Cresce la tensione nelle carceri italiane, dalla Campania a quelle del Nord. I casi Covid-19 si moltiplicano, superando i 25 contagiati già noti, e dietro le sbarre i detenuti non rimangono a guardare. E il virus colpisce ancora anche il personale sanitario: uno dei medici in servizio nelle carceri bresciane di Verziano e in quello di Canton Mombello è morto per coronavirus. Si chiamava Salvatore Ingiulla ed era risultato positivo nelle scorse settimane. «Particolare attenzione alle carceri venete e lombarde che potrebbero essere di nuovo l’inizio delle rivolte», raccomanda il segretario generale del sindacato di polizia penitenziaria, Aldo Di Giacomo. Ma è in Campania che la bomba virale può deflagrare.

È lì, nel carcere di Santa Maria Capua Vetere (Caserta) che è stata riscontrata la positività di un detenuto particolare: l’ex deputato della Regione Sicilia Paolo Ruggirello, recluso dal 5 marzo 2019 e che è stato successivamente trasferito all’ospedale Cotugno di Napoli. La protesta è scoppiata, fulmimea: sei sezioni del reparto “Nilo” della struttura carceraria casertana nella notte tra domenica e lunedì sono finite nelle mani di 150 detenuti. Si sono impossessati delle chiavi e si sono barricati nei corridoi e negli antri dei reparti rendendo difficoltoso l’accesso agli agenti della polizia penitenziaria.

Anche in questo caso, una rivolta annunciata e prevedibile, frutto dell’incapacità del Dap di gestire i focolai di contagio. «Una situazione che avevo segnalato con grande forza, perché i famigliari di Ruggirello, che si erano resi conto da molti giorni del suo stato di salute, avevano invocato un mio intervento», dice al Riformista Vittorio Sgarbi. Il deputato e storico dell’arte sta diventando un riferimento per le famiglie dei detenuti. Sgarbi è stato informato di come Ruggirello si sia sentito male: febbre alta e tosse che non lasciavano margine di dubbio. Ma per giorni le autorità fingono di non sapere, fanno spallucce. I parenti di Ruggirello si rivolgono al magistrato di sorveglianza, Troja. Inutilmente. Sgarbi ci fa vedere un messaggio che ha mandato con Whatsapp al ministro Bonafede. «Vuoi intervenire e mandare gli ispettori a Napoli per capire il lavoro di questo Troja?». Messaggio a cui Bonafede non ha ritenuto di rispondere: un silenzio che oggi fa ribadire a Sgarbi: «Le posizioni dei vari Gratteri sono molto pericolose perché inducono alla malattia o alla morte. Innescano le basi per una strage». La denuncia nei confronti del Ministro Bonafede per aver provocato la diffusione della pandemia giace davanti a 130 Procure.

Nella casa circondariale di Voghera, intanto, si è ammalato di coronavirus un altro detenuto in attesa di giudizio. Anche in questo caso, la richiesta di aiuto della famiglia è rimasta inevasa. Bruciano le parole di chi aveva segnalato per tempo: «Ha contratto il virus, il medico si è rifiutato di visitarlo. Martedì lo hanno ricoverato al San Paolo di Milano dopo 6 giorni di febbre alta. Oggi (ieri, ndr) si è aggravato. È in terapia intensiva. Nella sezione 3 del carcere di Voghera ci sono 60 persone poste in isolamento negli stessi locali in cui l’uomo ha vissuto fino a martedì. Non ci sono né mascherine né guanti e non è stata fatta nessuna disinfestazione. Anzi è stato chiesto ai detenuti di pulire con i loro detersivi. Oggi (ieri, ndr) altri 4 sono stati trasferiti per febbre alta. La direttrice ed il medico sono irraggiungibili. Qui si rischia davvero un’ecatombe». La parola passa alla politica, che su questo tema bussa inascoltata alle porte di via Arenula.

«A quasi un mese dalle prime proteste e rivolte nelle carceri italiane la risposta del Ministro Bonafede appare purtroppo inadeguata: chiediamo di conoscere quale sia il piano sanitario della Amministrazione penitenziaria in caso di aumento della diffusione della epidemia tra i detenuti”, dice Massimo Ungaro, deputato di Italia Viva. Sul versante opposto, Giorgia Meloni. “Adesso basta! Non servono nuove concessioni o svuotacarceri. Ora pretendiamo processi per direttissima, pene esemplari, prevedere anche l’ipotesi di revoca dei benefici di massa», tuona da Twitter. Bonafede sembra averla preventivamente accontentata: ai domiciliari vanno in pochi, di braccialetti non se ne vede ancora l’ombra.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.