La nomina del nuovo Procuratore di Perugia era “la partita” dell’anno a piazza Indipendenza. Una nomina che doveva segnare il “nuovo corso” della magistratura dopo lo scandalo che ha travolto l’organo di autogoverno delle toghe. Basta con la lottizzazione delle nomine by Luca Palamara, valorizzazione del lavoro svolto nei Tribunali e, soprattutto, requisiti molto stringenti per i magistrati che hanno svolto funzioni “fuori ruolo” ed aspirano ad un incarico direttivo. Sono alcuni dei tormentoni ricorrenti dalle parti dell’Anm nuova gestione e al Csm in tema di nomine. Ma non solo: nella riforma della giustizia preparata da Alfonso Bonafede, ad esempio, proprio per premiare i magistrati che per tutta la vita hanno scritto le sentenze, non sarà possibile per chi è stato fuori ruolo presentare domanda per un posto di vertice se non saranno trascorsi due anni dalla fine di tale incarico.

L’ufficio di Perugia, poi, è importantissimo in quanto si occupa dei reati commessi dai magistrati della Capitale. Fra i procedimenti in pista di lancio quello a carico di Palamara. Piercamillo Davigo aveva individuato per la Procura del capoluogo umbro il candidato perfetto: Luca Masini, attuale Procuratore aggiunto di Salerno, una toga lontana dai riflettori che per tutta la carriera ha sempre fatto il pm. «Il suo nome non compare in nessuna chat», aveva anche sottolineato l’ex pm di Mani pulite. Davigo si è speso moltissimo per Masini essendone il relatore in Commissione per gli incarichi direttivi.  Sembrava fatta per il procuratore aggiunto di Salerno. Dalla sua parte il Testo unico per la dirigenza che premia l’impegno del magistrato che ha svolto sempre funzioni giurisdizionali. Lo sfidante, Raffaele Cantone, zar anticorruzione voluto da Matteo Renzi, era entrato in un’aula di Tribunale da pm l’ultima volta nel 2007, quando il ministro della Giustizia era Clemente Mastella. Sulla carta, dunque, non c’era partita.

Ma Davigo non ha fatto i conti con Giuseppe Cascini, il segretario dell’Anm quando Palamara ne era il presidente e ora capo delegazione di Area, il raggruppamento della anime della magistratura di sinistra al Csm. Con un colpo da maestro Cascini ha catalizzato su Cantone tutti i voti dei laici. Un’impresa che riuscì nella scorsa consiliatura solo a Claudio Galoppi, attuale consigliere del presidente del Senato Elisabetta Casellati e fra i leader di Magistratura indipendente, quando nel 2014, con lo stesso schema, fece nominare Francesco Lo Voi procuratore di Palermo. E poi il capolavoro finale di Cascini: la spaccatura per la prima volta dell’asse laici grillini/Davigo e la formazione di una inedita alleanza fra pentastellati, forzisti, leghisti.

Nino Di Matteo, indipendente eletto al Csm nelle liste di Autonomia&indipendenza ha capito subito che la partita si stava mettendo male. «Ritengo – ha esordito in Plenum – che non sia opportuno che Cantone vada a dirigere proprio quella Procura che è competente su ipotesi di reato commesse dai colleghi che lavorano negli uffici di Roma e che possono investire procedimenti che a vario titolo riguardano i rapporti tra magistrati e politici vicini o appartenenti alla stessa compagine politica decisiva per la nomina all’Anac». Poi il colpo finale: «L’incarico all’Anac ha una fortissima connotazione politica, una connotazione che si è perfino accentuata, almeno quanto alla sua apparenza, quando per più volte Cantone è stato indicato come possibile premier della nuova compagine governativa».

Tutti i davighiani hanno sparato ad alzo zero contro Cantone. Ad iniziare da Giuseppe Marra che ha affermato che la nomina dell’ex capo dell’Anac «passerà alla storia del Csm: un magistrato che da tredici anni non svolge funzioni requirenti e si ritrova direttamente procuratore distrettuale». Quindi Ilaria Pepe: «Cantone avrà tutti i meriti del mondo» ma ricordiamo che «il suo nome girava, tranne per il soglio pontificio, per tutti gli incarichi pubblici». A supportare Davigo pro Masini, la destra giudiziaria di Magistratura indipendente. La nomina ha immediatamente scatenato i magistrati sulle chat. «Secondo le migliori previsioni, Area, la sedicente sinistra giudiziaria, ha votato compattamente il proprio sodale a capo dell’ufficio perugino, competente guarda caso per i reati commessi dai magistrati romani, senza curarsi della non proprio “chiara” apparenza di indipendenza di Cantone dal potere politico per le ragioni rese plasticamente dal voto in favore di costui da parte di tutti i politici del Csm», ha scritto il giudice veronese Andrea Mirenda. Uno smacco per Davigo che sarà difficile da digerire.