Era l’oro di Napoli, l’oro di Poggioreale quello che attraversava la città in una limousine bianca decappottabile che aveva fornito il Comune. Estate del 1980: Patrizio Oliva medaglia d’oro alle Olimpiadi di Mosca, le strade un plebiscito di applausi e fiori fino a via Stadera, dove il campione di boxe era nato e dov’era stato montato un palchetto sul quale il pugile prese la sua medaglia e la mise intorno al collo di Geppino Silvestri, il suo maestro. Quello apparteneva anche a una storia cominciata quasi trent’anni prima, in uno scantinato, un santuario del pugilato umido e infestato dai topi, alla passione di un solo uomo, alla scuola di cazzotti che aveva forgiato campioni come Cotena e Todisco, De Leva e Di Iorio, Raininger e Bottiglieri, Picardi e lo stesso Oliva.

Era il 16 febbraio 1953 quando veniva aperta la palestra Fulgor, a via Roma 418, a due passi da piazza Dante. Ci sarebbe stato un prima e un dopo la Fulgor: un prima e un dopo quel luogo diventato emblematico, il sogno di un maestro iconico, un omone dalle lenti fumé, ex pugile, la sigaretta appesa alle labbra, stentoreo e sorridente, capace di essere duro ma anche affettuoso. Se non tutte, quasi tutte le strade del pugilato napoletano avrebbero incrociato quello scantinato nel centro della città che ha lasciato un’eredità palpabile ancora oggi. Patrimonio però in pericolo: la minaccia riguarda la Napoliboxe di Lino Silvestri, figlio di Geppino, anche lui maestro di pugilato.

Chi era Geppino Silvestri

Quando vide tornare il figlio a casa con la faccia pesta, l’occhio nero, la madre disse che era arrivato il momento che quella storia finisse. Giuseppe detto Geppino, classe 1926 nato in via Salvator Rosa, 19 incontri in tutto: 16 vittorie, un pari e due sconfitte. Smise per preparare la licenza al classico, dopo qualche anno tornò da secondo. Quella malatìa della boxe gliel’aveva trasmessa il padre, Pasquale, originario del Cavone, marinaio durante la Prima Guerra Mondiale, barbiere in tempi di pace. Agiata invece la provenienza della madre: famiglia di costruttori, i Tucci. Geppino entrò in palestra sì per passione ma anche per dimagrire. I primi pugni nel ’42, alla Libertas con il maestro Gigino Roio, ex peso mosca.

A quei tempi boxe voleva dire ring e sacchi sistemati alla meglio tra chiese sconsacrate e palazzi mezzi diroccati dai bombardamenti, incontri organizzati sulle portaerei degli americani al largo del Molo Beverello, stecche di sigarette e pezzi di cioccolata in palio, ring abbandonati alla città dopo la guerra. La Libertas era sistemata alla meglio nel teatrino della chiesa della Salute. Erano i tempi di Michele “Michelone” Palermo, “The Kid” da San Marco Evangelista, peso welter campione d’Italia e d’Europa e di Joe Louis e Max Baer arruolati che facevano footing sui binari della Cumana a Pozzuoli. Non si capì mai come, non si capì mai dove, Silvestri aveva imparato l’inglese e cominciò a essere arruolato per fare da interprete: gli americani lo venivano a prendere in jeep e lo portavano dove serviva. Guadagnava qualcosa.

Gli studi in Giurisprudenza, l’assunzione all’Atan, la passione per il greco e il latino, l’esame da tecnico a Roma con Steve Klaus e Natalino Rea: primo.

L’apertura della Fulgor

Silvestri voleva riaprire la Libertas, chiusa per mancanza di locali. Ci provò prima in una chiesa sconsacrata a Materdei, poi al quinto piano di un palazzo al corso Umberto I, quindi a piazza Cavour sotto il nome di “Accademia Pugilistica Napoletana”. Sistemazioni tutte provvisorie, niente da fare. “Avevo conosciuto il capitano Sandro Perotti, un grande invalido cui mancavano tutti e due i piedi, perduti in guerra – ha raccontato il maestro al giornalista Adriano Cisternino nel libro Le stelle del ring in Campania (Video Free International) – Aveva delle protesi e camminava con l’aiuto di un bastone, attrezzo che talvolta usava anche per risolvere alla svelta qualche controversia, visto che di carattere era piuttosto impulsivo. In quei tempi dettava legge l’Olimpia e, proprio per contrastare l’egemonia dell’Olimpia, io e Perotti fondammo la grande Fulgor, in via Roma 418, presidente Pompilio. Fu inaugurata domenica 15 febbraio 1953”.

