Parla la presidente dell'Ucei
“Il regime fascista non tornerà, ma la nostalgia crea lo stesso odio”, intervista a Noemi Di Segni
“Grazie Presidente Mattarella per le parole che ha pronunciato sul valore della memoria e sul fascismo, tanto più importanti e significative per il momento che l’Italia sta vivendo”. A parlare, in questa intervista a Il Riformista è Noemi Di Segni, presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane. Alla guida dell’Ucei dal 2016, Noemi Di Segni è sempre stata apprezzata per il suo equilibrio e la sua onestà intellettuale. Nel preparare la nostra conversazione mi sono tornate alla mente, e le riporto, quanto da lei detto, il 27 dicembre 2022, il giorno del settantacinquesimo compleanno della Costituzione.
“Si celebrano oggi i 75 anni dalla promulgazione della Costituzione repubblicana, l’affermazione della nostra democrazia antifascista. Eppure c’è chi ritiene di esaltare un altro anniversario – quello della fondazione del Movimento sociale italiano – partito che, dopo la caduta del regime fascista, si è posto in continuità ideologica e politica con la Rsi-Repubblica sociale italiana, governo dei fascisti irriducibili che ha attivamente collaborato per la deportazione degli ebrei italiani. Grave che siano i portatori di alte cariche istituzionali a ribadirlo, legittimando quei sentimenti nostalgici”. Parole incisive che indicano il solco tra fascismo e antifascismo. Parole pronunciate il giorno successivo a quello in cui in moti hanno ricordato la nascita del Msi.
Il 25 Aprile 2023 è vissuto in un momento particolare nella vita politica del paese. Valori, come quello della resistenza al nazifascismo, che la storia ci consegna, vengono rimessi in discussione. Con la presidente del Consiglio che fa fatica solo a pronunciare la parola antifascismo. Lei come la vede?
È una domanda molto delicata e difficile. Ritengo che si debba operare una distinzione. Una cosa è parlare dei valori che caratterizzano la vita quotidiana, che sono sanciti nella carta costituzionale, che sono risposta alla guerra e alle istituzioni che esprimevano quel regime totalitario. Una cosa è come questi valori sono stati declinati dalla politica, i percorsi e la dialettica che si è sviluppata dal dopoguerra ad oggi. Cosa voleva dire destra e sinistra ieri, e cosa vuol dire oggi.
Qual è la sua analisi?
Se si fa solo l’analisi più lineare di cosa significano i valori, per le persone o per le istituzioni oggi, penso che tutti sono d’accordo. Se si fa una riflessione valoriale su cosa è stato recuperato con la liberazione dal nazifascismo, non vedo modo di poter distinguere voci diverse, di società, di pensiero, e anche di partiti. Se invece gli si dà una lettura di come queste sono conquiste o responsabilità di forze politiche che sono la continuazione di quei posizionamenti partitici di allora, le cose cambiano, i toni sono diversi così come le interpretazioni. Se parlare di antifascismo in senso lineare vuol dire combattere quel tipo di ideologie totalitarie, escludenti, prevaricanti, che mettono lo Stato al centro di qualsiasi attività, è qualcosa che non può essere messa in discussione, che appartiene ad una intera comunità nazionale democratica. Ne è uno dei pilastri. Se invece per antifascismo si intende cosa pensa la destra e cosa pensa la sinistra in Italia, gli si dà una connotazione di rivendicazione di merito, di addossare responsabilità, così come il mettere tutti sullo stesso piano, è inaccettabile, va contro la verità storica. E la verità storica, che va salvaguardata e difesa come patrimonio comune, afferma che il male del fascismo non può essere ridotto alla gravità delle leggi razziali. Quelle sono state semmai un passaggio di evidenza per tutti. Il fascismo male assoluto è tale perché ha compiuto un ventennio di massacri e violenze assolute. La pacificazione non può fondarsi sulla cancellazione delle responsabilità o sul mettere tutti sullo stesso piano. Il fascismo va ricordato come un male e non come l’avvicendamento di un governo all’altro. Il 25 Aprile è la giornata in cui si celebra la liberazione da questo male ed è con orgoglio, con fierezza che rivolgo il pensiero ai partigiani della Brigata ebraica che parteciparono a quella lotta di liberazione.
Su questo, sull’importanza di salvaguardare la memoria storica, sull’Italia repubblicana nata dalla resistenza antifascista, il Presidente Mattarella è stato molto chiaro, nel suo viaggio in Polonia come nel suo discorso a Cuneo per il 25 Aprile.
