Il sottosegretario agli Interni Molteni, nella sua visita elettorale a Trieste, insieme agli esponenti della Lega Nord, ha chiesto a gran voce la ripresa delle “riammissioni informali” dall’Italia alla Slovenia dei richiedenti asilo e il potenziamento, con la medesima funzione di fatto, delle pattuglie miste italo-slovene. Una richiesta che non sorprende: da sempre è sull’incitamento allo scontro sociale e sulla costruzione della macchina della paura che si fonda l’intera fortuna politica di formazioni politiche estremiste. Perché le riammissioni informali, di cui è stato auspicato il ritorno, è particolarmente grave? Per capirlo dobbiamo ricostruire velocemente i fatti: tra maggio 2020 e metà gennaio 2021 la polizia di frontiera italiana su precisa indicazione del Ministero dell’Interno ha “riammesso” (parola dolce per mascherare quella vera, ovvero “respinto”) almeno 1.301 stranieri che arrivavano laceri e stremati dalla rotta balcanica; si trattava, ieri come oggi, di afghani, iracheni, pachistani, giovani e giovanissimi in fuga dai peggiori regimi del mondo.

Il 24 luglio 2020, nell’aula di Montecitorio, il governo italiano rispondendo all’interrogazione di Riccardo Magi ammetteva di respingere in Slovenia gli stranieri «anche qualora sia manifestata l’intenzione di richiedere protezione internazionale» evidenziando con laconico linguaggio burocratico che «qualora ricorrano i presupposti per la richiesta di riammissione e la stessa venga accolta dalle autorità slovene non si provvede all’invito in questura per la formalizzazione dell’istanza di protezione». Caso unico nella storia della Repubblica, il diritto di chiedere asilo sancito dalla Convenzione di Ginevra e dall’art. 10 della Costituzione venne dunque sospeso o al più trasformato in una eventuale concessione e i respinti vennero trasformati in semplici irregolari di cui disfarsi. Non solo; quelle riammissioni dei richiedenti asilo, oggi nuovamente invocate, vennero attuate in modo “informale”.

Ci imbattiamo dunque nel secondo cruciale aspetto della fosca pagina delle riammissioni: al malcapitato straniero cui veniva impedito di chiedere asilo non veniva notificato alcun provvedimento motivato in fatto e in diritto e impugnabile in giudizio. Il respingimento, in tal modo, non lasciava traccia e la persona vittima dell’abuso non aveva la possibilità di contestare di fronte ad un giudice quanto era accaduto e invero neppure di dimostrare che il fatto fosse effettivamente accaduto. In un sol colpo la persona, da soggetto giuridico portatore di un nucleo di diritti inalienabili, veniva trasformato in un fantasma o in una sorta di essere sub-umano, privo, per definizione, di alcun diritto e in particolare del diritto di difesa riconosciuto a chiunque dall’art. 24 della Costituzione e dall’art. 13 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. In un sistema democratico, il limite invalicabile, anche nell’attuazione delle leggi più draconiane, rimane quello dell’esistenza di una procedura che insieme documenti l’atto compiuto dall’amministrazione e permetta alla persona cui la misura è stata applicata di chiedere ad un’autorità terza di accertarne la legittimità. Diversamente, non c’è nulla di ciò che usualmente identifichiamo con l’espressione stato di diritto.

Le riammissioni dei richiedenti asilo sono state giustificate invocando l’applicazione dell’accordo bilaterale fra il governo della Repubblica italiana e il governo della Repubblica di Slovenia sulla riammissione delle persone alla frontiera, firmato a Roma il lontanissimo 3 settembre 1996; tale accordo è stato presentato come un’autonoma fonte di diritto che persino sovrasta o si sostituisce o integra altre norme interne o di diritto europeo: una tesi tutta ideologica e totalmente infondata sul piano giuridico, in primo luogo perché l’accordo in sé è di dubbia legittimità in quanto, nonostante abbia una chiara natura politica, non è mai stato ratificato dal Parlamento con legge di autorizzazione alla ratifica ai sensi dell’art. 80 della Costituzione; in secondo luogo perché in ogni caso né questo né altri accordi inter-statali possono prevedere modifiche alle leggi vigenti in Italia né introdurre deroghe o modifiche alle norme dell’Unione o derivanti da fonti di diritto internazionale. Il diritto di asilo quale diritto basilare di poterlo chiedere, alla frontiera o nel territorio, non può mai essere negato, mentre l’individuazione del paese competente a esaminare la domanda di protezione internazionale presentata nel territorio di uno stato o alla frontiera rimane una procedura disciplinata dal (pessimo ma vigente) Regolamento Dublino III. Esso prevede che ogni domanda presentata ad una delle frontiere europee (sia interne che esterne) vada sempre registrata, la persona vada collocata in sicurezza e solo in una fase successiva, se vi sono gli elementi, venga attivata una procedura per trasferire il richiedente asilo in un altro Stato ritenuto, in base ai criteri indicati nel regolamento, competente ad esaminare la sua domanda.

