«Il regalo per il mio compleanno? Passarlo insieme alla mia famiglia». Marco (il nome è di fantasia) compirà 15 anni oggi e ha sperato fino all’ultimo che il Tribunale dei minori gli concedesse il permesso di lasciare la casa famiglia in cui è stato confinato insieme alla sorella sedicenne (l’unica ragazza nella struttura di Sarno) e al fratellino di dodici. Non hanno condanne, lì si trovano per decisione di un giudice che li ha tolti ai genitori dopo un percorso con uno psicologo. È accaduto tutto poco prima di Pasqua. «Per le feste siamo tornati a casa, ma senza dormirci – racconta Marco –. Il sabato mattina ci sono venuti a prendere e la sera ci hanno riportato nella casa famiglia, stessa cosa la domenica. Dopo non abbiamo avuto più permessi».

Il tono della voce è smarrito, al limite della disperazione. Ma sa di dover essere forte per sua sorella e soprattutto per il fratellino. «È lui quello che mi preoccupa di più. Piange spesso, vuole tornare a casa, rifiuta di fare attività. Sta subendo un trauma profondo. Devo stargli vicino durante la notte. Devo essere forte per lui». Ma cosa hanno fatto questi tre ragazzini? Niente di penalmente rilevante. Sono al centro di protocolli che, sovente, lasciano alle spalle il senso di umanità. «Siamo come detenuti senza pena», dice Marco. Ed ha ragione. Perché in quella struttura ci sono numerosi minori che stanno scontando condanne e che godono di maggiori permessi di quanti ne abbiano i tre fratelli. E non è tutto. «Dicono che la mia famiglia non sia attenta alla casa… Da quando siamo arrivati viviamo in una stanza con muffa e umidità e non hanno fatto nulla. Quando abbiamo detto che c’era puzza, ci hanno detto di aprire le finestre e dormire con la porta aperta». Vengono dai Quartieri Spagnoli.

I genitori sono stati sottoposti a un percorso di valutazione e rafforzamento delle competenze genitoriali. Da qui l’invio dei minori verso un percorso di sostegno psicologico, con inserimento in progetti educativi e formativi adatti alle loro esigenze. Fino alla casa famiglia. Secondo le relazioni tecniche sarebbero «ancora presenti criticità e disfunzionalità in ambito familiare». L’Asl ha convocato i genitori per la presa in carico ma questi ultimi hanno rifiutato l’adesione, e anche nei successivi incontri predisposti non si sono presentati. Il nodo della questione era la scuola. Marco ha frequentato per pochi giorni all’inizio dell’anno scolastico in corso mostrando scarso interesse, la ragazza sedicenne risultava assente da dicembre 2021 dopo aver avuto comunque una frequenza sempre irregolare. «Mia sorella è stata vicina a mio padre che si è operato – spiega ancora Marco – I miei fratelli maggiorenni lavorano, mia madre lavora in un’impresa di pulizie, mio padre è guardiano notturno. Come fanno a dire che non riescono a badare a noi?».

Eppure, il Tribunale ha disposto la sospensione della potestà genitoriale per la coppia. In una relazione si legge che, nell’estate 2018, Marco era stato inserito in un centro polifunzionale residenziale a Marechiaro. In quel luogo, il 27 agosto, si era verificata una lite tra il ragazzino, che all’epoca aveva 11 anni, ed altri ospiti. In quella lite Marco aveva reagito dimenandosi e «minacciando di lanciare sassi e qualunque altro oggetto nella sua immediata disponibilità in direzione dei compagni e dei docenti». Un episodio che nella stessa relazione viene definito come isolato, «forse allarmato dalla lontananza, per la prima volta, da casa». Perché per un bambino di 11 anni, stare lontano dai genitori è come vivere un lutto. I genitori, appreso quanto accaduto, si mostrarono stupiti, ritenendo Marco il meno turbolento dei loro figli, ed effettivamente viene descritto nella stessa relazione come un bambino esile e dai modi educati. La vicenda si è gonfiata rapidamente e i tre ragazzi sono finiti in un vero e proprio tritacarne. «Abbiamo fatto un po’ di casino a scuola, abbiamo avuto reazioni vivaci ma non violente – dice Marco – Dopo quanto accaduto a scuola siamo andati dall’assistente sociale per parlare che diceva: “Se fate i bravi vi diamo permessi”. Ne abbiamo avuto solo uno».

Non sono detenuti e possono telefonare alla famiglia. Ma è stato contestato anche questo. In una relazione interna dell’istituto si legge che «in questi due mesi di permanenza in struttura, i minori hanno fatto registrare un buon comportamento intervallato da momenti di tensione; hanno aderito alle regole poste in essere della comunità senza particolari rimostranze, hanno collaborato alle attività senza eccessiva oppositività». Nella relazione viene notato il forte legame tra i fratelli e il padre, ritenuto «molto presente». «È stato difficile creare un’alleanza con i minori proprio per la presenza talvolta ingombrante del padre che mediava telefonicamente ogni attività dei figli. È stato ridotto anche l’utilizzo del cellulare, ma senza esito positivo». Troppo presente, troppo legato ai suoi figli. Troppo amore.

«È paradossale – dice l’avvocato Massimo Capasso, avvocato e direttore del centro ascolto di Sant’Antonio Abate presso il quale si è rivolta la famiglia dei tre minori – , ma se avessero avuto una misura cautelare, a quest’ora sarebbero già a casa. Quando una misura impositiva non ha una ratio, diventa misura persecutoria. È una giustizia spettacolo. Senza contare che la curatrice, colei che dovrebbe esercitare la potestà genitoriale, i ragazzi non li ha mai incontrati. Chiedo che vengano mandati degli ispettori per verificare queste procedure. Non credo all’arroganza dei violenti, ma al silenzio degli onesti. Lo disse Martin Luther King».

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Napoletana, laureata in Economia e con un master in Marketing e Comunicazione, è giornalista professionista dal 2007. Per Il Riformista si occupa di giustizia ed economia. Esperta di cronaca nera e giudiziaria ha lavorato nella redazione del quotidiano Cronache di Napoli per poi collaborare con testate nazionali (Il Mattino, Il Sole 24 Ore) e agenzie di stampa (TMNews, Askanews).