Mai elezioni di mezzo termine furono così ansiogene per gli Stati Uniti da molto tempo. Le elezioni di mezzo termine servono per certificare il gradimento di un presidente mentre si trova a metà strada del suo quadriennio e Joe Biden è messo molto male. In verità l’intera coesione politica e sociale degli Stati Uniti è in una terribile crisi. Ciò che distingue gli Stati Uniti d’America da tutti gli altri grandi stati di lingua inglese e dunque figli dell’impero britannico, è che solo gli Stati Uniti sono periodicamente percorsi dalla sensazione di una guerra civile imminente.

Oggi gli Stati Uniti hanno questa sensazione. La sinistra si colloca sempre più a sinistra con Sanders avvicinandosi per la prima volta al concetto europeo di sinistra di sapore socialista e anche comunista, lontano dai modelli democrats kennediani o obamiani. E la destra è quella di Trump, che non è “più a destra” del Ku Klux Clan (che è sempre stato il nerbo dei democratici reazionari del Sud) ma è isolazionista e al tempo stesso brutalmente espansiva. La linea su cui Trump trova i suoi consensi in questo momento crescenti (è probabile che prenda il Senato) è quella dell’ “America First” regolarmente malintesa dagli europei che hanno tutto da perdere.

È quella dottrina sia economica che identitaria che spacca l’America in due come è già successo con le due tremende guerre della rivoluzione americana e della guerra civile, per poi tornare a dividersi sull’interazione razziale imposta a mano armata con la Guardia Nazionale da Kennedy e Johnson, fino alla più divisiva guerra del Vietnam in cui gli Usa si trovarono in condizioni simili a quelle in cui si trova oggi la Russia, biasimata persino dalla Cina, mentre tutti i maschi idonei alle armi si accalcano alle frontiere per fuggire. Ai tempi del Vietnam i ragazzi americani fuggivano in Canada e l’America fu percorsa per questo da un brivido nazionalista anti-inglese applicato ai canadesi che ospitavano i disertori americani senza aver mandato un solo soldato a sostenere gli antichi alleati. Anche allora, negli States si diffuse una corrente “patriottica” simile a quella che aveva fatto scoppiare nel 1812 una guerra di annessione del Canada, per riacciuffare e punire i coloni lealisti alla Corona che avevano tradito la Rivoluzione. Furono in molti a tuonare contro i canadesi e a chiedere di nuovo una lezione per recuperare i disertori e castigarli a norma di codice penale militare.

Il Canada era, e restò poi sempre, nella stessa posizione della Vandea durante la Rivoluzione Francese. Oggi non ci sono screzi col Canada, ma per esempio Trump solletica il nazionalismo americano anche nei confronti dei canadesi che sono considerati, malgrado la lingua e la geografia, degli europei che sui francobolli mettono la testa della regina e adesso del re. Ma l’America oggi ha questioni ben più importanti delle beghe storiche, L’inflazione galoppa come da noi e questo fatto inevitabilmente terrorizza gli americani molto più della questione ucraina perché in quel Paese inflazione significa chiusura delle aziende e disoccupazione. Anche noi abbiamo di fronte lo stesso mostro, ma con un tasso di ansia molto minore perché siamo abituati da sempre a far uso di ammortizzatori sociali e il ricorso al debito per restare in piedi, mentre in America se non si prendono dei provvedimenti immediati, ecco tornare lo spettro della grande crisi del 1929 con milioni di americani alla fame.

Le banche centrali hanno subito deciso, a cominciare dalla Fed, ad alzare il costo del denaro sapendo che così facendo si butteranno fuori dalla scialuppa di salvataggio molti naufraghi. Ma il problema è globale, tant’è vero che tutte le banche centrali si convertono alla corsa dei tassi e l’Italia che è rimasta indietro si vede precipitata nell’inferno dalle stime del Fondo monetario che prevede nel suo outlook per l’Italia una crescita sottozero. Addio folli speranze del Pnrr, che in America è un oggetto sconosciuto. L’America dei repubblicani fedeli a Trump vuole ancora di più, oggi che la prospettiva di guerra esiste e anzi ci insegue: chiudere e sigillare i rapporti con la nemica e matrigna Europa, fonte e origine di guerre e massacri.

Dunque, per ora le previsioni suggeriscono un consolidamento della destra repubblicana, che non ha nulla a che fare – per intendersi – con la destra repubblicana dei Bush o di Ronald Reagan. E se saranno confermate dopo il voto del martedì che segue il primo lunedì di novembre, il loro esito suonerà come una campana a morto per Joe Biden. E mentre i giorni corrono e la data si avvicina, lo scontro fra le due Americhe si approfondisce sulla questione dell’immigrazione clandestina, che arriva dal Messico ma che parte dall’America centrale e che è stata affrontata da tutti i presidenti americani, da Bill Clinton a Obama a Trump, con il tentativo di sigillare le frontiere col Messico lunghe migliaia di chilometri.