Ho letto con molta attenzione tutto quello che il Presidente ha detto e gli sono grata per la sua presenza, per la coerenza e la perseveranza nel ribadire concetti che evidentemente non sono ovvi in un contesto politico dove c’è una destra al governo che vuole presentarsi e affermarsi in un certo modo, ma in cui permangono posizioni e situazioni che creano imbarazzo, ed è la parola più edulcorata che si può attribuire a certe dichiarazioni di governo o di altri importanti esponenti istituzionali.
Nel revisionismo storico che oggi monta c’è anche una forte connotazione di razzismo e di antisemitismo.
Non definirei revisionismo il processo in atto. C’è una situazione con delle criticità. Revisionismo vuol dire che c’è un piano organizzato, di cui non siamo a conoscenza, per arrivare a una situazione opposta e diversa. Non ho gli elementi per dare questo tipo di giudizio e sono molto attenta a non dare questo tipo di valutazione in questo momento. Con queste criticità si deve fare un percorso se davvero questa destra si vuol presentare e accreditare come una destra democratica e che si riconosce cosi pienamente, come è stato ribadito, in quei valori. Dal diritto più specifico a quello più fondamentale.
Il fascismo non è stato solo un regime. È stato un pensiero, una ideologia, un approccio alle diversità. Su questo Umberto Eco ha scritto un libro, Il Fascismo eterno, di grandissima attualità.
Assolutamente sì. Anche qui, però, bisogna usare i termini con attenzione. Riconoscere che è un regime che si è affermato in quegli anni perché c’era una determinata situazione e determinate persone, perché certi regimi si sviluppano anche perché ci sono certe persone alla guida. Il tema oggi, non avendo più quelle persone ed essendo caduto quel regime, è se ci sono circostanze che possano favorire quel tipo di atteggiamenti, pensieri. La nostalgia che noi vediamo oggi, è esattamente questo che preoccupa. Oggi non mi preoccupa il nuovo partito fascista o il regime fascista, che sono cose che appartengono ad un passato irriproponibile. Ciò che dovrebbe preoccuparci sono le nostalgie, perché sono esse che fomentano quel razzismo, quell’antisemitismo. Perché si ha nostalgia verso miti, forme, cerimonie, simboli. Alla fine tutto questo trasmette degli atteggiamenti che si traducono, in modo molto preciso, concreto e puntuale in odio, antisemita e razziale. Un odio che viviamo tutti i giorni, sulla rete e non solo.
Nostalgia. Una “nostalgia” che si fa presente, anche perché evocata da esponenti dell’attuale governo, è quella della separazione etnica e della purezza della razza.
Sono affermazioni gravissime e antistoriche. Improponibili oltreché inaccettabili sotto ogni punto di vista. La nostra storia, la storia di tutti i popoli, la storia europea, la nostra storia ebraica, è una storia di passaggi, di emigrazioni e di migrazioni. Non esiste storia del mondo senza flussi di persone. Questa è una caratteristica etnografica. La bellezza è entrare in rapporto, è la curiosità di conoscere persone che vengono da altre realtà. Vale per un’altra città, come per un altro paese. Per me è un dato di fatto, che arricchisce le nostre vite, che genera opportunità culturali, umane, anche economiche. È chiaro che c’è un tema di politiche dell’immigrazione, perché nessun paese può vivere con confini in cui tutti entrano o escono ovunque senza nessun tipo di scelte di fondo, di sostenibilità di questa situazione. Ed è chiaro che le strategie politiche e operative per affrontare questa problematica vanno definite in ambito europeo, con l’Europa tutta. Ma il tema è con quali valori, idee si va a gestire questa sfida. Una cosa è quando i valori sono quelli umanitari, cercare di essere di supporto alla disperazione e alla scelta di arrivare in un altro paese e come la si gestisce. Quando il sentimento è quello di apprezzamento, di protezione che guida la gestione delle politiche, pur in condizioni e limiti reali che vanno tenuti in conto. Altra cosa è quando a guidare le politiche è il sentimento del nemico, della sfiducia, della minaccia. Sono logiche totalmente diverse, che portano a risultati opposti. Le sfide dell’accoglienza, dell’integrazione, di come si cambiano nei decenni i paesi, devono essere basate su un approccio di valore. Non sul rigetto razziale.
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