Quel che in genere i critici dell’America come nazione e storia di una nazione non capiscono quasi mai è la natura dell’American Exceptionalism: per quale accidente di motivo gli Stati Uniti d’America sono un Paese che non può essere confrontato con qualsiasi altro. I grandi Paesi di lingua inglese figli della madrepatria britannica sono tanti: dal Canada all’Australia alla Nuova Zelanda e in parte anche il Sud Africa che adesso va coi Brics, cioè con i cinesi e i russi in salsa carioca. Ma il punto è un altro: gli Stati Uniti d’America sono un inimitabile Paese perché sono instabili. In perenne crisi identitaria, lacerati da un proprio antiamericanismo interno che minaccia da sempre e per sempre una guerra civile.

Oggi come ieri, le Americhe sono due: quella dei democrats e quella della mitragliatrice in giardino sulla cui canna fumante arrostire il bacon, come mostrava in un video il senatore repubblicano del Texas, Ted Cruz. L’America è un Paese vitale perché affetto da auto-odio, auto-disprezzo, furia antiamericana. Noi non ne abbiamo la più pallida idea. In genere gli italiani non capiscono l’America neanche se la abitano o se la confondono con Manhattan. Era l’estate del 1999 e mi trovavo davanti all’oceano a Long Island in compagnia di Arnold Beichman, firma storica del Washington Time (da non confondere col Post). Arnold è morto un anno fa e ha lasciato un’eredità di articoli micidiali sui luoghi comuni antiamericani, con il suo temperamento di figlio di emigrati ebrei ucraini. Mi regalò una copia del suo Anti-American Myths, i miti antiamericani, con una geniale prefazione di Tom Wolfe, quello che descrisse i radical-chic nel Bonfire of The Vanities. Ci sarà una ragione per cui i canadesi sono canadesi e somigliano molto più ai belgi, pur vivendo in America e parlando inglese (quasi) come gli americani? Perché nessun altro Paese di lingua inglese ha fatto un pieno maggiore di diversità incomponibili, ma legate tutte insieme da una Costituzione geniale.

L’America di oggi, di questi anni, mesi e ore, è una polveriera con sotto una miccia corta, e lo è sempre stata. La Rivoluzione Americana che precedette quella francese fu molto più feroce e spietata di quella bolscevica e fu talmente ideologica che un terzo dei coloni scapparono a gambe levate in Canada per farsi proteggere dal re di Londra inseguiti dalle truppe rivoluzionarie così come accadde nella Vandea francese. Fu per un motivo ideologico che l’America tentò di prendersi il Canada e mettere al muro i traditori della rivoluzione se il governo di Sua Maestà non avesse mandato una flotta a bombardare Washington con la stessa violenza con cui i russi hanno devastato Mariupol. E chi pensa che la Guerra Civile americana fosse una vicenda post-coloniale non ha idea del carattere ideologico di un conflitto di posizioni etiche e non solo economiche in cui letteralmente i fratelli uccidevano i fratelli, con quasi un milione di morti e mutilati. Mai vista una strage del genere prima della Grande Guerra europea alla quale gli americani mandarono anche i vecchi generali che avevano combattuto in uniforme confederata, cioè sudista. La guerra civile scoppiò dalla secessione proclamata contro l’elezione del primo Presidente Repubblicano Abraham Lincoln.

Eterni fautori della pena di morte perché costretti a vivere e cavarsela nella frontiera e oltre la frontiera. Tutto il gruppo che aveva complottato per assassinare Lincoln fu impiccato in una grande cerimonia pubblica in cui l’esecuzione più orrenda fu quella della sorella dell’assassino che possedeva la taverna in cui era stato ordito il complotto e che fu appesa per il collo legata alla sedia da cui non riusciva ad alzarsi per una dolorosissima dismenorrea e che penzolò per quaranta minuti prima di morire. E non era affatto un’America figlia di galeotti e deportati come invece fu l’Australia: le tredici colonie erano perfettamente regolate in senso democratico ancor prima di gettare a mare il tè destinato agli inglesi in nome del principio secondo cui chi paga le tasse ha diritto a controllare come si spendono i suoi soldi. Funzionavano corti e scuole, università e anche un ben organizzato Continental Army agli ordini del generale Georges Washington, in uniforme blu.