Ma lo scopo delle riammissioni non era affatto quello di scaricare più richiedenti asilo possibile in Slovenia, magari applicando metodi spicci non del tutto legali; era completamente un altro, ovvero far sparire i richiedenti asilo per tutti. Il respingimento tra Italia e Slovenia era infatti il primo anello di una catena di respingimenti, tutti rigorosamente informali, che portavano i malcapitati dall’Italia alla Slovenia e subito dopo (in genere con operazioni fulminee che duravano poche ore) in Croazia. In quest’ultimo Paese, noto agli italiani come luogo di amene vacanze, ma dal sistema di tutela dei diritti umani assai fragile, i fantasmi o “subumani”, venivano (e vengono tuttora, anche se solo non più dall’Italia) deportati in Bosnia facendoli attraversare clandestinamente il confine bosniaco, in genere di notte, nei boschi, dopo averli depredati, picchiati, violentati. Tutto ciò avveniva e tuttora avviene sul suolo europeo, anzi sul suolo dell’Unione europea. Dall’altra parte del confine a concludere la catena delle violenze ci pensa la polizia bosniaca, appena accusata dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura (rapporto del 14 settembre 2021) di uso sistematico della violenza e di diffuso uso della tortura.

In questo cupo scenario di vero e proprio crollo del sistema giuridico europeo di tutela dei diritti umani si è inserita quale primo freno l’ordinanza del 18 gennaio 2021 del Tribunale di Roma in un procedimento cautelare ex art. 700 c.p.c. che ha censurato duramente la condotta dello Stato italiano per plurime e gravi violazioni delle leggi interne ed internazionali, come ho avuto modo di spiegare su queste pagine il 3 marzo 2021. Ad inizio maggio 2021 lo stesso Tribunale di Roma in composizione collegiale, non intervenendo in alcun modo sulla ricostruzione del giudice di prime cure circa i profili di illiceità delle procedure di riammissione “informale” dei richiedenti asilo (anzi evidenziando che i fatti descritti, se accertati, risulterebbero eccezionalmente gravi), ha accolto il reclamo proposto dal Ministero dell’Interno avverso la sopraccitata ordinanza ritenendo, sempre nell’ambito di un giudizio di urgenza (il merito è tuttora pendente), che non fosse stata prodotta una prova piena dell’ingresso in Italia (e dunque della sua riammissione) del ricorrente; una tesi quanto mai opinabile considerato che proprio l’informalità, ovvero l’assenza radicale di ogni procedura e quindi del livello minimo previsto da uno stato di diritto, era la caratteristica pregnante di tutta l’operazione delle riammissioni.

Alla fase del merito spetterà stabilire i fatti effettivamente accaduti nel caso concreto, ma ritengo che della illegittimità delle riammissioni dei richiedenti asilo non si possa dubitare. Spaventa constatare che c’è chi, ricoprendo ruoli istituzionali, vorrebbe tornare a quel groviglio oscuro che sono state le riammissioni/respingimenti “informali” alle nostre frontiere e vorrebbe altresì che la polizia italiana, invece di difendere la legalità e i diritti delle persone, sporcasse la propria reputazione collaborando con le operazioni messe in atto dalla Slovenia (paese risucchiato oggi nella spirale autoritaria di Orban) nel favorire i respingimenti a catena. Tutto ciò ci ricorda che la democrazia è un fragile e sempre incerto sistema di bilanciamento di poteri e di garanzie la cui stessa esistenza si misura non da come trattiamo i forti ma da come trattiamo i deboli e gli ultimi.