Durante la sua lecture sul rapporto tra politica e giustizia, Stephen Breyer è stato chiaro: «Se il pubblico vede i giudici come politici con la toga, la sua fiducia nelle corti e nella legalità può solo diminuire». Parole forti, quelle che il giudice della Corte suprema americana ha pronunciato il 6 aprile scorso all’università di Harvard e che il costituzionalista Sabino Cassese ha citato nel suo intervento pubblicato ieri sul Corriere della Sera. Quelle esternazioni, però, hanno un carattere universale e ben si attagliano al pm Catello Maresca e al Consiglio superiore della magistratura di casa nostra.

S’intuisce facilmente il perché. Da mesi il sostituto procuratore generale di Napoli è indicato come probabile candidato sindaco per il centrodestra. Da mesi incontra i leader dei partiti per valutare la possibilità di una “discesa in campo” alle prossime comunali. Da mesi riceve investiture da parte dei maggiorenti di Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia (Silvio Berlusconi e Matteo Salvini su tutti) senza preoccuparsi di smentirle. Tutto ciò non gli impedisce di continuare a esercitare le funzioni nella stessa città che ambirebbe – anzi, ambisce: a questo punto il condizionale è inutile – ad amministrare. È Un po’ magistrato e un po’ candidato, insomma. A nulla sono valsi gli inviti di politici, giornalisti, ampi settori dell’opinione pubblica e persino colleghi che hanno chiesto a Maresca di compiere una scelta di chiarezza: smentire le voci di una candidatura, continuando a servire lo Stato con la toga sulle spalle; in alternativa, accettare la sfida elettorale e collocarsi in aspettativa un minuto più tardi, in modo tale da non alimentare (ulteriori) polemiche sul rischio di compromissione dell’indipendenza e dell’imparzialità di cui un magistrato deve necessariamente godere.

Anche il Csm si è interessato del caso, salvo chiuderlo con una “pacca sulla spalla” di Maresca: il pm napoletano ha il diritto di valutare la candidatura a sindaco e, in questa prospettiva, può esercitare tutte le “attività prodromiche”. Tradotto, significa che, secondo il Csm, su un magistrato non gravano obblighi o doveri ulteriori rispetto a quelli previsti per i comuni cittadini. Ragion per cui il principio secondo il quale una toga deve non solo essere, ma anche apparire indipendente e imparziale, è una elucubrazione, un sofisma, un ragionamento capzioso condotto al solo scopo di limitare le legittime ambizioni di Maresca. E proprio qui sta il paradosso: il Csm si è ben guardato dal chiarire come un magistrato debba comportarsi per essere e apparire indipendente e imparziale.

Per fortuna ci ha pensato il giudice Breyer che ha chiarito come una toga debba tenersi “a distanza di sicurezza” dalla politica in modo tale da non incrinare la fiducia dei cittadini negli organi della giustizia e nella legalità. Non solo: Breyer si è spinto oltre affermando che «la legalità dipende dalla fiducia che le corti siano guidate da principi giuridici e non dalla politica». Non è certamente questo il caso di Maresca, magistrato notoriamente irreprensibile. Il suo comportamento, però, rischia di alimentare quei sospetti (infondati, per carità) dai quali il giudice americano ha messo in guardia la platea di Harvard. Perciò sarebbe il caso che qualcuno desse una rapida occhiata alla lecture di Breyer. Non solo a Napoli, ma anche a Roma, zona Palazzo dei Marescialli.

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Classe 1987, giornalista professionista, ha cominciato a collaborare con diverse testate giornalistiche quando ancora era iscritto alla facoltà di Giurisprudenza dell'università Federico II di Napoli dove si è successivamente laureato. Per undici anni corrispondente del Mattino dalla penisola sorrentina, ha lavorato anche come addetto stampa e social media manager prima di cominciare, nel 2019, la sua esperienza al Riformista.