L’orrore, mai come in questi giorni quando si parla di migranti, passa anche attraverso il linguaggio. Il “carico residuo” riferito ad altri esseri umani è un punto di non ritorno, un buco nero del significato, della civiltà, un buco nero che rischia di inghiottirci se non reagiamo. Da quando si è insediato il governo Meloni se ne inventano ogni giorno una: dalle nuove fattispecie di reato a espressioni che ci degradano in quanto parte dell’umanità. Tra le varie accuse veramente assurde, ce ne è una che forse può passare inosservata, ma che non è meno grave, meno tendenziosa: l’accusa mossa alle Ong di fare politica.

Come se la politica fosse qualcosa di cui vergognarsi, qualcosa di cui poter fare a meno. E a dire che nel suo discorso alle Camere Giorgia Meloni aveva proprio rivendicato il suo ruolo politico, contrapponendosi al governo cosiddetto tecnico di Mario Draghi. Oggi, con le organizzazioni non governative, fare politica ritorna a essere una colpa. E dire che la politica è da sempre una delle attività più importanti dello stare inseme, è la possibilità che abbiamo di orientare la società, di costruire opportunità e mondi che altrimenti non esisterebbero.

Siamo esseri politici. Non si capisce come invece questa attività così nobile possa essere diventata una sorta di “reato”, qualcosa da stigmatizzare in chi la compie. Almeno che la politica non sia pensata come qualcosa di separato dall’umanità: da una parte i privilegiati che possono godere anche dell’attività politica, dall’altra i sommersi, gli ultimi che non possono godere di questo diritto.

Ma soprattutto si ha una idea di politica che non ammette contestazioni, opposizioni, un’altra idea di mondo. L’unica politica è quella della maggioranza, di chi comanda, di chi detiene il potere e che evidentemente si sente in diritto di decidere chi vive e chi muore. Nessuno può fare una scelta diversa, che è poi quella di tentare di salvare tutti e tutte. Anche questa una brutta, bruttissima storia.

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