Oltre a corrispondere a un’esigenza di rivitalizzazione dello Stato legislativo di diritto, una discussione d’assemblea sulle questioni coinvolte in una decisione di clemenza collettiva porterebbe allo scoperto unità e divisioni sulle idee di fondo di un’autentica cultura costituzionale dei diritti e, in particolare, su quel che resta della lezione di solidarietà e di umanità che (dovrebbe) trasmette(rci) la disposizione sulla funzione rieducativa della pena e sul divieto di trattamenti che offendono il senso profondo della dignità.

Consentirebbe di conoscere il pensiero del nostro Parlamento sulla realtà carceraria del Paese, verificando se per il nostro legislatore costituisca una situazione compatibile con gli standard, costituzionali e convenzionali, di tutela dei diritti umani e se ne rappresenti una flagrante violazione; e se, per il futuro, esso non ritenga che occorra voltare pagina, magari riprendendo i risultati del lavoro compiuto negli Stati generali dell’esecuzione durante la scorsa legislatura. In questo caso, il varo di una misura di clemenza generale – oltre alla portata interruttiva di una situazione di intollerabile illegalismo costituzionale – avrebbe il significato di anticipare in parte gli effetti di una futura riforma, sia pure abbozzata solo nelle sue direttrici di fondo.

Insomma, dobbiamo essere tutti consapevoli che, nella terribile esperienza che stiamo vivendo, in gioco non è solo la salute delle persone, ma anche quella del modello di regolazione politica della convivenza consegnatoci dal cammino giuridico e istituzionale della Modernità.

 

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