E quando gli americani decisero nel 1918 di venire in Europa per capovolgere le sorti del conflitto che vedeva i tedeschi a un passo dalla vittoria, si misero con pazienza metodica ad addestrare rozzi agricoltori del Kentucky che arrivarono già malati della tremenda “influenza” poi detta “Spagnola” e vinsero la guerra per tutti gli europei snob e teste coronate che si spartivano il mondo. Fu allora che l’America rivoluzionaria e idealista si piazzò in Europa e combinò tutti i disastri che portavano la firma del presidente Woodrow Wilson che voleva raddrizzare i maledetti europei e cominciò a fare a pezzi l’Europa in combutta col presidente francese Georges Clemenceau creando le condizioni dell’inevitabile seconda guerra mondiale: fu allora che un giovane genio che faceva parte della delegazione britannica alla conferenza di Versailles se ne tornò sdegnato a Londra perché vedeva nell’idealismo autoritario degli americani il seme della catastrofe.

Ed è questo che anche oggi l’Europa e gli europei non capiscono, non riescono a ficcarsi nella mente: gli americani sono prima di tutto idealisti di molti ideali comuni ai nostri – milioni di americani si dichiarano oggi marxisti convinti e soltanto nelle università americane esistono e prosperano cattedre di marxismo – e poi coltivano in modi controversi e spesso opposti l’idealismo americano della libertà di movimento, di scambio, d’amore libero che ha visto le donne americane viaggiare da sole col loro pick-up con un fucile, un plaid e un sogno da realizzare. George Friedman il “forecaster”, da non confondere con tutti gli altri Friedman, è uno dei migliori analisti d’America e autore di una quantità di saggi sulla società americana ed è stato il primo a mettere in colonna gli elementi che identificano la diversità americana e il motivo per cui l’America è contemporaneamente fraintesa e odiata, scambiata per i simboli di Hollywood e ignorata. Friedman cominciò con le previsioni del tempo, poi parlò dei raccolti, infine delle correnti economiche, politiche e delle idee rilevanti.

L’America è sempre stata il bollitore di un caos magmatico di fronte al quale gli osservatori europei e italiani in particolare non sanno che dire e balbettano luoghi comuni sulle diaboliche multinazionali. Gli americani di oggi sono prima di tutto dei feroci antiamericani e la divisione delle razze e dei generi ha moltiplicato le diversità e le prerogative gelose di ogni gruppo etnico o di identità sessuale: prima di tutto un giovane americano oggi che non sia un bianco di lingua inglese, cerca di inserirsi in un gruppo che possa definire sé stesso come la patria degli oppressi. L’unico elemento che unisce gli americani è il desiderio di vivere come vogliono lontani dallo Stato e dalle sue regole, facendo profitti quanti ne bastano per decidere di sé stessi.

Ciò che Trump aveva intercettato, e che in Europa quasi nessuno ha capito, è il formidabile desiderio americano di mandare a quel Paese tutti e pensare solo a sé stessi.
Ma i criteri fondamentali che reggono questa amministrazione come qualsiasi altra, consistono nel cercare di dare agli elettori quel che non sanno ancora di volere. Ha un senso tutto ciò? Probabilmente no, ma l’America ha avito da quando esiste un unico senso: quello di un pianeta staccato dalla Terra, abitato da evasi e da fuggiaschi e da pionieri alla ricerca di una terra lontana da ogni radice e possibilmente in cui ognuno possa stare da solo o in gruppi sempre più ristretti. Tutti i discorsi che cominciano con “l’America è” o “gli americani sono”, è quasi sempre falsa in partenza. Una previsione? Gli americani sono stufi di un’Europa imbelle e sono tentati di venderla alla Russia così come un giorno la Russia vendette agli americani l’Alaska.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.