Foto dalla sede storica della Fulgor (per gentile concessione di Lino Silvestri)

Quei locali erano stati dei ricoveri antiaerei, una quindicina di metri sotto il livello della strada, un’umidità spaventosa. I ragazzi venivano passati al setaccio del coraggio. “Se la prima volta che si facevano i guanti – ricorda il figlio Lino – dimostravi di avere paura, se abbassavi la testa o se chiudevi gli occhi, ti mandava a casa. ‘Guagliò nun me dicere niente, te ne puo’ ghij’. Non c’era chance, non esistevano gli amatori, solo agonisti e basta”. Qualche pugile, con la promessa dell’America, provò a soffiarglielo Lucky Luciano, spesso a bordo ring alle riunioni. A fine giornata, prima di chiudere la palestra, il rito del “veleno p’e’ zoccole”, da spolverare per la palestra per sterminare i topi di fogna.

Silvestri si aggirava tra i pugili, stava all’angolo pure, occhiali fondi di bottiglia, la sigaretta appesa alle labbra. “Mio padre preferiva la tecnica sopraffina alla volgare rissa – ricorda ancora il figlio – Cominciava a fare i guantoni alle tre meno un quarto del pomeriggio e finiva alle nove di sera, questo per anni. Parliamo di 70, 80 pugili. Mi ricordo che a volte a malapena entrava in casa: lasciava una borsa e ne prendeva un’altra, baciava mia madre e se ne andava”. Era quel tipo di maestro che spesso e volentieri faceva scivolare di nascosto, per non mettere in imbarazzo, qualche fettina di carne nella borsa di ragazzi in condizioni difficili. Centinaia di campioni, dilettanti e professionisti, sono usciti da quello scantinato.

“Quale fosse il segreto di quella palestra così poco accogliente, eppure così fertile – ragionava Cisternino nel suo libro – , è un argomento a lungo dibattuto nelle puntuali inchieste giornalistiche e tuttavia rimasto indecifrato. In molti hanno sostenuto che la ‘chiave’ principale del successo consistesse nell’estrema vicinanza con piazza Dante, punto di convergenza della gran parte di mezzi pubblici di Napoli e provincia. Sicuramente le capacità tecniche e umane di Geppino Silvestri hanno avuto un peso fondamentale in una realtà sociale spesso difficile e complessa”.

La fine della Fulgor

Il maestro non prendeva aerei. Ripeteva: “Pe’ ciel e pe’ mar nun ce stann’ tavern”. Si spostava soltanto in auto e in treno. Hombre vertical, tutto d’un pezzo, chi lo ricorda lo trovava anche un po’ psicologo, la famiglia sacrificata al pugilato che ti prende tutto e anche il resto, una personalità dagli abissali slanci emotivi. “Era a Porto Recanati con la Nazionale, con il pugile Mattia D’Angelo, in un bar. Quando cominciarono a suonare un pianino ebbe un attacco di nostalgia per la madre, ‘non mi dire niente, io me ne vado’, e così fece”. È andato vicinissimo a guidare gli Azzurri. Alle Olimpiadi ha portato quattro suoi diversi pugili: Cossia, Cotena, Todisco e Oliva; decine di campioni italiani; quattro i campioni d’Europa: Cotena, Oliva, De Leva, Raininger; un campione del mondo pro: Oliva. Il sodalizio con Rocco Agostino, l’amicizia con Enzo Tortora, l’Oscar al Pugilato.

Foto per gentile concessione di Lino Silvestri

Fino al 1987 la Fulgor sarebbe rimasta in quello scantinato. “Soltanto nel 1987, con un blitz notturno ed un’occupazione durata due giorni e due notti, la Fulgor riuscì a ottenere i locali del più volte promesso ex mercatino rionale di via Goethe, a due passi da piazza Municipio”, ricostruiva Cisternino. “Quel locale nel 1994 gli fu soffiato di mano, andò ad allenare a Ponticelli per qualche tempo e gli ultimi anni è venuto da me alla Napoliboxe, che ho aperto nel 2001”, racconta il figlio. Aveva 81 anni il maestro Geppino Silvestri quando è morto nel marzo del 2007. La Fulgor ha chiuso definitivamente nel 2019, non esiste più.

