Tredici detenuti sono morti la scorsa settimana a causa dell’abuso di sostanze sottratte alle infermerie, in seguito alle rivolte scoppiate nelle carceri italiane in risposta all’applicazione delle misure per il contenimento del coronavirus. Episodio che sbatte in faccia un problema che, da troppo, continua a essere ignorato dai governi che si succedono: l’inadeguatezza dei trattamenti sanitari attuati dagli istituti di pena, in particolare quelli relativi ai cittadini detenuti tossicodipendenti che prevedono l’utilizzo di terapie farmacologiche sostitutive.

Siamo ancora lontani dalla piena attuazione della riforma della medicina penitenziaria la quale, nel 1999, stabiliva il servizio sanitario nazionale assicuri ai detenuti e agli internati livelli di prestazioni analoghi a quelli garantiti ai cittadini liberi. Ce ne rendiamo conto grazie all’attività portata avanti nelle carceri: quel che sappiamo su questo tema, lo conosciamo grazie alle visite che conduciamo, alle storie raccolte dalle famiglie dei detenuti e non certo grazie alla relazione annuale al Parlamento che fotografa il fenomeno delle tossicodipendenze in Italia. Un documento che dovrebbe fornire informazioni chiave per elaborare strategie e politiche, il quale tuttavia dedica solo tre pagine sulle quasi 300 che lo compongono ai “soggetti tossicodipendenti in carcere”.

Tre pagine che, inoltre, non forniscono informazioni utili sui trattamenti sanitari effettuati nelle case circondariali. Sappiamo, per esempio, che nel 2018 i Serd hanno assicurato prestazioni farmacologiche a oltre la metà dei pazienti fuori dalle mura degli istituti penitenziari; non abbiamo idea, invece, di quale sia la percentuale all’interno. Eppure i numeri sono il punto di partenza per studiare quanto accade e individuare le giuste risposte. Per questo Radicali Italiani chiede al presidente del Consiglio dei ministri Giuseppe Conte, al ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, al ministro della Salute Roberto Speranza di fornire dati esaustivi e analitici sui trattamenti farmacologici sostitutivi effettuati negli istituti di pena.

Il Governo, di fronte a quanto accaduto nei giorni scorsi, non può continuare a ignorare un problema che si è manifestato in tutta la sua gravità. Non può limitarsi a tamponare le ferite, deve operare in profondità e, per farlo in modo efficace, deve partire dalla diagnosi. Chiediamo, dunque, che il Governo raccolga, elabori e fornisca, per ogni istituto di pena italiano, i dati relativi al numero dei soggetti tossicodipendenti detenuti e di quelli tra loro che accedono a trattamenti farmacologici, includendo i dettagli relativi alle terapie somministrate. E domandiamo che questo avvenga a partire dalla presentazione della prossima relazione, entro il termine di legge del 30 giugno.
Le carceri non possono continuare a essere trattate come un mondo isolato, al quale interessarsi solo quando la violenza esplode troppo forte per consentire di far finta di nulla.

Oggi più che mai, la diffusione del coronavirus e le ripercussioni che sta causando, ci dimostrano che gli istituti penitenziari non sono un mondo a parte, a chiusura stagna. Le recenti rivolte ci suggeriscono che ormai il sistema è saturo, manifestazione di malesseri lasciati crescere; ci hanno fornito, a caro prezzo, una consapevolezza che non possiamo rigettare. Abbiamo già vissuto anni di disordini sanguinosi nelle carceri, erano gli anni ‘70. Abbiamo gli strumenti per far sì che ciò non si ripeta. Il Governo li ha. Ci metta anche la volontà.

Giulia Crivellini, Giulio Manfredi

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