Ma adesso c’è la guerra. Intendiamo questa parte della guerra ucraina che si è sviluppata nelle ultime settimane con una escalation di cui il cittadino americano percepisce soltanto la minaccia nucleare. L’uso delle Nukes, le bombe atomiche e all’idrogeno che negli Stati Uniti aveva procurato durante gli anni Cinquanta e Sessanta una sindrome diffusa che portò a un ulteriore crisi di pessimismo e di sfiducia nel futuro, che poi fu gradualmente cicatrizzata dalla fine della guerra del Vietnam. Tutti sapevano – ne scrivemmo qui anche noi– che una amministrazione democratica sarebbe stata vista come il fumo negli occhi dal Cremlino e da Putin che detestava, ricambiato, Bill Clinton come poi Obama. Obama irritò tremendamente Putin quando il presidente americano disse in una intervista di aver conosciuto Putin e di non esserne stato particolarmente colpito salvo per il fatto che gli sembrava il bullo dell’ultimo banco che a scuola ti aspetta fuori per prenderti a pugni.

Le cose andarono ancora peggio con la segretaria di Stato Hillary Clinton apertamente schierata a favore di una politica di containment, la cintura sanitaria nei confronti della Russia preda prima degli oligarchi e poi governata dal pallido ex tenente colonnello del Kgb Vladimir Putin. Come tutti ricordano, Putin fece un tifo abbastanza sfegatato a favore di Trump e in America furono aperte molte inchieste sul tentativo russo di influire sul voto a favore di Trump. Non sapremo mai che cosa sarebbe accaduto se Trump fosse stato presidente quando è nata la decisione russa di invadere e sterilizzare l’Ucraina da qualsiasi tentazione di far parte della Nato e dell’Unione Europea. Donald Trump oggi dice che se ci fosse stato lui quella guerra non sarebbe scoppiata perché avrebbe rassicurato i russi del fatto che l’America non aveva alcuna intenzione di creare basi militari ai suoi confini. Non lo sappiamo, ma è probabile.

Allo stato attuale i Democrats sono vissuti dal ventre molle del Mid West e del Sud come dei rissosi guerrafondai incapaci. Di mantenere un dialogo aperto con gli avversari anche nei momenti più difficili i Democratici in genere sono forti nelle grandi metropoli a partire da New York, dove però l’amministrazione democratica ha fallito miseramente. Ma nell’America della grande provincia i repubblicani avanzano specialmente tra i giovani. Durante un mio recente viaggio in Florida rimasi molto sorpreso del fatto che gli adolescenti, bianchi e neri, ricchi e poveri, si dichiarassero entusiasticamente repubblicani, anzi trumpiani.

In Florida del resto cresce politicamente, successo dopo successo, un repubblicano considerato il numero due del partito, Ron DeSantis che governa lo Stato del Sole raggiante, che si è reso famoso per aver concentrato i migranti illegali nella loro Capalbio, che sarebbe Martha’s Vineyard, un’isola del Massachussetts, paradiso tradizionale dei ricchi Democrats. DeSantis reagiva con spavalderia alle disposizioni di Biden che dalla Casa Bianca aveva decretato di assegnare una quota di migranti alla Florida. Ne è nato un duello violentissimo tra Casa Bianca democratica e Stato della Florida governato da Ron DeSantis. La questione dell’immigrazione clandestina è in America un aspetto molto delicato della politica interna perché gli States sono per definizione passata in Costituzione una “land of opportunities” aperta a tutto il mondo e la popolazione americana è costituita in prevalenza dai figli delle decine di ondate migratorie dall’Europa e poi da tutto il resto del mondo, oggi specialmente dall’Asia.

Ron DeSantis ha capito che quello degli immigrati non regolari era il più popolare su cui raccogliere voti, e ha spinto per la chiusura della Florida alle ondate migratorie, benché la Florida sia abituata per lo più da americani di origine latina, sia cubana che messicana. i figli e i nipoti degli emigrati sono ovunque ostili all’arrivo di nuove ondate di popoli che abbandonano il Salvador, il Nicaragua, l’Honduras e i Caraibi. Le spaccature interne alla società americana sono trasversali, alcune dilatano vecchie crepe e altre sono relativamente nuove, ma nel complesso cresce in America il disinteresse per il resto del mondo e un istinto isolazionista che vecchio quanto la dottrina isolazionista di Monroe, ma oggi diventa pressante e minaccioso.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.