L’eredità di Geppino Silvestri

Non c’è forse metro migliore per misurare l’eredità di Geppino Silvestri che attraverso i suoi allievi diventati a loro volta maestri, a loro volta alla guida di palestre: Picardi a Casoria, Raffaele Cotena a Fuorigrotta, Guido De Novellis al Rione Traiano, Lucio Zurlo a Torre Annunziata, Gerardo Esposito oggi alla ProFighting, Bizzarro a Marcianise, Bottiglieri, De Leva, lo stesso Oliva alla Milleculure – e potremmo dimenticare qualcuno. “Era un grande – ricorda De Novellis – Avevo 17 anni quando sono entrato in palestra, in sei mesi sono diventato campione italiano novizio. Quello scantinato era squallido: così umido che all’inizio pensavo che qualcuno mi bagnasse i panni apposta. Il maestro riconosceva il pugile, capiva le caratteristiche di ognuno e in base a quelle allenava. Sento sempre una grande nostalgia della persona e la sua mancanza è enorme nel pugilato a Napoli”. Non ultimo, tra gli eredi, il figlio Lino. La sua Napoliboxe per anni è stata la prima della città secondo le classifiche della FPI (Federazione Pugilistica Italiana). “Dispiace dirlo, ma non mi è sempre piaciuto il comportamento di certi allievi di mio padre. C’è chi non è neanche venuto al funerale, chi lo ha combattuto dalla fine degli anni ’80. Perciò quando si è visto accoltellato da tutte le parti si è tirato fuori da tutto”.

Lino Silvestri è laureato in Scienze Motorie, specializzato in management dello Sport, Coach Iba e maestro benemerito. Ha aperto la Napoliboxe nel 2001, ai Ventaglieri, in un locale incastonato tra Montesanto e corso Vittorio Emanuele. Ha ricevuto nel 2021 la cintura della prestigiosa World Boxing Council (WBC) per l’impegno sportivo e sociale dimostrato nel corso degli anni. Non abbastanza, evidentemente. “Abbiamo ricevuto un avviso di sgombero dal Comune di Napoli – dice Silvestri – Stavo per inaugurare dopo che ho fatto gli ennesimi lavori di ammodernamento e ristrutturazione, mi sono dovuto fermare. Ho ottenuto i locali nel 2001, me li volevano dare in comodato d’uso, io rifiutai e proposi un canone agevolato. È scoppiato un contenzioso nel 2016, è arrivata la prima carta di sgombero e poi mi hanno lasciato in un limbo. Adesso mi chiedono in modo retroattivo quasi due milioni di euro. Aspetto la Commissione di trasparenza per lo sport. Chiaramente vogliamo trovare un accordo, ma che sia ragionevole altrimenti dobbiamo chiudere”.

Scriveva Geppino Silvestri su un quotidiano locale negli anni Cinquanta sulla situazione della boxe in città: “Se c’è una crisi riguarda organizzatori, palestre ed insegnanti. I nostri pugili, infatti, non riescono a combattere a Napoli: manca addirittura un calendario pugilistico. Esiste un problema di palestre e di attrezzature. La nostra palestra che è considerata tra le prime dell’Italia centro-meridionale è uno scantinato angusto, freddo ed umido. Non parliamo poi delle attrezzature: basti pensare che molti ring sono pericolosissimi”. La Napoliboxe, come le palestre di pugilato in tutto il mondo, ha porte aperte ai ragazzi, li toglie dalla strada, ragazzi difficili e altri dai servizi sociali. Ha reso fruibili locali che non lo erano. Nessuno ha chiesto una fiction Rai. Oltre mezzo secolo dopo dall’inizio di questa storia nessuno ha chiesto una limousine al Comune.

La cintura WBC alla palestra Napoliboxe
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Giornalista professionista. Ha frequentato studiato e si è laureato in lingue. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Ha collaborato con l’agenzia di stampa AdnKronos. Ha scritto di sport, cultura, spettacoli.