I risultati delle regionali
Meloni piace più di Fratelli d’Italia, Conte in caduta libera

Ora che conosciamo molti dettagli relativi ai risultati delle elezioni regionali in Lombardia e nel Lazio, si può provare a fare qualche considerazione più articolata su di esse. Iniziando dal caveat che si tratta comunque di elezioni regionali e di due sole, anche se molto importanti regioni, che per loro natura non possono essere considerate del tutto indicative di possibili risultati delle future elezioni nazionali. Tenendo conto fra l’altro che le prossime su scala nazionale, quelle europee, si svolgeranno in base ad una legge elettorale proporzionale.
La prima considerazione è che vale la pena guardare – come ha fatto Claudio Petruccioli – non solo ai dati relativi alle percentuali ottenute dai partiti, ma anche ai dati assoluti, cioè al numero di voti ottenuti da ciascuna lista rispetto alle elezioni più recenti, quelle nazionali dello scorso settembre. Innanzitutto, risulta che, come si sa, il tasso di astensione è significativamente aumentato: era stato del 36% circa alle ultime politiche ed è arrivato più o meno al 60% ora. Certo, la partecipazione alle elezioni regionali è stata negli ultimi anni sempre più bassa che alle politiche, ma questa volta il tasso di astensione è stato ben superiore che in passato. Questo fa nascere innanzitutto la questione di quale sia la soglia di astensione superata la quale, le elezioni, fondamento della legittimità delle istituzioni rappresentative, perdono quella funzione e lasciano le medesime prive di autorità fondata sulla autorizzazione popolare. Nessuno sa come rispondere a questa domanda, ma essa comincia a diventare inquietante.
Ci si deve a questo punto chiedere le ragioni dell’astensionismo massiccio di questa tornata elettorale e molto è stato scritto al riguardo: esse vanno dalla disaffezione generale nei confronti della politica e dei suoi esponenti, al particolare senso di estraneità rilevabile tra i giovani (è tra costoro che si rilevano i tassi massimi di diserzione dalle urne), dalla scarsa presenza dei partiti politici sul territorio, alla penuria di leader, alla modesta campagna elettorale e a altre ancora. Ma qui ci interessa porre in luce in particolare gli elementi di confronto fra il diverso tasso di astensione che ha colpito i diversi partiti. Innanzitutto, però, il poco interesse alle elezioni ragionali può far pensare ad uno scarso coinvolgimento da parte della grande maggioranza dei cittadini per la tematica, che sta invece a cuore ai partiti, dell’autonomia regionale. Ma si tratta di una semplice ipotesi.
I dati ai quali ci riferiamo mostrano infatti con maggior chiarezza una diversa realtà. Il partito che ha ottenuto in questa occasione il livello più alto di conferma del suo voto precedente rispetto alle elezioni di settembre (sappiamo che le politiche hanno natura diversa dalle regionali, ma la prossimità temporale e l’ampiezza delle cifre consentono il confronto) è la Lega e non solo in Lombardia (97,2%) ma anche in Lazio (74,7%). Segue il PD soprattutto nella regione del nord (67,4%). Questo ci fa pensare che il voto, almeno in queste due regioni, premi per quanto riguarda la fedeltà le forze politiche che sono veri partiti con una presenza organizzata sul territorio. Questi elettori sono fidelizzati, non molto lontani dai militanti. Se si guarda agli altri partiti in Lombardia è visibile una forte caduta del voto per FI, che però è minore nel Lazio, al punto che si può quasi constatare una meridionalizzazione del partito di Berlusconi insieme al suo declino che sembra ormai irreversibile.
Più rilevante e forse inaspettato è il forte incremento dell’astensionismo nei confronti dei Fratelli d’Italia rispetto alle politiche, in particolare in Lombardia dove solo il 50,2% degli elettori del 2022 ha confermato alle regionali il proprio voto di settembre al partito di Giorgia Meloni. Il che fa pensare che il voto delle politiche era forse più un voto specificamente maturato per l’attuale presidente del consiglio piuttosto che genericamente un voto per il suo partito. Un fenomeno che conferma non solo che ormai spesso i cittadini votano per una figura di leader, ma forse anche che, a differenza che per la Lega o il PD, il partito dei FdI non è in quanto tale particolarmente attraente. in questo caso, il leader e il partito non vengono necessariamente identificati.
Di particolare interesse è anche il dato relativo al partito di Conte. Questo non solo ha avuto un numero limitato di consensi, ma in Lombardia la scelta per il nuovo M5S è stata confermata solo dal 29,9% degli elettori e nel Lazio dal 45,3%. È del tutto evidente che l’ex primo ministro ha significativamente perso buona parte dell’appeal di cui aveva goduto grazie alla sua funzione di capo dell’esecutivo durante la pandemia. Inoltre, l’allontanamento dalle posizioni originarie del Movimento: né di destra né di sinistra, e la scelta per una posizione di sinistra radicale (in certo senso obbligata dato il sistema elettorale che riduce lo spazio per chi non si schiera da una parte o dall’altra della competizione bipolare) hanno fortemente penalizzato il partito di Conte.
Un simile ragionamento vale per il Terzo polo di Calenda e Renzi, tanto più per deludente, visto che si trattava di due regioni dove per ragioni diverse Azione e IV potevano sperare un risultato migliore. I risultati di queste consultazioni fra non molto saranno archiviati e le forze politiche già pensano alle prossime che avranno luogo fra un po’ più di un anno: le elezioni del parlamento europeo. Si deve sperare che la partecipazione sarà più nutrita. Un disinteresse nei confronti dell’Unione europea che il nostro primo ministro prende invece a ragione sul serio sarebbe un cattivo segnale e non servirebbe gli interessi della nazione.
Per oggi la coalizione che governa l’Italia esce rafforzata. I partiti che non si identificano con essa sono ancora divisi e quella tradizionalmente più importante ancora acefala. I prossimi mesi permetteranno di capire se siamo una democrazia competitiva solo di diritto, perché certamente lo siamo, ma non di fatto, come è stato il caso per l’Italia nei primi decenni della Repubblica.
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