«È il primo vero segnale sul tema della giustizia nel nostro Paese»: Catello Maresca non ha avuto esitazioni nel firmare per il referendum promosso dai Radicali e dalla Lega. Il pm, che oggi punta a guidare il Comune di Napoli, l’ha fatto ieri in piazza Nazionale, sotto lo sguardo vigile di Matteo Salvini. «La riforma del sistema giudiziario è presupposto per tutto il resto – ha aggiunto Maresca – Se vogliamo crescere e andare avanti, abbiamo bisogno di una giustizia rapida e giusta».

Non c’è dubbio: il fatto che un pm della fama del sostituto procuratore generale di Napoli si schieri apertamente a favore del referendum è senza dubbio positivo. Testimonia il rifiuto di quella difesa corporativa a oltranza e di quella condizione di sostanziale intoccabilità alle quali la magistratura ha abituato gli italiani da troppi anni a questa parte. Ed è un grande punto a favore della campagna referendaria, visto che a firmare per i sei quesiti è stato un pm che nella propria carriera può vantare successi notevoli – come la cattura del boss Michele Zagaria – accanto a qualche “ombra” – come nel caso dell’ex senatore Lorenzo Diana, dipinto come un colluso con la camorra prima di essere scagionato da ogni accusa.

L’indole riformista e garantista dimostrata da Maresca con la firma per il referendum sulla giustizia, però, collide con la disinvoltura – o, meglio, con la spregiudicatezza – con cui il pm si è comportato nel periodo che ha preceduto l’annuncio ufficiale della sua discesa in campo. Per lungo tempo, infatti, Maresca si è confrontato con i referenti dei partiti politici di centrodestra, ha ricevuto l’endorsement di leader del calibro di Silvio Berlusconi e Matteo Salvini senza preoccuparsi di prenderne le distanze, ha incontrato i rappresentanti di movimenti e associazioni. Il tutto mentre esercitava le funzioni nella stessa città che ora punta ad amministrare. Insomma, comportandosi ora come candidato e ora come magistrato, Maresca ha creato più di un imbarazzo a chi ritiene che una toga debba non solo essere, ma anche apparire indipendente e imparziale. Così, sebbene nel pieno rispetto della legge e col placet del Csm, ha contribuito ad “appannare” ulteriormente la credibilità di quella funzione giudiziaria che il referendum punta a ripristinare almeno in parte.

Che dire, poi, del fatto che Maresca abbia scelto di sostenere il referendum sotto l’egida della Lega? Forse sarebbe stato meglio se il candidato sindaco avesse scelto di firmare lontano dal gazebo di questo o di quel partito. Facendolo ieri in piazza Nazionale, invece, il pm ha alimentato l’idea di uno “scambio” (perfettamente lecito, per carità) con Salvini: il leader leghista accetta di sostenere il “progetto civico” di Maresca rinunciando addirittura al simbolo del partito, mentre l’aspirante primo cittadino ha prestato la sua immagine alla (sacrosanta) battaglia per il referendum sulla giustizia. Il risultato è un’ulteriore compromissione con la politica, a dispetto di quel carattere civico che il pm si ostina a voler conferire al proprio impegno per il Comune di Napoli. Volendo usare un ossimoro, potremmo definirlo “civismo di partito”. Resta da vedere chi da quello scambio riuscirà a trarre un vantaggio: la speranza è che a guadagnarci in qualsiasi modo sia tanto Napoli quanto la giustizia di questo Paese.

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Classe 1987, giornalista professionista, ha cominciato a collaborare con diverse testate giornalistiche quando ancora era iscritto alla facoltà di Giurisprudenza dell'università Federico II di Napoli dove si è successivamente laureato. Per undici anni corrispondente del Mattino dalla penisola sorrentina, ha lavorato anche come addetto stampa e social media manager prima di cominciare, nel 2019, la sua esperienza al Riformista.