È mancata la voce dei liberali. Forse manca addirittura un Partito Liberale, in Italia. Non perché non ci siano state voci critiche nei confronti del disegno di legge Zan sull’omotransfobia tra costituzionalisti, intellettuali, giornalisti, oltre che associazioni di femministe. Ma perché tutti questi soggetti non hanno trovato in Parlamento (dove pure i liberali esistono, sparsi in diversi partiti) una rappresentanza politica sufficientemente robusta da rendere palese il fatto che mai come in questo caso la diversità di idee non si indentifica con destra-sinistra. E neanche con la contrapposizione laici-cattolici.

Con la proposta di legge che porta il nome di Alessandro Zan la sinistra ha mostrato la peggiore faccia della repressione e della pretesa educativa al contempo. Una parte della destra, con una proposta di legge alternativa, si è limitata a ipotizzare pene più alte e più manette in cambio dell’eliminazione della parte pedagogica della norma. Ma siamo sempre nell’ambito di un pensiero tanto diffuso quanto storicamente fallimentare. E cioè che l’aumento delle pene produca come conseguenza la diminuzione dei reati. Se così fosse converrebbe per paradosso reintrodurre la pena di morte. Ma prima ancora di arrivare alla specifica norma penale, poniamo la prima domanda, anche alle tante persone che scendono nelle piazze, in gran parte inconsapevoli non solo del testo della proposta di legge (di questa “distrazione” io sono certa al cento per cento) ma anche della sua reale finalità.

Il quesito è: sapete quante fattispecie di reato esistono nel codice penale? Trentacinquemila circa. E, garantiamo, coprono e prevedono e sanzionano una serie infinita di comportamenti. Troppi, sicuramente. Quando le piazze, e in particolare i giovani, ma anche i cantanti del politicamente corretto, e addirittura un deputato come Elio Vito, radicale di Forza Italia, protestano perché “due ragazzi che si baciavano sono stati picchiati” e “quindi” ci vuole la legge Zan, ci prendono in giro? Si, ci prendono in giro. Veramente credono che il codice penale esistente non abbia gli strumenti per intervenire sul reato di lesioni, oltre tutto aggravato da motivi ignobili e discriminatori? Lo sanno benissimo, e sanno altrettanto bene che la norma in discussione parla d’altro. Parla dell’odio. Il punto è proprio questo, e qualifica indubitabilmente la proposta di legge Zan come norma liberticida. Perché, con l’intento di offrire una protezione particolare contro le parole di odio basate sull’orientamento sessuale, introduce un nuovo reato e una nuova aggravante. Di cui non c’è bisogno e di cui, a detta anche di costituzionalisti come Michele Ainis, non si sentiva la mancanza.

Infatti l’articolo 414 del codice penale prevede l’istigazione a delinquere e il nostro ordinamento all’articolo 61 ha già provveduto a introdurre un consistente aumento della pena con l’aggravante delle motivazioni abiette o futili. Un altro costituzionalista, ex presidente della Consulta, Cesare Mirabelli, in clima di conciliazione, aveva proposto nei mesi scorsi di aggiungere all’articolo 61 l’aggravante di aver agito con intenti discriminatori lesivi della dignità umana. Un compromesso dignitoso respinto con sdegno dai puristi del tutto o niente. Quelli che preferiscono intasare le norme con una serie di specificità: i neri, gli ebrei, le donne, i gay, i trans, i disabili…E perché non gli anziani, i malati psichici, gli orfani, i poveri? Forse questi soggetti non meriterebbero tutela qualora fossero vittime di istigazione all’odio nei loro confronti? Altre osservazioni vengono dalla cultura liberale. Chi decide il mio tasso e la qualità del mio odio? Della sua capacità di influenzare gli altri fino al punto di indurre qualcuno a commettere un reato? Un giudice? E con quali specializzazioni sui sentimenti umani? L’ipotesi mi atterrisce.

Siamo ancora alla concezione filosofico-politico-giudiziaria dei Cattivi Maestri? Se la mettiamo sul piano giudiziario potremmo ricordare che la storia processuale di questo Paese dimostra che i Cattivi Maestri della sinistra sono stati tutti assolti nelle aule di tribunale. Se invece restiamo sul piano pedagogico, mi si deve spiegare che cosa c’entra la norma penale. In uno Stato laico. A meno che Enrico Letta non dica esplicitamente di aver sposato, più o meno hegelianamente, la filosofia politica dello Stato etico. O non si sia fatto telebano. Ma a questo punto dovremmo entrare nel punto più delicato della norma, quello appoggiato da una parte del mondo femminista, ma con altrettanto vigore criticato da altre associazioni (elencate ieri sul Messaggero da Luca Ricolfi) come Udi, Se non ora quando, Arcilesbica, oltre a 300 gruppi presenti in cento Paesi, riuniti sotto la sigla Whrct, che rifiutano di vedere le donne trattate come una minoranza (mi associo). Il punto è quello che qualifica l’identità di genere come “identificazione percepita”. E pare proprio, oltre a voler valorizzare una fluidità che nei fatti si è già a volte rivelata pericolosa, il principio irrinunciabile dei sostenitori della proposta di legge. Qui siamo in un vero vicolo cieco, cui sicuramente non può essere la norma penale a dare risposte.

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.