Il report
Nemmeno un posto ogni 10mila abitanti, così la salute mentale diventa emergenza
Secondo le stime più recenti sono alla base di una gran parte dei suicidi e degli atti di autolesionismo che si verificano all’interno delle carceri. Sono anche alla base dei disagi e delle emarginazioni sociali più gravi. Parliamo dei problemi di salute mentale, una sfera in cui emergono tutti i limiti e le carenze del nostro sistema pubblico ed anche tutte le terribili conseguenze di tali limiti. «Non parliamo solo di detenuti, ma di tutte quelle persone che di fatto subiscono una limitazione della libertà», specifica il garante regionale Samuele Ciambriello che ieri ha presentato in Consiglio regionale il report sul trattamento sanitario obbligatorio (il Tso) realizzato in collaborazione con l’associazione “Psichiatria Democratica”.
Il report è una sorta di bilancio dell’ultimo anno. «I casi ammontano a 2.911, di cui 596 (distinti tra 374 uomini e 22 donne) ricoverati per il trattamento sanitario obbligatorio – spiega il garante -. L’offerta di posti letto nei servizi psichiatrici di diagnosi e cura della Regione Campania risulta inadeguato su tutto il territorio regionale». In pratica, il rapporto è di 0,20 posti letto ogni 10mila abitanti. «Siamo, con tutta evidenza, lontanissimi dal rapporto previsto di un posto letto ogni 10mila abitanti – aggiunge -. Le Asl che risultano essere le più carenti sono l’Asl Napoli 1 Centro, l’Asl Napoli 2 Nord, l’Asl Napoli 3 Sud)». Da tali dati emerge che l’attuale offerta del servizio sanitario nazionale non può ritenersi del tutto adeguata alle necessità della popolazione, anzi addirittura pare abbia amplificato una carenza preesistente. Lo studio condotto dall’ufficio del garante e dall’associazione “Psichiatria Democratica” ha puntato a evidenziare i punti di forza e di debolezza dell’intera struttura regionale di medicina mentale, circoscritto al trattamento sanitario obbligatorio e volontario, con uno sguardo più attento alla realtà carceraria e ai luoghi in cui vi è la privazione della libertà personale.
Nel mondo penitenziario il tema della salute mentale viaggia di pari passo a temi che riguardano i suicidi e i gesti estremi, il diritto all’affettività, la tutela dei minori e dei più fragili. «Con il termine trattamento sanitario obbligatorio si intendono una serie di interventi sanitari che possono essere applicati in caso di motivata necessità ed urgenza e qualora sussista il rifiuto al trattamento da parte del soggetto che deve ricevere assistenza», dice Ciambriello. «Non pensiamo alla salute mentale da ragioniere soffermandoci sui costi, ma guardiamo anche ai benefici e agli aspetti sociali di inclusione. Il detenuto che perde la libertà ma può perdere anche i diritti e la dignità, in primis la tutela della salute», ribadisce la presidente della Commissione permanente istruzione e cultura, ricerca scientifica e politiche sociali Carmela Fiola, intervenendo al dibattito sollevato dai dati contenuti nel report annuale. Il sociologo Mario Tolvo, presentando la ricerca di Psichiatria Democratica, sottolinea che «alcuni dati salienti della ricerca confermano realtà consolidate» e ricorda che ci sono «pochi posti letto, prevalenza di uomini su donne, prevalenza dei Tsv sui Tso, pochissimi minori, prevalenza delle psicosi e dei disturbi».
Quello della salute mentale sta diventando la più grande emergenza all’interno delle carceri, quasi come a riflettere un’emergenza che è evidente anche fuori dalle mura detentive. Cresce il numero di persone che fa uso di psicofarmaci. In un recente convegno a cui ha partecipato il direttore dell’istituto minorile di Nisida, Gianluca Guida, si è messo in evidenza come il fenomeno interessi sempre più minori che raccontano di aver fatto uso di psicofarmaci già durante l’infanzia o l’adolescenza. Nelle carceri si stima che oltre il 40% dei detenuti faccia uso di farmaci per contrastare disturbi e psicosi e secondo i reparti dell’associazione Antigone, che periodicamente effettua visite all’interno dei vari istituti di pena, il carcere non ha strumenti per affrontare queste situazioni perché c’è carenza di personale sanitario qualificato e dunque, non potendo garantire un’assistenza diversa, si ricorre allo psicofarmaco. Un’emergenza nell’emergenza quindi.
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