Il “gioco” del Quirinale, a Marco Bentivogli, coordinatore nazionale di Base Italia, ex leader dei metalmeccanici, non piace neanche un po’. E a Il Riformista spiega il perché.

Il “gioco del Quirinale” impazza nei palazzi della politica e nei salotti mediatici. Lei ci sta a questo gioco?
Fino ad oggi credo sia stato il più noioso dibattito purtroppo su una delle cose però più importanti. Da questo punto di vista (il “ne parliamo dopo gennaio”) è stato l’unico rinvio felice degli ultimi anni. La cosa ancor più deludente è stata l’attenzione che è stata data, perché l’antismo è ancora fortissimo, a quella che da subito è stata una candidatura spot, efficace come lepre di pezza per dare un sussulto a chi si sa svegliare solo sulle ossessioni e chi (spesso coincidono) non ha proprio idea della postura minima di un dirigente politico che prevede la capacità di fare proposte e qualche volta di portarle a casa. Noi come Base ci occupiamo proprio della grande questione della Partecipazione che crolla in tutti gli ambiti. Un esempio, le suppletive a Roma? Interessavano quando erano oggetto di scontro, come dicono a Napoli, le spade si sono messe a riposo e i foderi (lo dico con rispetto per i candidati) hanno iniziato combattere e ha votato 1 cittadino su 10. I talk hanno plasmato la politica ma anch’essi non guadagnano ascolti. La polarizzazione in Italia funziona sempre meno ma è purtroppo efficace proprio nel consolidamento del pensiero binario, l’ossimoro del pensiero politico.

Attorno al futuro di Mario Draghi si confrontano e scontrano due partiti trasversali: il partito di quelli che lo vorrebbero da subito al Quirinale, e il partito, anch’esso trasversale, di coloro che spingono per una sua permanenza a Palazzo Chigi fino al termine naturale della legislatura, marzo 2023. Lei da che parte sta?
Pensando al paese, si è visto che tutte le cose uscite dall’ufficio di Draghi quando incontrano la politica nostrana degradano. Il Pnrr è una di queste. Sono sinceramente preoccupato, ci sono più cabine di regia che idee e la gran parte degli incarichi importanti viene conferito a persone in pensione. Next Generation Eu in Italia andrebbe rinominato, per decenza, Past Generation. Per questo preferisco Draghi resti dove è. Certo, se si dovesse spendere per il Quirinale, lo si dovrebbe fare dentro un affidamento complessivo, altrimenti il rischio di bruciarlo su entrambi i ruoli è reale. Un maestro (che vuole restare anonimo) dice: “La politica italiana si avvia ad eleggere un supertecnico al Quirinale e un tecnico di fiducia del supertecnico a Palazzo Chigi. Con ciò ufficializzando la bassissima considerazione che ha di sé stessa”. Da un lato la distinzione “tecnico” e “politico” è spesso sfumata. L’attitudine dei partiti a “nascondersi dietro il tecnico” per non cambiare, non assumersi responsabilità è evidente. Ultimamente fanno incessantemente scouting di “tecnici” light (di certo con caratura inferiore a Draghi) che al sodo li lascino gestire nomine e spartizione di potere, per poi parlare, nei convegni, di distribuzione della ricchezza e dei poteri.

In questi giorni di tavoli che si aprono e che si richiudono in fretta, non si fa che parlare di candidature “condivise”, “super partes” etc. Lei come le declina politicamente?
Quasi tutti i partiti hanno chiesto un mandato ai propri organismi. Ho seguito tante vertenze da contrattualista, magari sbaglierò ma se, prima di un negoziato, ti fai dare un mandato “pieno…” ma poi devi ritornare a riverificarlo ad ogni passo, o il mandato non era pieno o troppo stretto o troppo largo per essere serio… Tutti hanno ironizzato sul tweet congiunto di Letta, Speranza e Conte. Nei metalmeccanici usavamo il comunicato identico senza firma unitaria dopo grandi rotture o in presenza di nodi divisivi, nel breve insormontabili. La cosa più singolare è che il Tweet è unito contro Berlusconi e basta. Mentre Conte e Salvini avrebbero dovuto fare il tweet congiunto, perché vanno oltre al No a Berlusconi, aggiungono il No a Draghi. Non so quanti siano ma io appartengo a quegli italiani che si sono accorti che da luglio Draghi ha un po’ allentato e ci si palesa con chiarezza cosa accadrebbe al paese se la gestione di Draghi dovesse rivelarsi come vogliono in molti, una parentesi e non una discontinuità, un nuovo inizio. È comprensibile dopo mesi di teatrino in cui alcuni ministri si battono contro quel che loro stessi votano in Consiglio dei Ministri, ricordano quei sindacati che scioperano contro gli accordi che han firmato. Nei mitici sondaggi il gradimento di Draghi è derivante dalla percezione del suo distacco dai partiti, dalla politica e dal suo stesso Governo. I partiti sono fondamentali, è interesse di tutti che siano rappresentativi, democratici e aperti.

