Gian Carlo Caselli dice di essersi stufato delle critiche dei benpensanti che contestano la legittimità e la modernità del carcere duro, cioè del 41 bis. Caselli rivendica il suo diritto ad inveire contro i garantisti perché ritiene di avere conquistato questo diritto sul campo, facendosi “un mazzo tanto e maturando una esperienza concreta di contrasto alla mafia”.  La sua idea è molto chiara: se vuoi parlare di mafia, o anche semplicemente di Diritto, puoi farlo solo in quantità “proporzionale” alla intensità della battaglia che hai condotto contro la mafia.

È l’idea del “potere dei giusti”, la “giustocrazia”, che in fondo è la base fondamentale sulla quale, in tutti questi anni, è stata costruita la famosa “società dell’antimafia”, quella che – solo lei – può distribuire titoli, prebende, diritti, credibilità, prestigio. Chi non fa parte di questa società dei giusti deve tacere, o parlare pochissimo e sottovoce. Caselli è perfettamente interno a questa logica, però si esprime, rispetto ad altri, in forme più estremiste, oppure – se vogliamo essere oggettivi – in forme più chiare, meno ipocrite. È da questa idea, estesa oltre le praterie dell’antimafia, che è nato il grillismo che oggi domina, in gran parte, il paese e la sua (scarsa) cultura politica. La polemica contro i nemici del carcere duro e i fanatici della Costituzione (e della dichiarazione dei diritti umani del 1948) stavolta il dottor Caselli la scaglia contro un suo collega. Diciamo pure un suo collega che non ha fama di liberal. Precisamente Henry John Woodcock, noto come lo sceriffo italo-inglese di Napoli. Woodcock due giorni fa ha scritto sul Fatto Quotidiano uno dei pochissimi articoli ragionevoli comparsi su quel quotidiano dal settembre 2009 (scherzo…), criticando il 41 bis e la legislazione sui pentiti. Dell’articolo di Woodcock abbiamo riferito sul giornale di sabato scorso.

È vero che Caselli può rivendicare il suo “essersi fatto un mazzo tanto nella lotta alla mafia”? È vero. Sicuramente è vero (anche se io ho sempre pensato che il compito della magistratura sia quello di scoprire e perseguire i reati, e non quello di lottare contro fenomeni sociali, o politici, o anche criminali). Giovanni Falcone, cercando e perseguendo i reati, diede scacco matto, o quasi, alla mafia. Quando Falcone fu ucciso dal colpo di coda di Cosa Nostra, nel 1992, altri rappresentanti dello stato si trovarono nella sua trincea, per completare la sua opera. Ad esempio i carabinieri del generale Mori, che portarono a casa il risultato migliore possibile per i loro compiti: la cattura di Totò Riina, cioè il capo di Cosa Nostra, e la decapitazione della mafia siciliana.

Poi arrivò Gian Carlo Caselli – arrivò proprio il giorno della cattura di Riina – e lavorò ventre a terra per proseguire l’opera di Falcone e di Mori. Quando lui era Procuratore di Palermo la mafia subì nuovi colpo micidiali, con l’arresto di personaggi di grande calibro, come Bagarella, Brusca, Spatuzza. Dopo di lui arrivò Piero Grasso, e fu all’epoca di Grasso, nel 2006, che Renato Cortese, ufficiale di polizia (diretto da Giuseppe Pignatone) mise le manette all’ultimo grande capomafia, Bernardo Provenzano detto Binnu. Da quel giorno Cosa Nostra non è più la terribile organizzazione che aveva dominato, non solo in Sicilia, per decenni. In questo corpo a corpo tra Stato e Mafia Caselli ha avuto sicuramente un ruolo importante. Come lo hanno avuto il generale Mori e il dottor Cortese, Piero Grasso, lo stesso Pignatone e molti altri. Oltre naturalmente ai due “giganti”, e cioè Falcone e Borsellino, che lavorarono nonostante mezza magistratura e un bel pezzo di mondo politico remassero contro di loro. Purtroppo oggi alcuni di questi uomini di valore – di valore come Caselli – navigano in cattive acque. Forse travolti dall’invidia. Pensate che i due poliziotti che hanno preso Riina e Provenzano sono tutti e due sotto processo e hanno subito tutti e due, in primo grado, condanne a molti anni di prigione. Mori addirittura è stato accusato di avere trattato con la mafia. Con chi? Beh, con Riina. Ma non fu lui a catturalo? Si, però… Come si fa ad accusarlo di aver trattato con la sua “preda”? Non so, è illogico, però lo accusano, e nessuno dice loro di smetterla con questa sceneggiata…

Credo che su questo Caselli sarà d’accordo con me. Se lui ha maturato dei meriti sul campo, come è vero, certo non negherà i meriti dell’allora colonnello Mori. Caselli però protesta perché dice che i benpensanti sono contro di lui perché – sempre i benpensanti – vorrebbero abolire il 41 bis, cioè il carcere duro, dal momento che lo giudicano – adoperando semplici e logici ragionamenti – in aperto contrasto con la Costituzione.  Cos’è il 41 bis? Un regime di detenzione speciale, riservato a circa 600 persone, che vengono tenute in isolamento per decenni, senza Tv, senza giornali, senza contatti coi loro compagni di prigione, con regime alimentare duro, solo un’ora d’aria, limitazione fortissima dei colloqui coi parenti, insomma, situazione da medioevo. Fino a quando? Finché non si pentono. Si chiama carcere duro. Qualcuno – io per esempio – lo chiama tortura. È evidente che è tortura.

