Riecco il plotone di esecuzione
Il Csm processa Ferri, il motivo? Accompagnò il giudice che voleva scusarsi con Berlusconi
Non sappiamo se il collegio della sezione disciplinare del Csm sarà un “plotone di esecuzione” né se uno dei giudici poi si pentirà e andrà a spiegare in lacrime all’interessato che la condanna è stata frutto di un complotto politico voluto “dall’alto”. Fatto sta che il prossimo 9 settembre non si prospetta una passeggiata per Cosimo Ferri, magistrato e leader della corrente conservatrice delle toghe, ma ormai politico a tutti gli effetti, due volte sottosegretario alla giustizia, oggi candidato con Italia Viva.
Ma si sa che la toga non si abbandona mai. E comunque non se ne dimentica il Csm, quando deve tirare le orecchie a qualche magistrato, pur se non in servizio permanente effettivo. E in questo caso l’incolpazione è pesante, anche se surreale. A Cosimo Ferri viene imputato il ruolo di accompagnatore, che svolse in quei fatidici giorni, a cavallo tra la fine del 2013 e l’inizio del 2014, in cui il giudice di cassazione Amedeo Franco, con il capo cosparso di cenere, gli chiese di presentargli Silvio Berlusconi, che lui stesso aveva contribuito a far condannare a quattro anni di carcere per frode fiscale. Una vicenda che, non va mai dimenticato, con quella condanna e poi la decadenza del leader di Forza Italia dal Senato, ebbe notevoli conseguenze politiche e cambiò la storia del Paese.
Fare l’accompagnatore non è certo un reato. Ma non siamo sicuri che sia neppure una “grave scorrettezza” nei confronti della magistratura e in particolare verso il collegio che aveva emesso il verdetto di condanna. Cioè il presidente Antonio Esposito e gli altri componenti della sezione feriale della cassazione che quel giorno prese il posto della terza, che avrebbe dovuto deliberare sul leader di Forza Italia. Non la pensa così il procuratore generale che, nell’incolpazione, accusa Ferri di “aver consentito” a Franco, accompagnandolo a Palazzo Grazioli, allora residenza romana di Berlusconi, di rivelare “i supposti contenuti della camera di consiglio e di concordare le iniziative per agevolare la posizione giuridica dello stesso Berlusconi”. Non del tutto un istigatore, sarebbe stato il leader di Magistratura indipendente, ma una sorta di agevolatore di una grave scorrettezza del suo collega.
Cioè avrebbe in qualche modo, solo con la sua presenza e magari per aver dato un passaggio in auto, agevolato quella condotta inappropriata del giudice Franco. Che si era spinto fino a definire “plotone di esecuzione” il collegio che aveva emesso la sentenza, sottolineandone la natura politica e addirittura sospettando che i suoi colleghi avessero seguito direttive arrivate “dall’alto”. Cioè dal mondo della politica. Lo stesso Ferri, scrive nell’atto di incolpazione il procuratore generale, vi avrebbe messo sopra un carico da novanta, spiegando, nel corso di uno dei tre (o forse due) colloqui, che uno dei giudici del collegio, Ercole Aprile, stava per essere nominato membro del Csm e che apparteneva alla corrente di sinistra di Magistratura democratica. L’equazione è chiara.
Il giudice Franco ritiene che Silvio Berlusconi sia stato condannato in sede definitiva in seguito a un complotto politico, orchestrato dai partiti di sinistra attraverso i loro complici all’interno della magistratura. Il che è una grave calunnia, sostengono a loro volta i componenti di quel collegio della sezione feriale dell’estate del 2013. Tanto che hanno riempito di cause civili tutti i giornalisti che se ne sono occupati. A partire dal Riformista, che per primo rese pubbliche le parole del giudice Amedeo Franco. Che non può più spiegare né difendersi, essendo deceduto nel 2019. Ma quali sarebbero le responsabilità di Cosimo Ferri? Venerdì prossimo alle 14,30 si troverà davanti non, o almeno lo speriamo, a quel “plotone di esecuzione” diventato ormai famoso, ma a un tribunale di colleghi del Csm presieduto però da un laico, il professor Fulvio Gigliotti.
