Un detenuto avrebbe utilizzato un cellulare per lanciare una richiesta di aiuto all’esterno del carcere di Poggioreale a Napoli. Avrebbe telefonato “dalla cella ai carabinieri e al garante dei detenuti per segnalare di aver subito minacce, non si sa bene da chi”. Un caso “eclatante e gravissimo” quello denunciato nella mattinata di mercoledì 24 agosto da Aldo Di Giacomo, segretario generale del Sindacato di Polizia Penitenziaria, e relativo alla sera precedente.  Un caso che però, come spesso capita quando a denunciare sono i sindacati di polizia penitenziaria, non ha avuto alcun riscontro effettivo. Il fantomatico detenuto non ha telefonato né ai carabinieri né al garante del comune di Napoli, Pietro Ioia, né a quello regionale, Samuele Ciambriello.

Di Giacomo, da giorni in sciopero della fame per protestare contro l’organico sempre più eseguo degli agenti penitenziari presenti nelle carceri campane e dopo l’escalation di suicidi di detenuti registrata ad agosto, è stato smentito da tutte le parti chiamate in causa. All’ufficio stampa del Comando provinciale dei Carabinieri di Napoli non risulta alcuna chiamata al 112 o ad altri militari dell’Arma da parte di un detenuto di Poggioreale. Stesso discorso vale per i due garanti. “Anche io, come il mio collega Samuele Ciambriello, non ho avuto nessuna telefonata da un detenuto dal carcere di Poggioreale. Affermazione fatta da un sindacalista della polizia penitenziaria. Affermazione priva di fondamento e ridicola in un momento molto delicato per la questione carcere” taglia corto Ioia.

Duro anche il commento di Ciambriello: “Poiché mi è stato chiesto da più giornalisti, vorrei chiarire, per quanto mi riguarda, di non aver ricevuto alcuna telefonata cellulare dal carcere di Poggioreale in cui mi siano state segnalate violenze. Se l’avessi ricevuta avrei immediatamente informato le autorità competenti. Aggiungo che trovo davvero molto triste che ci sia chi affronta i temi delicati del mondo penitenziario (che comprende non solo i detenuti, ma anche operatori, educatori, agenti, personale amministrativo, familiari) facendone sempre occasione di polemiche pretestuose. Sono certo che meritiamo tutti di meglio“.

Nella sua nota-fake, Di Giacomo ripropone la sola retorica: “Si pensi all’uso dei cellulari che ne fanno i capo clan e i più pericolosi criminali per impartire ordini agli uomini dei clan sui territori oppure come riprovano tanti episodi di cronaca per minacciare cittadini e persino compiere estorsioni. È il caso di ricordare che nel 2020 nelle carceri italiane sono stati rinvenuti 1.761 telefoni cellulari. Erano stati 1.206 nel 2019 e 394 nel 2018. Solo una piccola parte arriva attraverso droni contro i quali non credo serva a molto la “schermatura” delle carceri come pure qualcuno ha proposto tenuto conto che, come è stato accertato la “consegna”, avviene in tanti altri modi”.

“E’ del tutto evidente che non basta aver inserito, dall’ottobre 2020, il reato per chi introduce o detiene all’interno di un istituto penitenziario telefoni cellulari o dispositivi mobili di comunicazione, a differenza del passato quando era derubricato a semplice illecito disciplinare. Servono pene più severe perché chi introduce il cellulare se la cava con una sanzione amministrativa o con pene irrisorie e chi lo usa non ha nulla perdere – conclude – Sarebbe sufficiente innalzare nel minimo a quattro anni la pena in modo da disincentivare seriamente il fenomeno. L’alternativa per lo Stato è dotare di ogni cella di un comodo impianto telefonico tanto per contribuire al clima, per boss e capi clan, da albergo a quattro stelle”.

Non è la prima volta che i sindacati di polizia penitenziaria forniscono ricostruzioni assai fantasiose di quanto accade in carcere. Dopo l’orribile mattanza di Santa Maria Capua Vetere, il cui processo inizierà a breve (oltre 100 gli imputati appartenenti alla penitenziaria), sono state diverse le segnalazioni di presunte risse con il coinvolgimento di decine e decine di detenuti puntualmente smentite.

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Giornalista professionista, nato a Napoli il 28 luglio 1987, ho iniziato a scrivere di sport prima di passare, dal 2015, a occuparmi principalmente di cronaca. Laureato in Scienze della Comunicazione al Suor Orsola Benincasa, ho frequentato la scuola di giornalismo e, nel frattempo, collaborato con diverse testate. Dopo le esperienze a Sky Sport e Mediaset, sono passato a Retenews24 e poi a VocediNapoli.it. Dall'ottobre del 2019 collaboro con la redazione del Riformista.