«Tra Tronti e Bettini non ho dubbi: sto con il primo. E dico a Zingaretti: il vero problema del Pd non è il “poltronismo” ma il giudizio sul governo Draghi. Sta qui il vero spartiacque. Per Tronti, rappresenta una straordinaria occasione anche per avviare una riforma di sistema, mentre per Bettini sembra essere il frutto indigesto di una operazione perpetrata dai “salotti buoni”. Zingaretti cosa ne pensa? I discorsi di Draghi, come quelli della Cartabia per fare un esempio, sono dentro a pieno titolo nella ricerca di identità del Partito democratico o ne sono fuori, se non addirittura un ostacolo? Il Governo Draghi è un’occasione da cogliere o da subire? Quando leggo poi ciò che afferma Bettini, che seguo con attenzione, su Il Foglio, mi viene alla mente una considerazione di Keynes: “Le difficoltà non risiedono nelle nuove idee ma nel sottrarsi alle vecchie che ramificano in ogni angolo della mente”». Più che una intervista a tutto campo, l’intervista di Claudio Petruccioli – una vita nel Pci, più volte parlamentare, direttore de L’Unità e presidente della Rai – a Il Riformista, ha i caratteri di un manuale della buona politica, in sintonia con il suo ultimo libro. Rendiconto. La sinistra italiana dal Pci ad oggi (La Nave di Teseo editore).

«Lo stillicidio non finisce. Mi vergogno che nel Pd, partito di cui sono segretario, da 20 giorni si parli solo di poltrone e primarie». Così Nicola Zingaretti ha motivato le sue dimissioni da segretario dei dem. Siamo al cupio dissolvi del Partito democratico?
Di solito queste cose si cerca di spiegarle andando alla ricerca di quello che c’è dietro. Fatica sprecata. A mio avviso, i fatti importanti, e questo indubbiamente lo è, bisogna cercare di capirli riflettendo su quello che è evidente, non su quello che è nascosto, o si presume lo sia.

Cioè?
Per me la cosa molto evidente è che con la decisione del presidente della Repubblica di affidare a Draghi l’incarico di formare il nuovo Governo, è avvenuto un cambiamento sostanziale dell’orizzonte e delle coordinate in cui si muovevano tutte le forze politiche e in particolare il Pd. Ed è del tutto chiaro che le cose non possono continuare come erano andate avanti fino a quel momento. Se questo vorrà dire che il segretario non sarà più Zingaretti, o se lo indurranno a ritirare le dimissioni, vedremo, ma non è decisivo. La domanda da porsi è la seguente: che cosa pensa il Partito democratico nella sua interezza, e lo stesso segretario Zingaretti, che cosa pensano realmente del governo Draghi? Lo considerano per l’Italia, l’Italia di oggi, nella situazione in cui si trova da tutti i punti di vista, un passo avanti, un miglioramento, qualcosa che apre una prospettiva migliore per il Paese, oppure un regresso rispetto a quello che c’era prima? Noi sappiamo che il Pd e Zingaretti quando ancora non si sapeva cosa avrebbe fatto Mattarella, erano attestati sulla linea “o si fa un Conte ter oppure si va al voto”. Non hanno mai alluso ad una possibilità diversa. Probabilmente perché non la pensavano, non la ritenevano possibile. È stato Mattarella che ha deciso quanto è avvenuto, secondo me facendo uno degli atti più importanti, significativi e coraggiosi fra quelli compiuti dai capi di Stato della Repubblica italiana, assumendosi la responsabilità di affermare che in queste condizioni non è possibile anticipare il voto. Questa cosa ha cambiato completamente il quadro in cui agiscono le forze politiche. Sta cambiando tutto. La Lega, ad esempio, non solo con Giorgetti ma con lo stesso Salvini, sembra voler cogliere l’occasione del governo Draghi per togliersi di dosso la polvere sovranista e anti Europa; hanno capito che con quella polvere addosso non possono governare l’Italia; tanto più quando ci deve arrivare dall’Europa una valanga di euro. Quanto ai 5 Stelle, stanno vivendo una complicata, problematica ma effettiva fase di trasformazione. Sembra vogliano diventare un partito governativo multiuso anche se pencolante sul centrosinistra (c’entra comunque anche in questo caso il rapporto con l’Europa). Per riuscirci si affidano alla leadership di Conte.