Ora, con tutto il rispetto per la cultura e la saggezza di Caselli, mi vedo costretto a fargli notare che i benpensanti non sono quello 0,2 per cento della popolazione Italiana che contesta il 41 bis, ma quel 99,8 per cento che vorrebbe renderlo ancora più duro. E infatti poi Caselli, nell’articolo di polemica con Woodcock, elenca i benpensanti: “Nessuno Tocchi Caino”, le Camere Penali e i media “schierati su questi fronti”. Che una associazione di militanti radicali, intitolata a Caino, sia contro il carcere duro, a me sembrava abbastanza prevedibile. Altrimenti avrebbero chiamato la loro associazione “Buttate la chiave”… Stesso discorso vale per le Camere Penali, che si ispirano a Beccaria, non a Salvini. Quanto ai media schierati contro il 41 bis, gli unici che conosco sono questo giornale sul quale sto scrivendo e radio radicale.

Detto tutto questo, e pur conoscendo molto bene la filosofia dei fautori della repressione come strumento fondamentale di governo di una società democratica, alcune delle frasi contenute nell’articolo di Caselli mi hanno colpito per la loro ferocia. Anche perché Woodcock, nel suo articolo, non aveva esposto tesi particolarmente estremiste. Si era limitato a dire che le leggi di emergenza non possono essere eterne, che il 41 bis è legale se risponde a esigenze di sicurezza ed è invece illegale se diventa uno strumento di indagine, cioè un modo per produrre confessioni, e aveva chiesto che si facesse più attenzione nell’uso dei pentiti, non solo per garantire l’equità della legge, ma anche per evitare cantonate. La storia dei pentiti che imbrogliano i Pm, e provocano cantonate dei Pm, del resto, è ricca di esempi, a partire da Palermo, dove un pentito ha mandato a monte le indagini sull’uccisione di Borsellino.

Quali sono gli argomenti di Caselli per contestare Woodcock? Essenzialmente tre. Il primo è che il 41 bis non deve essere considerato un provvedimento di emergenza perché la mafia non è un’emergenza ma è un fenomeno ordinario. Il secondo è che senza 41 bis le carceri tornano ad essere Grand Hotel (ha scritto proprio così). Il terzo è che la mafiosità è “una realtà che può cessare o con il pentimento o con la morte”. Non ho forzato questa frase. Seppure un po’ tremando, l’ho copiata esattamente nella forma nella quale l’ha scritta Caselli: “pentimento o morte”. Non ricordo di avere mai letto frasi di questo genere, così lontane da qualunque idea del diritto degli ultimi due secoli, al di fuori degli stati autoritari, pronunciate da un magistrato (nel nostro caso un ex prestigiosissimo magistrato che è stato Procuratore, è stato nel Csm, è stato giudice di Cassazione…). Mi chiedo se questa idea patibolare della giustizia, e del diritto (e dello Stato) sia solo una fuga per la tangente di Caselli. O se invece risponda, nel profondo, al modo di pensare di un pezzo, maggioritario, del paese, e della sua cultura recente, quella che ha prodotto il fenomeno dei 5 stelle, lo slittamento su posizioni reazionarie del PD, l’insalvinimento della destra. Temo che questa mia seconda ipotesi non sia infondata. E torno a tremare.

P.S. 1. Quanto al Grand Hotel carcere, evito commenti. È triste leggere queste parole. E sul 41 bis non emergenziale va detto solo che se è così è chiaro che nessuno al mondo può negare il suo essere totalmente anticostituzionale.

P.S. 2. Gian Carlo Caselli è una persona che per svolgere il suo mestiere nel modo che riteneva giusto, ha messo decine di volte a rischio la sua vita (all’epoca di Caselli era così). Io non ho mai messo a rischio la mia. Eppure sono convinto di avere esattamente lo stesso diritto che ha lui di esprimere le mie idee.

P.S. 3. Mai e poi mai, nella mia vita, avrei pensato di poter difendere Henry John Woodcock. E addirittura di apprezzare un suo articolo sul giornale di Travaglio. Spero solo che non mi capiterà, un giorno, di dover difendere Davigo

Avatar photo

Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.