C’è un segreto “inconfessabile” che si nasconde dietro il più grande scandalo che ha investito la magistratura italiana dal dopoguerra. Uno scandalo che, con l’avallo dei Palazzi romani e dei grandi giornali, si sta cercando in questi mesi di mandare in tutta fretta nel dimenticatoio.
L’ultimo dei misteri del Palamaragate ha avuto come conseguenza la rottura di ogni rapporto fra due dei più importanti e famosi pm del Paese: Piercamillo Davigo e Sebastiano Ardita.

I due magistrati, che non hanno bisogno di presentazioni, erano stati tra i fondatori di Autonomia&indipendenza, la corrente nata nel 2015 dopo la scissione dalla destra giudiziaria di Magistratura indipendente. Motivo? Contrasti con l’allora leadership di Cosimo Ferri. A&i, prima del pensionamento di Davigo, era il gruppo di maggioranza al Csm, con cinque consiglieri, contando anche l’indipendente pm antimafia Nino Di Matteo, eletto a Palazzo dei Marescialli nelle liste “davighiane”. Il rapporto di Davigo ed Ardita, prima del Palamaragate era solidissimo. Insieme avevano scritto nel 2017 un libro, Giustizialisti, così la politica lega le mani alla magistratura, edito da Paperfirst, la casa editrice del Fatto Quotidiano, che ebbe un discreto successo. L’anno successivo si erano entrambi candidati al Csm venendo eletti. Per Davigo l’elezione fu plebiscitaria, risultando il magistrato più votato di sempre.

La clamorosa circostanza della rottura fra i due è emersa dall’interrogatorio dello scorso 19 ottobre condotto personalmente dal procuratore di Perugia Raffaele Cantone e depositato all’udienza del 25 novembre nel processo per corruzione a carico dell’ex presidente dell’Anm Luca Palamara. Interrogatorio che il Riformista ha potuto leggere integralmente. Davigo era stato convocato a Perugia per essere sentito come persona informata dei fatti nel procedimento penale che vede coinvolto Palamara. Lo stesso giorno al Csm era discusso della sua permanenza a Palazzo dei Marescialli anche dopo il compimento dei settanta anni, età massima per il trattenimento in servizio dei magistrati.

Durante il tesissimo dibattito in Plenum si consumerà una spaccatura all’interno di A&i. L’interrogatorio era incentrato essenzialmente sull’esposto presentato dal pm della Capitale Stefano Rocco Fava contro il procuratore Giuseppe Pignatone e l’aggiunto Paolo Ielo. Pignatone e Ielo, secondo Fava, avrebbero violato il dovere di astensione in diversi fascicoli. Fava, poi, aveva avuto forti contrasti con Pignatone sulla gestione di alcuni procedimenti che si erano conclusi con l’avocazione degli stessi da parte del procuratore di Roma.

La domanda di Cantone è secca: «Conosce Fava?» Davigo rispose dicendo che Ardita, volendo fare proselitismo a Roma, dove A&i era debole, in vista delle elezioni dell’Anm, aveva organizzato a marzo del 2019 un pranzo con Fava e un altro pm. Durante il pranzo si parlò di questioni associative e «non posso escludere che si parlò delle problematiche dell’ufficio di Roma». «Escludo categoricamente che il dottor Fava mi disse che voleva presentare un esposto contro Pignatone e Ielo. Ovviamente se mi avesse detto che intendeva presentare un esposto contro Ielo, me ne sarei ricordato, visto che conosco quest’ultimo da anni», puntualizzò Davigo.

«Ha parlato con Ardita dell’esposto presentato da Fava contro Pignatone?», aggiunse Cantone. «Ho parlato con Ardita dell’esposto contro Ielo e non contro Pignatone una volta uscite le intercettazioni», rispose Davigo per poi aggiungere: «Siccome lo avevo visto agitato dopo la pubblicazione delle intercettazioni, gli chiesi di indicarmi se aveva avuto un ruolo nel gestire tale esposto. Lui mi disse che il suo ruolo era stato istituzionale». Cantone non molla: «Perché Ardita era preoccupato?» «Io non posso spiegare interamente la vicenda, in quanto coperta da segreto d’ufficio», la secca risposta di Davigo. Cantone non rimase soddisfatto. Ed aggiunse: «Il dottor Ardita esternò le ragioni delle sue preoccupazioni?». Davigo: «Questa è la parte coperta da segreto d’ufficio su cui non posso rispondere». Per poi sparare il colpo: «Si tratta della ragione per cui non parlo più con il consigliere Ardita dal marzo del 2020». Cantone, da toga esperta, forse avendo intuito cosa era successo, chiese allora: «Ha avuto modo di parlare con il consigliere Ardita dell’esposto Fava prima di marzo 2020?».

«Non ho mai parlato con il consigliere Ardita. Non mi spiegavo le ragioni delle sue preoccupazioni in quanto ho sempre pensato ‘male non fare, paura non avere’». A cosa si riferiva Davigo? Qual è il segreto che non può essere rivelato ed è talmente grave che ha costretto l’ex pm di Mani pulite a togliere il saluto ad Ardita?