E il Pd?
I suoi precedenti parametri di riferimento sono entrati in crisi, o quanto meno sono diventati aleatori. La rispolveratura in chiave europea della Lega non dico vanifichi la funzione di “argine” al sovranismo ma la rende meno decisiva. Quanto a Conte, allo stato non è più il federatore di un’alleanza che corrispondeva grosso modo alla vecchia maggioranza giallorossa, ma diventa il leader di un partito concorrente, anche se potenzialmente alleato. Per non dire della volontà, fino a poco fa fermissima, di restaurare il sistema elettorale proporzionale; sembra sia diventata prevalente la voglia di avere una legge maggioritaria per assemblare un’alleanza in grado di competere. Per capire un po’ meglio il bivio in cui si trova il Pd, mi sono state utili due letture: l’articolo di Goffredo Bettini su Il Foglio del 19 febbraio, e l’intervista a Mario Tronti, su Il Riformista il 18 febbraio. Lo dico subito: io sono d’accordo con l’analisi che fa Tronti. A cominciare dal giudizio sul governo Draghi. Ma partiamo da Bettini. Lui dice che – al di là dei numeri improvvisamente mancati per decisione di Renzi – il governo Conte è caduto e la coalizione non è riuscita a reggere perché quel governo non piaceva «al salotto buono della borghesia italiana – sono parole sue – che si è comperata giornali e che ha preso d’assalto Confindustria. Un “salotto” che – cito ancora l’autore – vuole una Europa che prima di essere Europa deve essere atlantica. Siamo alle solite – sentenzia Goffredo – Si accampano parole confuse, ormai gergali, innovazione, riformismo, modernizzazione, per abbellire il ventre molle di una parte d’Italia che non intende cambiare». Bettini parla di Conte come fosse la reincarnazione di Allende. Con la fine del suo secondo governo la parte più progressiva dell’Italia sarebbe stata bloccata, impedita. Da questa analisi scaturisce necessariamente il giudizio che il passaggio dal governo Conte al governo Draghi segna uno spostamento a destra nella situazione italiana.

Mentre Tronti?
Mario Tronti non ha fantasie complottiste, ma lucidamente afferma che è fallita non la politica bensì una classe politica. E aggiunge: «si è detto e ripetuto che non c’era un’alternativa al Conte II. C’era invece; e se fossimo arrivati sei mesi fa, questa soluzione avrebbe avuto più tempo per sistemare le cose. Si è detto che Conte era l’unico equilibrio nella maggioranza. Non lo era, altrimenti anche l’iniziativa più spericolata non avrebbe incontrato il clamoroso successo che ha avuto. La soluzione Draghi offre più opportunità che rischi, mentre quella di Conte offriva più rischi che opportunità». Io aderisco senza riserve a questi giudizi di Tronti. Una valutazione più lontana da quella di Bettini non si potrebbe trovare. C’è, poi, una parte del ragionamento di Tronti che considero particolarmente importante: laddove invita a non annegare il giudizio sul governo Draghi in una valutazione generica sui governi “tecnici” che si sono presentati sulla scena politica italiana negli ultimi decenni. «Solo oggi, rimarca Tronti, si è forse nelle condizioni di aprire una fase di transizione, da guidare a livello di governo, da accompagnare sul terreno dei partiti per un tempo di decantazione da utilizzare al meglio… C’è niente meno che da ridisegnare i confini della divisione dei poteri – esecutivo, legislativo, giudiziario… Adesso la prospettiva diventa, o meglio può diventare, sistemica perché rimette in gioco tutte le forze in campo». Se ci si muove in questa direzione – secondo Tronti e anche a me questo sembra il punto decisivo – «l’evoluzione di sistema renderebbe possibile un bipolarismo tra coalizioni alternative, progettualmente e politicamente motivate»; quindi c’è da tornare a riflettere bene sulla scelta della legge elettorale, e non sarei sicuro – dice Tronti – che un proporzionale puro sia la soluzione migliore. Le forze politiche, è il suo auspicio perentorio, usino questo tempo per misurarsi con queste cose. E qui c’è il nodo politico essenziale che il Pd è chiamato a sciogliere.

