Processi impazziti, giudici “passanti”, giustizia trasformata in una lotteria: a ogni udienza ormai si rischia di dover fare il totogiudici. Possibile? I penalisti di Napoli denunciano una situazione divenuta ormai insostenibile: la quasi totalità dei processi dinanzi ai giudici monocratici, in Tribunale e in Corte di Appello non arriva a sentenza con lo stesso collegio giudicante che ha istruito il processo. Significa che chi inizia il processo per cui chi segue la fase del contraddittorio e dell’esame dei testimoni non è poi lo stesso giudice che emette la sentenza, e quindi che adotta la decisione finale.

Tutto questo spezza il già sottilissimo filo di fiducia che lega i cittadini al sistema giustizia. Ed è per questo che la Camera penale di Napoli, presieduta dall’avvocato Marco Campora, ha proclamato tre giorni di astensione dalle udienze: da oggi a venerdì uno stop in segno di protesta. Una protesta che sarà finalizzata a lanciare un segnale chiaro alla magistratura, al Ministero e a tutti gli attori del sistema giustizia, ma che servirà anche a stimolare un momento di confronto e di dibattito. Questa mattina, infatti, i penalisti napoletani si riuniranno in assemblea. Il tema è caldo e assai diffuso proprio perché interessa la stragrande maggioranza dei processi. Basti pensare che in Corte d’Appello, a causa della carenza di personale, c’è un turnover di magistrati applicati che si alternano ogni sei mesi. Questo ricambio continuo ha gioco forza effetti sul processo perché il magistrato che avvia il procedimento finisce per non essere quello che lo conclude. Lo stesso accade nei processi di primo grado, dinanzi alle sezioni monocratiche e al Tribunale di Napoli che nei mesi scorsi ha deciso di sopprimere due sezioni.

«I prevedibilissimi e nefasti effetti scaturenti dalla sentenza Bajrami hanno modificato radicalmente le modalità attraverso le quali viene esercitata la giurisdizione», sottolinea la giunta della Camera penale nella delibera di astensione, segnalando una situazione che si verifica non solo nel distretto di Napoli ma anche al di fuori. «Il nostro sistema processuale si fondava su pochissime certezze. Una di queste, forse la più importante, era che il processo fosse deciso dallo stesso giudice che aveva assunto le prove». Ma ora questa certezza è crollata, come tante altre legate alle garanzie e al diritto dei cittadini a un giusto processo. «Assistiamo quotidianamente ad un continuo tourbillon di giudici, a processi in cui ad ogni udienza vi è un giudice diverso, a mutamenti di collegi che intervengono all’esito di complessissime istruttorie dibattimentali (durate sovente anni) con la conseguenza che, non infrequentemente, la sentenza è emessa da chi non ha partecipato all’escussione di neppure un testimone – si legge nell’atto d’accusa della Camera penale di Napoli -. Si è creata una nuova figura di giudice, il giudice “passante”, che entra in aula, dirige come un vigile il processo, ascolta il testimone e se ne va, consapevole che non spetterà a lui/lei decidere quella causa».

Una situazione che va avanti da tempo: «Da tre anni nel nostro Tribunale si stanno celebrando dei simulacri di processo ove viene costantemente violato il principio fondante il rito accusatorio e, cioè, l’oralità e l’immediatezza del contraddittorio». Azzerati con un colpo di spugna garanzie e diritti, e non certo in nome di una maggiore celerità del processo che continua ad avere i suoi tempi biblici. «Decenni di studi sull’importanza della comunicazione non verbale del testimone, sulla necessità per il giudicante di partecipare fisicamente all’assunzione di ogni prova, sulla necessità che vi sia identità fisica tra chi assume la prova e chi emette la sentenza, sono stati sacrificati sull’altare di non si sa bene cosa, non certo sull’altare dell’efficienza, atteso che i tempi dei processi restano elefantiaci e certo il continuo trasferimento dei giudici non ne agevola una definizione in tempi ragionevoli – sottolineano gli avvocati della Camera penale di Napoli -. Ed il deficit di comprensione del giudicante, che, anche suo malgrado, difficilmente riuscirà a comprendere gli snodi fondamentali di un processo dalla mera lettura dei verbali, sta determinando un notevole e tangibile scadimento della qualità delle decisioni». Il problema non è da sottovalutare. «È un problema che dovrebbe preoccupare tutti gli attori della giurisdizione. Abbiamo notato invece che, sin dal giorno successivo alla pronunzia della Suprema Corte, la sentenza Bajrami è stata colta come una sorta di “liberi tutti”, un modo facile per poter proseguire in quella giostra di trasferimenti dei giudici senza più doversi neanche più preoccupare dei processi che dovevano ricominciare daccapo».

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Napoletana, laureata in Economia e con un master in Marketing e Comunicazione, è giornalista professionista dal 2007. Per Il Riformista si occupa di giustizia ed economia. Esperta di cronaca nera e giudiziaria ha lavorato nella redazione del quotidiano Cronache di Napoli per poi collaborare con testate nazionali (Il Mattino, Il Sole 24 Ore) e agenzie di stampa (TMNews, Askanews).