La partita del Quirinale, tra rose improbabili e schede bianche attendiste. Il Riformista ne discute con Nadia Urbinati, accademica, politologa italiana naturalizzata statunitense, docente di Scienze politiche alla prestigiosa Columbia University di New York. Tra i suoi libri, ricordiamo Io, il popolo. Come il populismo trasforma la democrazia (il Mulino); Pochi contro molti. Il conflitto politico nel XXI secolo (Laterza); Democrazia sfigurata. Il popolo fra opinione e verità (Università Bocconi Editore); Democrazia in diretta. Le nuove sfide alla rappresentanza (Campi del sapere); Democrazia rappresentativa. Sovranità e controllo dei poteri (Donzelli): La vera seconda Repubblica. L’ideologia e la macchina (con David Ragazzoni, Raffaello Cortina Editore); Contagio e libertà (con Piero Ignazi, Laterza).

La partita del Quirinale, secondo tempo. Il centrodestra ha presentato la sua rosa di candidati: Letizia Moratti, Marcello Pera e Carlo Nordio. Mentre il centrosinistra anche per la seconda votazione si è attestato sulla scheda bianca. Come leggere politicamente tutto questo?
Una lettura difficile. Noi stiamo facendo solo illazioni e ipotesi perché quello che succede nelle segrete stanze nessuno lo sa. E questo, va detto, è un aspetto un po’ inquietante. In una democrazia in cui la pubblicità dovrebbero essere la norma ma in questo caso brancoliamo nella notte. In qualche modo è comprensibile perché quando si costruiscono alleanze, candidature, una certa dose di segretezza è necessaria. Stavolta, però, si sta eccedendo. In merito della sua domanda, mi sento di poter dire questo: il Partito Democratico e più in generale il campo che definirei non di centrodestra, ha (probabilmente?) in progetto di mandare Draghi al Quirinale. Del resto, le quattro candidature presentate dal centrodestra sono talmente di parte da non poter essere votate dalla non destra. Dallo stallo in cui ci si mette, ci salverà ancora lui, Mario Draghi? Questa è una possibile lettura. Non so se questo è ciò che bolle in pentola ma da fuori questa sembra una lettura plausibile. Suffragata da un elemento che non va sottovalutato…

Quale?
Questa galassia che chiamiamo il non-centrodestra è così composita e così internamente divisa (anche dentro i singoli partiti) da dare l’impressione che nessuno voglia fare una proposta per non rischiare prima di tutto al proprio interno.

La posta in gioco. Sostiene il giudice emerito della Corte Costituzionale, Sabino Cassese: «Il presidente che sarà eletto è per tre legislature. Avrà una gamba in questa legislatura, un’altra nella prossima e un’altra ancora nella successiva. La presidenza Mattarella ha coperto due legislature, il prossimo presidente ne coprirà tre. A maggior ragione, una scelta importante». Lei come la vede?
Questa è un’aritmetica da lavagna. Antica. Sulla carta le legislature sono tre, ma i governi possono essere in un numero maggiore. E poi, il problema non è la quantità. Il problema, a mio avviso, è la disconnessione dei gruppi parlamentari, con il Pd che è l’unico che abbia ambizioni di Partito, che non hanno, loro, la capacità di gestire una campagna presidenziale perché non hanno la capacità di unirsi attorno a un candidato. Ma ce l’immaginiamo i 5Stelle uniti attorno ad un candidato? Io francamente non ce li vedo. Ma non me l’immagino neanche se penso al Partito Democratico, le cui anime mostrano mai come ora l’impotenza nel dare vita ad una proposta. Quello che disturba tanto è constatare come questi movimenti, partiti o gruppi parlamentari abbiano di fatto timore di perdere e quindi non si scoprono e si guardano dal fare proposte. A me disturba più questo che la responsabilità del Presidente di fronte al numero dei governi; in fondo si tratta di una responsabilità definita dalla Costituzione non da inventare ex novo. In questo, non vedo alcuna straordinaria differenza tra la Presidenza entrante e quelle che l’hanno preceduta. Di diverso c’è altro…

Cosa?
Il tempo in cui viviamo. Segnato da una pandemia che continua a mordere. Ma questo è un problema che riguarda il Governo non la Presidenza. Se noi la vediamo come una sfida alla Presidenza è perché ragioniamo già in termini di presidenzialismo.

