Il bilancio
Tribunale di Sorveglianza, troppe istanze arretrate e diritti negati ai detenuti

È un grido di dolore che si ripete ogni anno, una via di mezzo tra la disperazione e la rassegnazione: la disperazione di chi è in carcere e subisce tutte le conseguenze negative, i diritti negati, le attese in tempi non sempre ragionevoli che il sistema provoca, la rassegnazione di chi ogni anno elenca dati e statistiche, cause ed effetti, ben sapendo che poco o nulla cambierà. Parliamo del settore dell’esecuzione della pena, il tribunale di Sorveglianza. A Napoli è davvero uno dei luoghi dove la giustizia affanna di più, dove le carenze e le disfunzioni del sistema giudiziario si incrociano con le criticità del sistema penitenziario. Risultato? Attese interminabili e diritti negati. Ovviamente per chi è in carcere, per chi sconta una condanna che dovrebbe avere un fine riabilitativo e non solo privativo, per chi è in quella sorta di discarica sociale che chiamiamo istituti di pena.
«Va ancora una volta rilevato come in molti istituti il numero dei ristretti è superiore alla capienza regolamentare fissata dalla direzione generale – si legge nell’ultima relazione sullo stato dei fatti presso il Tribunale di Sorveglianza di Napoli per cui a breve bisognerà eleggere un nuovo presidente – Sovraffollamento che comporta gravi problemi di gestione del quotidiano, carenze nel trattamento rieducativo dei ristretti e nell’assistenza sanitaria degli stessi, nonché notevoli difficoltà di convivenza tra i detenuti, acuitesi in questo anno a causa della naturale tensione dovuta al timore di contagio Covid e delle ben note vicende che si sono susseguite negli istituti penitenziari» ha evidenziato il presidente facente funzioni Angelica Di Giovanni consegnando nell’annuale relazione di bilancio di fine anno.
«Resta inoltre elevata la presenza negli istituti di soggetti con problematiche di tipo psichiatrico non adeguatamente assistiti per la loro specifica patologia e in più casi trattenuti in istituto carcerario nonostante la prevista destinazione in Rems o assegnati ad una casa di lavoro pur essendo stati in origine prosciolti per infermità di mente, e ciò a causa della carenza di ricettività delle Rems e/o dell’inadeguatezza dei servizi di salute mentale territoriali». Lo denunciano da tempo immemorabile i garanti e i penalisti più impegnati sul fronte della condizione penitenziaria e dei diritti dei detenuti. I diritti in carcere sono negati. Importa a qualcun altro? Non si riesce a garantire nemmeno il più elementare dei diritti, quello alla salute. «Si evidenzia la particolare situazione vissuta dal settore assistenza sanitaria penitenziaria del distretto che specificamente e insieme a tutti gli altri circuiti penitenziari paga lo scotto di una inequivoca confusione logistica e istituzionale per una carenza di univocità e uniformità di informazione prima e di formazione dopo».
Una «confusione» che dura da tanto, troppo tempo. Possibile che in tanti anni non si sia riusciti a risolvere il problema? Possibile che si lascino migliaia di persone in una condizione che è al di sotto di ogni limite di vivibilità? In Campania, infatti, si fa riferimento a una popolazione di 6.065 detenuti, 3.800 dei quali rientrano nella sfera di competenza del Tribunale di Sorveglianza di Napoli. Una popolazione vastissima, divisa soprattutto tra la casa circondariale di Poggioreale (2.219 detenuti su una capienza regolamentare disponibile di 1.517) e il centro penitenziario di Secondigliano (1.183 su una capienza di 1.071). Ancora critico anche il tema della tutela della salute mentale: risultano attive quattro Rems (tre nel Casertano e una nell’Avellinese) e persistono difficoltà di raccordo con i dipartimenti di salute mentale delle Asl e i servizi sociali del territorio, «spesso non adeguatamente attrezzati per la predisposizione di piani terapeutici individuali idonei a consentire la dimissione e il reinserimento in società degli internati in tempi rapidi».
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