Il Pd del nuovo corso di Letta e il movimento Cinque stelle “rigenerato” a guida Conte cementano la loro sacra alleanza, sotto lo sguardo complice di Goffredo Bettini che li ha ospitati nelle sue Agorà. Il dibattito sulle magnifiche sorti e progressive del centrosinistra ai tempi del Covid va in diretta streaming. Moderati da Massimiliano Smeriglio, Giuseppe Conte e Enrico Letta si parlano, dopo aver applaudito le evocazioni appassionate di Elly Schlein e Nadia Urbinati. Stretto nella sua finestrella di Zoom Bettini sta al centro tra Smeriglio e Letta, e sopra a Giuseppe Conte, che segue a braccia conserte.

«Il riformismo – debutta Bettini – è la messa in forma politica del conflitto; la politica della sinistra si è troppo allontanata, negli ultimi trent’anni, dalla gente». Ricorre a tutte le categorie del materialismo storico per una disamina impietosa: «Per trent’anni abbiamo sbagliato a non rappresentare le classi deboli. Non si vive in modo attivo se non si ha una visione del mondo, che attraversa e non rifiuta le dimensioni del popolo, anche nelle sue espressioni terragne».
Parte dal dibattito aperto sul Riformista, «quotidiano con una sua notevole dignità intellettuale», vola alto ma tocca presto terra. «L’allargamento del campo democratico è indispensabile. Il confine dentro il quale dobbiamo ragionare, con totale apertura e schiettezza, è quello dell’insieme delle componenti anti sovraniste nella politica italiana». Sembra aprire alla più ampia coalizione, e subito punta un paletto: «Noi possiamo dialogare con tutti; senza, tuttavia, ridare fiato alle forze che mettono in discussione pregiudizialmente la nostra prospettiva unitaria. Che non lavorano a ricomporre il campo democratico, ma svolgono un ruolo di costante disturbo, con posizioni ideologiche astratte, al solo fine di rafforzare il proprio orticello di partito». E Bettini chiude ricorrendo al nome che cementa come collante i partecipanti: «Credo che Renzi nei mesi passati, nonostante i nostri sinceri sforzi per un dialogo unitario, abbia scelto questa strada. Che rischia di essere imitata da altri».

«Avete evocato un campo ampio», debutta Giuseppe Conte. Le polemiche all’interno del M5s per questa sua partecipazione, giudicata una fuga in avanti, serpeggiano tra i gruppi di Camera e Senato. Di campo ampio non hanno mai dibattuto i parlamentari, per tacere degli organi dirigenti di un partito che oggi non ha un direttorio, un segretario, un congresso in agenda. «Non partiamo da zero, abbiamo condiviso non solo un’esperienza di governo ma l’analisi contro il modello neoliberista, che ha avuto l’arroganza di interpretare il processo di globalizzazione contro il primato della politica. E con l’inadeguatezza da parte del diritto di definire regole universalmente condivise».

«Nell’esperienza che si è conclusa – riepiloga Conte – abbiamo costruito un percorso di riforme; ora dobbiamo avere l’umiltà e la pazienza di perseverare. Non dobbiamo rivendicare un primato assiologico, di essere i migliori perché ci sono i valori migliori. Nella rifondazione del Movimento metto al primo punto una Carta dei Principi e dei valori che deve dare forza alle idee. Il nuovo Movimento sarà interprete dei bisogni di una fascia non solo trasversale ma popolare. Non si può ridurre la questione migranti allo slogan “porti chiusi”, con me al governo i migranti sono sbarcati tutti, anche se qualcuno con qualche giorno di ritardo», dice sfidando Salvini – e anche la memoria di chi lo ricorda in conferenza stampa a Palazzo Chigi, stringere tra le mani il cartello “Sicurezza e Immigrazione – Decreto Salvini”. «Dobbiamo risolvere delle questioni nel M5s, e serve un chiarimento sulla piattaforma digitale. La democrazia diretta rimarrà ma bisogna separare le competenze tra tecnologia e politica. Se non avessimo lavorato con leale collaborazione non avremmo saputo affrontare la pandemia».

«Io affronto il discorso destra-sinistra con pragmaticità. Bisogna riconoscere che nel dibattito non esistono più queste categorie ordinanti. Erano capaci di evocare un orizzonte concettuale, questa polarizzazione trans-storica non esiste più. Dobbiamo riconoscere che questo schema diventa oggi difficile da riconoscere. Se guardiamo alla dicotomia progresso-conservazione, il M5s potrebbe rivelarsi una forza politica indiscutibilmente di sinistra, che esprime una carica progressista. Se guardiamo al principio egualitario, dobbiamo riconoscere che il M5s è la forza più solida, la nostra intuizione dell’uno vale uno è stato per noi fondante. Oggi ci corre l’obbligo di precisare che uno vale uno, ma uno non vale l’altro». All’improvviso però Conte cade, come fu per il suo governo. “Complotto!”, scherza Bettini. È caduta la linea, proprio mentre il dibattito provava a individuare una linea comune tra i partiti. Conte torna, ma cade una seconda volta.

Enrico Letta conclude l’incontro: «Cerchiamo un senso di ricostruzione. Usciamo dalla pandemia con l’esigenza di costruire un nuovo mondo a partire dalla distruzione che c’è stata, una sfida persino affascinante». Il dente avvelenato rimane quello: «Bello il clima in cui i leader dei partiti si tengono per mano, questo clima di empatia è mancato in tempi recenti nella nostra comunità». Ogni riferimento a Matteo Renzi è puramente voluto. Si erano ripromessi di volare alto e invece atterrano sull’ombelico dell’entropia, ma il dado è tratto: il nuovo Pd di Letta e il Movimento “rigenerato” siglano con l’officiante Bettini l’asse per marciare uniti. Fino alla prova dei fatti, a partire dalle amministrative. Il Pd vuole fare le primarie, i 5Stelle no. Fuori dalle agorà digitali, nelle piazze vere, i nodi verranno presto al pettine.

Avatar photo

Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.