Non c’è il rischio in tutto questo gioco di candidature di parte, schede bianche attendiste, timore di perdere, di logorare l’uomo che dovrebbe salvare la baracca-Italia, cioè Mario Draghi?
Una democrazia parlamentare, elettiva, che ha solo un “meccanico” ad aggiustare i problemi e nessun altro, beh, è probabilmente una macchina fuori uso e che necessita di uno specialista. È questa la nostra situazione? Necessita davvero della logica whather it takes? Una democrazia non può essere quella dell’uno. Usciamo da questa retorica dell’uno che forse fa audience ma è poco realistica e per giunta deleteria. Premesso questo, io non ritengo che Draghi sia fuori dai giochi quirinalizi e nemmeno che voglia esserne fuori. In questo devo dire che personalmente mi ha un po’ spiazzato (e forse deluso).

Da cosa nasce questo “spiazzamento”?
Io avevo una visione di Draghi un po’ eccessiva, come di grand commis europeo e che come tale ambisse ad avere un finale di carriera diverso da quello nazionale, certo non più la Bce ma sempre in Europa o comunque oltre confine. Probabilmente lui stesso ha tirato un po’ i remi in barca, una barca nazionale, e ha deciso di tornare a casa per restarci (il suo riferimento al suo essere “un nonno” lo confermerebbe). Da qui l’attrazione verso il Quirinale. Dai media abbiamo saputo che in questi giorni e ore, Draghi ha avuto contatti con i leader dei partiti, per discutere probabilmente sulla tenuta del Governo dopo l’elezione presidenziale. Ma perché deve, lui, discutere di questo? E perchè condizionare il Quirinale a Palazzo Chigi?

Bella domanda. E quale risposta si dà?
Perché probabilmente al Quirinale potrebbe andarci lui. Si tratterebbe dunque di capire quanta stabilità avrebbe un Governo post-Draghi con lui al Quirinale; inoltre, non va trascurata la posta in gioco di Salvini, che vuole rientrare nel Governo, magari al dicastero dell’Interno. Deve aver compreso che se sta fuori non riesce a controllare le truppe e soprattutto quei “giorgettiani”. Per riprendersi il potere nel suo partito e, poi anche, per rilanciare la propria immagine nel paese, Salvini può ritenere necessario riconquistare il Viminale. È probabile che le trattative incrocino questi piani diversi e trovare una quadratura politica non è cosa semplice. Va da sé che il mercanteggiare all’ombra del Quirinale non è proprio un bel vedere, nemmeno per chi non si scandalizza che la politica politicante sia fatta di giochi molto pedestri.

In tutto questo giro di candidature più o meno potabili, di trattative sotterranee, di ambizioni personali, c’è ancora vita a sinistra?
Davvero mi viene difficile individuare la Sinistra nell’attuale scenario politico. Preferisco identificarla con lo schieramento che sta fuori del centrodestra. Riesco solo a definirla in negativo, in ragione di quel che non è di fatto. Quello che è più deprimente è che le ragioni tattiche sormontino tutto – accettiamo allora il fatto che è funzionale non esporsi al pubblico con dei nomi per non correre il rischio di dire poi di aver perso. Nessuno vuol dire di aver perso – strana condizione per i partiti, che sono stati costruiti proprio per consentire la possibilità di perdere senza danno per l’ordine politico. E quindi si andrà avanti con queste schede bianche ancora per un po’ per giungere poi a una conclusione condivisa, a coronamento di un lavoro di incontri e trattative che è ovviamente già in atto.

Non voglio strapparle una “profezia” sul nome del prossimo Capo dello Stato, ma sulla natura politica di questa conclusione, sì.
Sarà una conclusione comunque espressione di uno stato di necessità, che non fa un buon servizio all’istituzione della Presidenza, e che inoltre non rende questi partiti più degni; semmai li rende ancora più lontani da noi e più invisi. Dopo il declino di legittimità morale del Parlamento, sembra ora toccare alla Presidenza.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.