportare i giudici e contenere i tempi processuali.
Obiettivi di assoluta rilevanza, vista la notevolissima lungaggine dei processi civili, specie nel Mezzogiorno, ma certamente non si può dire che sia colpa di un Sud meno efficace di un Nord più laborioso. Esiste allora una Giustizia a due velocità? È questa la domanda che sorge spontanea e alla quale, sia pure limitatamente al settore della giustizia civile, si prova a dare una risposta con proposte alla ministra della Giustizia. Non credo che si possa dire ciò perché il sistema processuale è uguale per tutto il territorio italiano e i magistrati appartenenti agli uffici giudiziari della Campania e dell’intero Mezzogiorno nulla hanno da invidiare a quelli del Nord (e lo scrive chi in quegli uffici ci ha lavorato agli albori della propria carriera in magistratura). I problemi quindi sono ben altri, al di là della buone pratiche che si dovrebbero esportare dagli uffici giudiziari più virtuosi! Alla guardasigilli Cartabia bisognerà chiedere innanzitutto una concreta revisione delle piante organiche che, troppo spesso, sono “eccessivamente sufficienti”, per non dire sovrabbondanti, per gli affari di alcuni uffici giudiziari e gravemente insufficienti per altri uffici, specie al Sud.

È facile essere virtuosi quando si ha un carico di lavoro proporzionato, mentre è davvero impossibile lavorare in un contesto in cui il numero di magistrati è assolutamente inferiore alle eccessive sopravvenienze. In questo contesto una verifica effettiva dei flussi giudiziari, in uno con le false pendenze, potrebbe essere davvero una strada da seguire, accanto all’inevitabile accelerazione dei concorsi per l’inserimento di nuovi magistrati nei ruoli. Bisognerebbe inserire tra le materie obbligatorie di studio e di aggiornamento professionale il diritto della mediazione civile e della conciliazione giudiziale sulle quali, del resto, molto si punta tra le novità della preannunciata riforma del processo civile e nel Piano nazionale di ripresa e resilienza. Diciamola tutta, però: senza uomini e mezzi (alludo in particolare anche all’incremento del personale amministrativo e a una robusta applicazione degli strumenti informatici), ogni riforma rischia di essere del tutto vanificata. E allora, anziché parlare di revisione del processo civile che pure si pone nella direzione della drastica riduzione dei tempi processuali, si tratta di fortificare l’ufficio per il processo che, come Cartabia saprà, anche a Napoli è già da tempo stato istituito, ma senza risorse è ancora rimasto lettera morta.

Nell’istituzione dell’ufficio per il processo mancano incentivi validi per i magistrati che, da un lato, sono poco stimolati a farne parte e, dall’altro, forse non hanno colto lo spirito di profonda innovazione e grande beneficio che può a loro derivare. In vista dell’assunzione a tempo determinato della notevolissima quantità di forza lavoro, specie per gli uffici del Sud, si tratterà di prevedere questi incentivi in termini di carriera (e perché non anche economici) con poteri di sollecitazione e controllo anche sulla risposta in termine di efficienza che deriva ai singoli magistrati dal funzionamento dell’ufficio per il processo. E poi alla ministra Cartabia bisogna parlare dei carichi esigibili che non sono però quelli a valle di ruoli impossibili da gestire e che a nulla servono per impedire la lungaggine dei processi, perché si limitano a salvaguardare la dignità del lavoro dei magistrati e le loro eventuali responsabilità. Di carichi esigibili si deve parlare a monte delle iscrizioni a ruolo dei procedimenti civili e non gravare i ruoli oltre modo.

A un magistrato cui sono affidati un certo numero massimo di procedimenti si dovrà e potrà chiedere una risposta in termine di efficienza lavorativa perché, fino a quando ciò non avverrà, saremo sempre davanti a un cane che si morde la coda in un girotondo di numeri e fascicoli che fa girare la testa senza più una risposta che possa concretamente individuare una chiara e precisa responsabilità. Forse è il tempo di questa elementare riflessione perché la soluzione si trova sempre nella semplicità e mai nella confusione.