Stiamo parlando di quello che pare decisamente essere il più organico al suo partito, fra i tre nominati dal Movimento cinque stelle, e anche molto legato all’ex ministro Bonafede e al presidente della commissione parlamentare antimafia Nicola Morra. La sezione disciplinare non sarà presieduta in questo caso dal vice del Csm David Ermini, che in genere è molto presente, e non se ne capisce la ragione. Non crediamo sia per poter godere di un ultimo scorcio di sole weekendista di settembre, quindi la sua assenza potrebbe nascondere qualche motivo di astensione, uno tra i tanti che hanno costellato questa consiliatura dopo lo scoppio del “caso Palamara”.
Fatto sta che Cosimo Ferri, secondo l’accusa, non avrebbe avuto un ruolo puramente passivo, nella vicenda del “pentimento” del giudice Franco, non avrebbe solo indossato il berretto dello chaffeur. Avrebbe al contrario avallato, sostiene l’accusa, e magari stimolato il convincimento di Berlusconi “di essere vittima di un complotto ordito da una parte politico-istituzionale e da una corrente della magistratura”. Cosa del resto di cui il leader di Forza Italia è sempre stato convinto fin da quando, prima del suo ingresso in politica, il procuratore capo di Milano Saverio Borrelli gli aveva puntato il dito contro, invitando a non candidarsi chi aveva “scheletri nell’armadio”. E le “toghe rosse” erano state il suo incubo fin dal 1994. Beh, in quei giorni tra la fine del 2013 e l’inizio del 2014 almeno un giudice gli ha dato pienamente ragione. E un secondo, non giudice ma pubblico ministero, Luca Palamara, ha confermato la natura politica di certi provvedimenti della magistratura nei due libri scritti con Sandro Sallusti.
Il giudice Franco era stato molto circostanziato nella sua denuncia-pentimento. Aveva sostenuto che il verdetto era già deciso a priori, che la decisione era stata sottratta al giudice naturale, cioè la terza sezione della cassazione di cui lui faceva parte, che probabilmente avrebbe deciso diversamente. Aveva però aggiunto anche che il famoso “plotone di esecuzione” presieduto dal giudice Esposito avrebbe brigato per farsi assegnare la causa e per far anticipare la data prevista dell’eventuale prescrizione del reato al 2 agosto, mentre secondo altri calcoli si sarebbe potuto arrivare a settembre. Il problema se ci fosse stato o no un pregiudizio da parte di qualcuno dei giudici che parteciparono a quella camera di consiglio è difficile da sbrogliare. Il giudice Esposito è molto agguerrito, giustamente dal suo punto di vista, perché è in gioco la sua reputazione. E quel che a un comune cittadino non parrebbe offensivo, per un magistrato è una macchia infamante, il sospetto che abbia assunto decisioni non neutrali ma orientate politicamente.
Ha quindi inondato il mondo intero di querele, compreso a noi del Riformista. Ma un paio di inciampi li ha già dovuti subire, quasi affronti da parte di ex colleghi. Il primo in una causa contro il quotidiano Il Mattino di Napoli per l’intervista concessa dopo aver emesso la sentenza ma prima della pubblicazione delle motivazioni. E l’altra nella quale aveva preso di mira tre camerieri di un albergo di Ischia accusandoli di falso e chiedendo due milioni di euro di risarcimento. I tre avevano raccontato di alcune battute cui il magistrato, ospite in quell’albergo, si era lasciato andare e che dimostravano astio nei confronti di Berlusconi. Pregiudizio o solo gusto della battuta? Il giudice ha dato ragione ai camerieri. Ci sarà un “giudice a Berlino” anche nel parlamentino del Csm che, a partire dal prossimo 9 settembre dovrà stabilire se Cosimo Ferri è stato un accompagnatore o un istigatore di Amedeo Franco?
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