La scorsa settimana, con la convocazione del vertice globale in occasione della Giornata mondiale della Terra, che ha richiamato leader di 40 paesi, il presidente Joe Biden ha riportato gli Usa alla guida delle politiche per il clima: il suo piano prevede di dimezzare le emissioni di gas serra entro il 2030. A sua volta, l’Unione europea si è impegnata a ridurre le emissioni di almeno il 55% nel corso del decennio. Obiettivi comuni, ma l’approccio delle due potenze economiche è molto diverso. Per ridurre le emissioni, gli Stati Uniti fanno affidamento sulle tecnologie verdi, sull’innovazione e sugli investimenti del settore privato. Secondo John Kerry, inviato presidenziale americano per il clima, gli Usa raggiungeranno l’obiettivo grazie ai progressi tecnologici in alcuni settori: idrogeno verde, batterie, cattura e stoccaggio del carbonio.

Washington conta su una capacità di mobilitare investimenti nelle tecnologie verdi di gran lunga più ampia rispetto a quella della Ue, dove la spesa è determinata dai diversi orientamenti degli Stati membri. Tuttavia Bruxelles, approfittando del disimpegno di Donald Trump, si è distinta di recente come la principale superpotenza climatica del mondo, combinando la sua forza regolatoria con gli investimenti in innovazioni energetiche, oltre a un sistema avanzato di tariffazione del carbonio. Inoltre, con il Green Deal che rilancia l’economia post-pandemica, l’Unione vuole abbreviare i tempi di alcuni obiettivi: emissioni delle automobili, ristrutturazioni degli edifici, energie rinnovabili.

Proprio ieri 27 grandi aziende – tra cui Coca Cola, Ikea, Sky, Uber, Volvo, e le italiane Enel X e Novamont – insieme con 6 associazioni di automotive, energia, sanità e finanza, hanno rivolto un appello alle istituzioni europee e ai paesi membri per vietare la vendita di auto diesel, benzina e ibride, per favorire il passaggio ai mezzi elettrici entro il 2035. Ma ciò che distingue nettamente l’Europa dall’America è la regolazione del prezzo del carbonio da parte dell’Ue attraverso il sistema di scambio di quote di emissioni (Ets): una misura che incentiva le industrie al passaggio all’energia verde. Il regime sarà progressivamente applicato a nuovi settori: trasporto marittimo, case automobilistiche, edifici. Ma la tassa di adeguamento alle frontiere del carbonio pianificata da Bruxelles, progettata per imporre i prelievi sulle importazioni da paesi senza meccanismi di prezzo del carbonio equivalenti, rischia di creare forti tensioni tra Usa e Ue.

Un’altra partita cruciale si gioca nel campo delle tecnologie. Sempre la scorsa settimana, la Commissione europea ha presentato i suoi piani per regolamentare l’uso dell’intelligenza artificiale. In pratica, se queste norme saranno adottate, l’Unione europea diventerebbe la prima potenza economica globale a proteggere i propri cittadini da una serie di abusi provenienti dall’uso delle tecnologie, dalle telecamere stradali alle banche dati di aziende e amministrazioni. L’iniziativa, inoltre, permetterebbe all’Europa di riposizionarsi nel duello in corso tra Cina e Stati Uniti. Pechino ha investito nella tecnologia in modo massiccio con applicazioni che consentono al governo di rafforzare la sorveglianza e il controllo della popolazione. Washington ha lasciato lo sviluppo dell’intelligenza artificiale al settore privato, diventando leader delle applicazioni commerciali.

Tra i due litiganti, l’Ue cerca una terza via capace di fare scuola in altri paesi come il Canada o il Giappone. Le istituzioni europee non vogliono però fermarsi alla sfera normativa: serve pure incoraggiare le start-up all’innovazione. Spazio dunque a linee guida e misure di aiuto per le start-up che vorranno utilizzare i dati per sperimentare nuovi programmi orientati al miglioramento del sistema giudiziario, dell’assistenza sanitaria e della tutela dell’ambiente. La Commissione europea, inoltre, ha pubblicato una road map dettagliata per aumentare gli investimenti nel settore e mettere in comune i dati pubblici in tutti paesi membri. Nonostante l’impegno a regolare la materia, restano ancora alcuni nodi critici.

In primo luogo, si dibatte sul rischio di applicazioni discriminatorie dell’intelligenza artificiale da parte delle forze di polizia con particolare riguardo al controllo della migrazione alle frontiere e alla raccolta di dati biometrici relativi a etnia, genere e sessualità. Un’altra area sensibile è l’applicazione di questi strumenti nel reclutamento e nella gestione dei lavoratori, nella valutazione e monitoraggio degli studenti e nella concessione e revoca di prestazioni di welfare e servizi di assistenza. In più, alcuni segnalano l’assenza di meccanismi di risarcimento per le persone direttamente colpite o danneggiate dai sistemi di intelligenza artificiale.

Infine, anche le Big Tech fanno sentire la loro voce temendo che le nuove norme possano soffocare l’innovazione. L’insieme di queste osservazioni sarà oggetto di dibattito serrato nel Parlamento europeo e tra gli Stati membri, ma il processo dovrà in ogni caso concludersi entro il 2023. Anu Bradford, professoressa di diritto commerciale internazionale alla Columbia University, ha spiegato al Financial Times la filosofia di fondo delle istituzioni europee: «Se l’intelligenza artificiale sarà ben regolata, i consumatori si fideranno di più. E se i sistemi europei saranno considerati affidabili e di alta qualità, ciò sarà fonte di vantaggio competitivo». Nella strategia dell’Unione europea, basata sui valori umani e i diritti fondamentali, la competizione non si basa soltanto sul prezzo, ma anche sulla capacità di generare fiducia.

Journalist, author of #Riformisti, politics, food&wine, agri-food, GnamGlam, libertaegualeIT, Juventus. Lunatic but resilient