Con toni pacati ma fermi, con un ragionare che nulla concede al battutismo o ad una politica ridotta a spot, narrazioni senza pensiero e fake news a volontà, Pierluigi Castagnetti, già esponente della Democrazia Cristiana, del Partito popolare italiano di cui fu l’ultimo segretario, de La Margherita e del Partito Democratico, di cui è stato uno dei fondatori, più volte parlamentare ed eurodeputato, motiva a Il Riformista il suo “No” nel referendum sul taglio dei parlamentari.

Qual è, a suo avviso, la vera posta politica nel referendum sul taglio del numero dei parlamentari?
La posta politica è un peggioramento del funzionamento delle nostre istituzioni. Non drammatizzo, non dico che c’è il rischio di una involuzione autocratica, dittatoriale. Ma sono convinto che questo referendum può rappresentare; a) un occasione sprecata; b) una deriva che procede nella direzione della rimozione della centralità del Parlamento su cui si è costruito tutto il nostro assetto costituzionale.

Il Pd ha deciso di schierarsi ufficialmente per il Sì, con un voto a larghissima maggioranza della Direzione. Zingaretti ha ribadito che in caso di vittoria del No il governo “non cadrebbe” e ha marcato le differenze sulle ragioni del voto rispetto al M5S. Non sarebbe quindi una questione di risparmi – che sarebbero “minimi” – definiti “motivazioni banali” – quanto un modo per arginare “l’inarrestabile vento del populismo” e, soprattutto, far seguire “altre riforme”. Per questo il segretario Pd ha anche lanciato una “raccolta firme per il bicameralismo differenziato”, ipotesi avanzata da Luciano Violante in accoppiata al via libera per una proposta di legge di iniziativa popolare. Come valuta questa posizione?
È una posizione intelligente, solo che andava assunta prima. Purtroppo noi votiamo un testo di referendum in cui non c’è alcuna allusione alla modifica del bicameralismo paritario. Che dopo questo referendum, questo Parlamento sia in grado di integrare con altre modifiche costituzionali, è un atto di fede. Il segretario avrebbe dovuto riflettere sulle ragioni di merito per cui per 3 volte il Pd ha votato contro questo progetto: gli argomenti di merito usati dai Democratici in Aula sono rimossi improvvisamente? Basterebbe riflettere sul fatto che molti Democratici che votano No al referendum sono rimasti fermi a quelle valutazioni. Il sì nella quarta lettura è frutto di un accordo politico per dar vita a un governo. Questo non lo discuto, ho condiviso l’operazione che ha portato al Conte II, quindi non rimprovero Zingaretti di averla fatta ma questa condizione sulla riforma costituzionale doveva essere accompagnata da altri provvedimenti. In quella trattativa sono stati indicati cinque altri provvedimenti compensativi, nessuno dei quali è stato approvato. Quindi si va al referendum sulla riforma non avendo approvato nessuno dei correttivi che erano stati concordati con i 5Stelle. Su questo c’è una responsabilità del PD che non può essere rimossa. Quando si tratta bisogna essere capaci di farlo, capaci di portare a casa dei risultati. Oggi si va al referendum con la promessa dell’incardinamento della riforma elettorale il 28 settembre. Penso che la riforma elettorale questo Parlamento non è in grado di farla. Se si fosse fatta immediatamente dopo l’accordo e prima della quarta lettura, allora anche Italia Viva era disponibile perché pensava di potere avere un risultato a due cifre, adesso non è più disponibile, e dunque non c’è la maggioranza. Di che cosa stiamo a discutere!

La nostra democrazia si è retta per lunghissimo tempo sul sistema dei partiti. Ma cosa sono diventati oggi i partiti politici?
I partiti politici oggi non sono più lo strumento previsto dall’articolo 49 della Costituzione. Perché quell’articolo li ha definiti dei veicoli offerti ai cittadini per partecipare alla vita politica del Paese. Oggi non sono più all’altezza di questa funzione perché non sono in grado di organizzare una partecipazione interna e non sono espressione dell’elettorato. In secondo luogo, va detto che l’unico partito che ancora assomiglia a un partito tradizionale è il Pd, e purtroppo è il solo rimasto con almeno una organizzazione interna democratica, che non è poco, perché gli altri non hanno neppure questo. Questo è un dato di realtà su cui bisogna riflettere: i partiti politici oggi non sono degli strumenti per partecipare alle scelte politiche della nazione. Di questo bisogna tenere conto anche quando si farà una legge elettorale. Ho visto il progetto base di riforma elettorale che verrà incardinato il 28, in cui non ci si fa carico di una delle questioni fondamentali che ha alimentato l’antipolitica…

Vale a dire?
La possibilità che i cittadini abbiano la possibilità di scegliere chi li rappresenta. Perché per consentire ai cittadini di scegliere i propri rappresentanti, bisogna introdurre o il voto di preferenza o l’istituzione di collegi elettorali piccoli. Ma se non ci sono, aumenta la distanza dei cittadini dalle istituzioni. E per di più c’è qualche cosa che diventa odioso per me: i partiti che decidono loro le liste chiuse, tradiscono lo spirito della democrazia rappresentativa. In una qualche misura, i partiti tradizionali erano espressione di processi democratici. È sempre antipatico lasciare al partito la scelta dell’eletto, ma se il partito è, in un qualche modo, espressione di un processo democratico, puoi anche accettare questa forzatura, ma se i partiti sono dei club che vengono costituiti non si sa in quali sedi e comunque al vertice, e non sono espressione di processi democratici che partono dalla base, è veramente un abuso insopportabile per i cittadini. Dare ai partiti il potere di scegliere gli eletti direttamente, sapendo che questi partiti sono espressione di processi che non c’entrano nulla con la democrazia, con la partecipazione, con gli iscritti, è una cosa non solo odiosa ma allontana ancora di più i cittadini dalla politica, si sentono non rappresentati.

