Il 27 e il 28 giugno, gli avvocati penalisti si sono astenuti dalle udienze per chiedere un immediato intervento legislativo a salvaguardia della concreta attuazione dei principi cardine del giusto processo. Per comprendere cosa s’intenda per “giusto processo”, il lettore potrà fare riferimento all’articolo 111 della Costituzione che, tra l’altro, prevede che ogni processo, che dovrà essere di ragionevole durata, si svolge nel contraddittorio delle parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale. In particolare, la recente astensione è stata proclamata per il rispetto dell’articolo 525 (comma 2, c.p.p.) che prevede che la sentenza venga emessa dagli stessi giudici che hanno partecipato al dibattimento.

Principio messo in discussione da una sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione che sta consentendo la prassi, in molti uffici giudiziari, di mutare i componenti dei collegi, ovvero il giudice monocratico, a dibattimento in corso, con la conseguenza che coloro o colui che decideranno o deciderà l’esito del processo, non ha partecipato, o ha partecipato solo parzialmente, all’istruttoria dibattimentale. Ancora una volta, dunque, la protesta dell’Unione Camere Penali, lontana sempre da logiche corporative, si caratterizza per la difesa di principi che dovrebbero essere inviolabili e che dovrebbero interessare tutti i cittadini, primi tra tutti i magistrati chiamati al difficile e arduo compito di accertare la verità. Operazione complessa alla quale va fornito ogni possibile e valido contributo affinché non si continui ad incorrere nei numerosi errori giudiziari che affliggono la nostra Giustizia. E l’immutabilità del giudice è certamente uno di questi contributi. Sul tema di rilevante importanza per l’esito del processo va ribadito che se colui che dovrà emettere la sentenza, non ha partecipato all’attività probatoria, il rischio di errore aumenta notevolmente.

Un’affermazione banale, ma che non trova consenso in gran parte della magistratura che rivendica la possibilità di cambiare funzione, collegio, sezione ovvero sede, senza attendere che i processi loro assegnati vengano definiti. I dibattimenti, viene affermato, durano molti anni ed è impossibile attenderne la chiusura per ottenere l’agognato trasferimento. Un interesse che è in contrasto con quello, ben più importante, che la sentenza emessa abbia accertato, almeno per quanto possibile, la verità. Al di là di qualsiasi interpretazione giurisprudenziale, va affermato, senza possibilità di cadere in errore, che colui che ha raccolto e gestito le prove nel corso del dibattimento è l’unico che può valutare i fatti oggetto del processo. Non vi è altra strada. Né va incentivata quella di sottoporre, al giudice che subentra al collega, la videoregistrazione delle precedenti udienze. Non solo per evidenti difficoltà di risorse organizzative e potremo dire di regìa (chi dovrebbe valutare le modalità d’inquadratura dell’aula, del teste o delle parti?), ma perché vedere un film, com’è noto, non è la stessa cosa che andare a teatro.

E poi, quando il nuovo giudice vedrebbe il video? Da solo e quindi senza la presenza delle parti, magari con la dichiarazione a verbale “visto il video”, ovvero in udienza? I processi vanno fatti dal vivo. La verità, se davvero la si vuole cercare e non si vuole abdicare per un qualsiasi prodotto finale, è fatta di dettagli, a volte minimi, che né la lettura degli atti né tanto meno la visione di un filmato possono offrire. Alla manifestazione nazionale del 28 giugno, tenutasi a Roma, l’Ucpi ha invitato soprattutto l’Accademia, rappresentata da importanti giuristi, tutti d’accordo sull’immutabilità del giudice e ha dato voce ai presidenti delle Camere penali territoriali che hanno esposto quanto avviene nei loro circondari. Per la Campania è intervenuto il presidente della Camera penale di Torre Annunziata, Renato D’Antuono, che ha rilevato come l’immutabilità del giudice non viene rispettata soprattutto nei collegi dei Tribunali ed ha ricordato come il professor Giorgio Spangher, anch’egli presente, avesse, già sette anni fa al Congresso di Cagliari, lanciato l’allarme sull’applicabilità dell’articolo 525, comma 2, c.p.p..

Il presidente dell’Unione Gian Domenico Caiazza ha poi chiuso i lavori, dichiarando che l’iniziativa dei penalisti è l’inizio di un’ennesima battaglia politica, in un momento in cui si stanno scrivendo i decreti attuativi voluti dalla Riforma Cartabia, che chiaramente indica una strada rispettosa dei principi costituzionali e contraria a quanto stabilito dalle Sezioni Unite, sull’immutabilità del giudice. Un’ultima riflessione va fatta. Il male di fondo è l’insopportabile durata – del tutto irragionevole – dei processi. Vanno riviste l’organizzazione dei ruoli e le modalità di lavoro dei magistrati. Funzioni oggi delegate ai presidenti dei Tribunali, che potranno essere bravi giudici, ma non è detto siano bravi dirigenti.