Il giudice emerito della Corte Costituzionale, Sabino Cassese, ha sostenuto in una recente intervista a Rainews24 che quella del nuovo Capo dello Stato è “una elezione determinante per gli equilibri politici”. Motivando in questi termini: in una fase di grande frammentarietà delle forze politiche, il potere del Presidente della Repubblica come “gestore” delle crisi aumentata considerevolmente. Non solo. Paradossalmente, argomenta Cassese, in un sistema parlamentare, un Presidente della Repubblica che fosse anche leader di un partito, soprattutto di un partito di maggioranza, concentrerebbe nelle sue mani un potere molto maggiore del potere di un Presidente di una Repubblica presidenziale. Come scongiurare questo rischio?
Cassese è un punto di riferimento per chi non butta il cervello all’ammasso. Il 60% non ha voluto riformare la Costituzione e poi ha avallato di fatto il ridimensionamento del ruolo del Parlamento e il taglio dei parlamentari darà il colpo di grazia alla democrazia parlamentare. Guardi, la democrazia è a rischio perché rischiamo di avere fuori dalle farmacie, dalle fabbriche, etc. la bacheca dei Tar e del Consiglio di Stato. Forse sono l’unico che dopo aver letto il libro di Palamara ha pensato che, in assenza di smentite dei fatti riportati, sarebbe venuto giù tutto. Macché. Avete visto la reazione del Csm all’azzeramento dei suoi vertici da parte del Consiglio di Stato? La parte iper-corporativa della magistratura si è arroccata come ha fatto la politica tutte le volte che ha avuto problemi di reputazione. In un paese in cui è evidente l’assenza di equilibrio tra i poteri dello Stato e che ha bisogno di un Presidente autorevole che ristabilisca autonomia, indipendenza ma anche equilibrio.

In una nostra recente conversazione, si è parlato della costruzione di un ampio campo riformatore, “centrista” è una parola che a lei non piace. Non crede che questo campo manchi di protagonismo politico in questo passaggio per certi versi cruciale nella vita, non solo politica e istituzionale, del paese?
Questo è un paese che dopo le elezioni del 2018 si è accorto di quanto sia inadeguato il nostro quadro politico e contestualmente ha detto… ci penseremo dopo le europee, nel semestre bianco, fino ad arrivare al dopo l’estate, le amministrative, ora tutti concordano su dopo il Quirinale. La mia speranza è che dopo le elezioni si avvii una riconfigurazione della politica italiana. Ci sono troppe riforme da fare, un Paese lento, iniquo, ingessato, che disprezza “l’Italia a prescindere” che si rimbocca le maniche da anni, nonostante la rappresentanza. Il motore che apre le danze dovrebbe essere chi spezza questo moto perpetuo di autoconservazione. I riformisti autentici sono chiamati a farlo. Attualmente ci si divide tra l’ossessione ad essere determinanti e la vocazione a non esserlo. Serve ora, una leadership in grado di far emergere un gruppo dirigente diffuso che abbia valori comuni e il coraggio per ridare nobiltà alla politica e prenda in mano il destino del nostro paese. L’esatto opposto dell’egocentro. Il contrario dei partiti caserma, recintati dal leader narciso o dai caporali. I partiti chiusi e incontendibili sono il terreno migliore per consolidare la mediocrazia, assicurarsi di stare a galla perché si è in secca. “Tirare a campare” sembra un’attitudine rivoluzionaria in quei contesti. Perché le idee e il valore nella battaglia politica fa solo paura. Bisogna lanciare un appello al paese contro il degrado civico, servono nuovi politici come ci ha rammentato Padre Occhetta, testimoni di bene comune e capaci di concretezza e di far germogliare persone e processi. E poi ripartire e mettersi al lavoro per una Italia libera e forte.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.