Che cosa succede il 20 e il 21?
Il taglio dei parlamentari non è una riforma è semplicemente uno spot. È un’occasione mancata, perché è fuori discussione che ci sia l’esigenza di rendere più efficiente il lavoro del Parlamento e di recuperare la centralità del suo ruolo. Ma se si vuole realizzare un obiettivo di maggiore efficienza, bisogna affrontare e superare il bicameralismo perfetto. Con questa riforma il bicameralismo diventa ancora più paritario, perché non c’è diversità di competenze da una Camera all’altra, non ci sarà più neanche diversità dell’elettorato che le esprime. E quindi il bicameralismo diventa una causa ulteriore di inefficienza del lavoro parlamentare. Per di più, se due Camere esattamente uguali nella loro formazione ed esattamente uguali nelle loro competenze, una è formata da 400 deputati, e l’altra da 200 senatori, accadrà che quando un provvedimento che è stato approvato da una Camera di 400 deputati, passerà a quella di 200, quella di 200 impiegherà più tempo, perché sono metà numero. Per me c’è un argomento politico che prevale: siamo sempre nella linea del populismo e dell’antiparlamentarismo. Questo clima va spezzato. E mi sorprende che alcuni costituzionalisti si siano fermati nelle loro valutazioni agli aspetti formali. La politica non ne esce se continua ad assecondare questi processi. La quarta lettura è stata fatta con il 97% dei sì perché tutti i partiti hanno paura di scontrarsi con la spinta populista del Paese. Ma bisognerà pur fermare questa deriva. Non vogliono sfidare il populismo insito nel Paese, che spesso è il frutto degli errori che hanno fatto proprio gli stessi partiti.

Ma è pensabile, oltre che possibile, fermare questa spirale mantenendo un’alleanza di governo con quel Movimento, i 5 Stelle, che di questa idea di politica ne è stato l’espressione? È possibile difendere la democrazia rappresentativa governando con quelli dell’uno vale uno?
Quando si vorrà finalmente fare un dibattito serio, approfondito, sul funzionamento della nostra democrazia, bisognerà che sia aperto a tutte le forze politiche, non solo a quelle della maggioranza. Bisogna fare come si è tentato di fare anche in passato, con esiti non positivi, per la verità, ma occorre dar vita a una commissione in cui siano tutti presenti, perché l’intenzione, la volontà, lo spirito dei costituenti – l’articolo 138 è stato fatto in quel modo – erano quelli di rendere rigido il modello costituzionale. Quel modello nella seconda parte della Costituzione lo si deve cambiare, perché in questi settant’anni la storia è cambiata e il tema della partecipazione non può essere affrontato come allora. La rivoluzione digitale impone di pensare a delle modalità di partecipazione assolutamente impensabili ai tempi della Costituente. È un tema molto serio questo della partecipazione. Se non c’è partecipazione non c’è rappresentanza. E se non c’è rappresentanza non c’è credibilità delle istituzioni. Se queste problematiche si vogliono affrontare con rigore e serietà, bisogna coinvolgere tutti. Detto questo, non voglio sviare dalla sua domanda.

Riforme sì o no con i Cinque Stelle?
La mia impressione è “no”, non è possibile fare questa strada con i 5 Stelle. Questo non vuol dire che realisticamente la politica possa prescindere dai dati esistenti. Anche a causa della pandemia è una situazione difficilissima e in questo quadro non c’è alternativa al governo Conte. Però, con i 5 Stelle non si può pensare di mettere mano alla Costituzione. Perché loro non ci credono nella Costituzione. Perché loro non credono nella democrazia rappresentativa. Basta pensare alle piattaforme con cui legittimano tutte le loro scelte. Ancora due anni fa Casaleggio diceva che il Parlamento non serve. La sinistra deve avere ben chiaro che il Parlamento è il perno, il motore della democrazia. Con i 5 Stelle si può governare per un tratto di strada perché un governo lo si deve pur dare al Paese, ma se si pensa di fare con loro, e solo con loro, o particolarmente con loro, la riforma della Costituzione, mi pare che si debba dire che no, non è possibile. Non per un pregiudizio, ma per un giudizio assolutamente rispettoso per le cose che hanno detto e che continuano a dire. Non a caso la proposta di riduzione del numero di parlamentari è stata avanzata all’inizio di questa legislatura assieme ad altre due proposte: una era quella del referendum propositivo, e l’altra era quella del superamento dell’autonomia dei parlamentari con l’introduzione del vincolo di mandato. I politici non possono non leggere gli eventi: li hanno presentati tutte e tre assieme, sono espressione di una volontà ben precisa: quella di ridurre l’autonomia e la centralità del Parlamento. Io non voglio dire che questa non sia più democrazia, ma è una idea di democrazia molto distante da quella su cui si è costruito il nostro Paese settant’anni fa.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.