Quale è il nodo?
Con o senza Zingaretti segretario. Siamo nella possibilità di affrontare davvero una riforma di sistema (parentesi nostalgica mia: anche con Ciampi ci sarebbe stata questa possibilità, ma l’allora Pds la vanificò con la scelta, che ho sempre ritenuto sciagurata, di ritirare dopo neanche dieci ore i propri ministri da quel governo). «Aspetto con pazienza – dice Tronti e io con lui – che la mia sinistra si liberi di questa vera e propria ossessione per i 5Stelle. Una ossessione che, per paradosso, più ci si sposta sulla sinistra nel centrosinistra e più diventa totalizzante». Bettini fa un’analisi che sta all’estremo opposto. Perché l’alleanza con i 5Stelle viene giudicata come essenziale addirittura per unire non solo la sinistra ma il “campo democratico” – parole di Bettini – contro la destra sovranista. Ancora una volta, l’alternativa non è vista, come dice Tronti, tra coalizioni progettualmente e politicamente motivate. In altri termini il “campo democratico” non deve limitarsi a una coalizione “nazionale” (vedi il “partito della nazione”) che fronteggia un campo non democratico e non nazionale. Perché le cose vadano bene di “coalizioni della nazione” devono essercene due che competono in modo libero e motivato, con la prevalenza – di volta in volta – dell’una o dell’altra. Lo schema di Bettini è invece ancora quello vecchio, modello Comitato di liberazione nazionale: il campo democratico deve contrastare la destra pericolosa per la democrazia e per la nazione. Bettini continua ad affidare la funzione e l’azione politica del Pd a quello schema; in qualche caso con buoni motivi (per esempio di fronte ad un Salvini che straparla di “pieni poteri”) ma molto spesso in modo artificioso. Soprattutto, però, come argomenta benissimo Tronti, restare avvinghiati oggi allo schema Cln impedisce di cogliere le straordinarie opportunità rese possibili nella situazione creata dalla decisione di Mattarella e dall’impegno di Draghi, dalla garanzia che esso rappresenta. Altro che dire che questo Governo a guida Draghi è frutto di un complotto del ”salotto buono” della borghesia italiana! È un’occasione per l’Italia, non solo finanziaria ma politica. Insomma, cosa è il governo Draghi per il Pd? È un’occasione per cui i dem possono dire ecco, con questo Governo l’idea che noi abbiamo di riassetto, di riforma di sistema, possiamo realizzarla più agevolmente di prima, perché c’è Draghi, perché c’è quel pacchetto di mischia che Draghi ha messo nei punti chiave del Governo per la gestione del Recovery fund o no? Nel governo ci sono persone di valore assoluto, come Colao, la Cartabia, Franco, Cingolani e altri ancora.

Tecnici di alto profilo…
Ma quali “tecnici”! Se si prendono gli ultimi cinque discorsi di Draghi, troviamo un pensiero, una linea di carattere politico, di politica economica, una visione della società, una concezione della democrazia, dell’Europa, del mondo. Il Partito democratico che va alla ricerca della sua identità, le idee, i discorsi, di Draghi e degli altri stupidamente etichettati come “tecnici”, le cose che hanno fatto, li considera omogenei, intrecciati con quella che è la sua visione, oppure li vede come una cosa estranea, lontana da sé? Inizino a chiarire questo, invece di dare la sensazione che questo Governo è qualcosa che non sentono proprio, che non gli appartiene, a cui sono stati costretti, a cui si sono dovuti piegare. Ma cosa deve pensare l’Europa, non solo le cancellerie ma anche i partiti più affini al Pd, dei tempi, dei modi, e delle considerazioni scelte da Zingaretti per motivare le sue dimissioni? Non gli è venuto in mente che fuori dai nostri confini le persone migliori, anche quelle di sinistra, le più vicine alle idee e alle posizioni che dovrebbero essere del Pd possano domandarsi con fondata preoccupazione cosa sta succedendo in Italia? Che possano chiedersi dove andiamo se anche il Pd è in queste condizioni? Eccolo il punto. E allora, caro Nicola, lascia perdere le poltrone e cimentati su questo. Con chi sei d’accordo, con Tronti o con Bettini? E se volete fare un congresso prendete i due scritti che ho usato anche io e trasformateli in due mozioni. Vedrete che la discussione e le conclusioni saranno utili e chiare.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.