Un prefetto, non un ministro. E debole, molto debole. Al suo debutto in Parlamento come capo del Viminale, Matteo Piantedosi ha fatto ieri un discorsetto fragile, senza respiro politico e senza solidi fondamenti giuridici. L’idea non geniale è sempre quella di non chiamare naufraghi i migranti salvati in mare così da lasciar modo di immaginarli come africani in gita. I numeri e le percentuali sono dati in modo da dipingere i toni cupi di una invasione dall’Africa smentita da tutti i dati ufficiali sia italiani che europei.

Ha insistito a lungo sull’intenzione di non far scegliere il porto d’approdo a chi governa la nave su cui i migranti stanno. Ha parlato di scafisti“in Italia non si entra illegalmente e la selezione non la fanno i trafficanti. Vogliamo governare le migrazioni e non subirle” – ha detto, nell’informativa in Senato, «Gran parte delle navi ongsono considerate “luoghi sicuri temporanei” per le linee guida». «Le norme non dicono che l’Italia debba farsi carico di tutti e le ong, che continuano a essere un fattore di attrazione per i migranti, non possono scegliere il Paese di destinazione». Ma dopo un salvataggio in mare sono i soccorritori a chiedere porto sicuro e la Corte di giustizia europea ad agosto si è espressa con chiarezza sui poteri di controllo dello Stato di approdo. Piantedosi probabilmente non lo sa.

Aleggia nel suo discorso l’idea di bloccare le navi delle ong accusandole di trasportate troppe persone (che poi vorrebbe dire accusarle di aver salvato troppo gente). Idea già fatta uscire dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianbattista Fazzolari, che passa per l’ideologo della Meloni. Dice Fazzolari (e il ministro sembra andargli appresso): “Se annunci una missione per andare nel Mediterraneo a trasportare centinaia di persone allora devi essere attrezzato per questo. Ma ciò non accade e quindi le persone che vengono trasportate dalle Ong sono esposte a rischi e difficoltà, un profilo di illegalità finora non perseguito” (intervista a Libero). La Corte di giustizia europea ad agosto ha spiegato che il numero di persone soccorse a bordo non conta ai fini delle convenzioni internazionali per la salvaguardia della vita umana in mare e lo Stato di approdo non può richiedere alle imbarcazioni certificazioni diverse da quelle la cui validità è stata confermata dallo Stato di bandiera. Le Ong non hanno bisogno di autorizzazione da parte dello Stato di approdo, neppure quando svolgono attività di ricerca e soccorso in maniera sistematica.

La Corte, per la verità, ha disegnato limiti alle possibilità di fermi da parte dello Stato di approdo che non può contestare l’idoneità certificata dallo Stato di bandiera se non sulla base di concreti elementi di pericolo. Quindi, o la nave è completamente non in grado di stare in mare o non può esserle impedito di realizzare un salvataggio in mare. Essendo il salvataggio un obbligo.
Il ministro non ha parlato della indiscrezione filtrata due giorni fa secondo cui il governo vorrebbe imporre alle Ong di spegnere l’Ais (Automatic identification system), il sistema che indica in tempo reale la posizione della nave. Per le navi oltre le 300 tonnellate è obbligatorio. Caso Ocean viking. La nave norvegese, gestita dalla ong francese Sos mediterranée, è stata fatta sbarcare dalle autorità francesi venerdì a Tolone venti giorni dopo aver soccorso 243 persone da un naufragio in cui i sopravvissuti hanno visto affogare figli, genitori, amici. Dopo aver atteso cinque giorni al largo del porto di Catania una autorizzazione allo sbarco di tutti i naufraghi, e avendola ottenuta solo per donne e bambini, la Ocean viking lancia la richiesta di porto sicuro alla Francia. La riceve. Una fonte del ministero dell’interno francese ne dà notizia all’Ansa.

Pare che il porto scelto dalla Francia sia Marsiglia. Salvini esulta sui social. Grida: l’aria è cambiata. Dopo qualche ora Palazzo Chigi fa uscire una nota in cui sembra gioire per aver finalmente piegato la Francia ad occuparsi subito dei profughi ripescati nel Mediterraneo. Fulmini e saette dall’Eliseo. Accuse di disumanità all’Italia. Mattarella, che non ne puó più, ci mette una pezza. La Meloni ieri a Bali filata zero da Macron. Ora: il ministro dell’Interno Piantedosi poteva andare in Parlamento e non fare cenno alla crisi diplomatica arrivata a un passo dal richiamo dell’ambasciatore, oppure pronunciare una frase di pure scuse? Ha preferito addossare la colpa del pasticcio alla nave.

Ha detto: “La decisione della Ocean Viking di allontanarsi dalle coste italiane risulta essere stata presa dopo – come coincidenza temporale- che i media avevano già diffuso la notizia che le persone soccorse a bordo delle altre navi ong erano tutte sbarcate. I fatti, quindi, evidenziano come la Ocean Viking si sia diretta autonomamente verso le coste francesi. Una decisione, questa, non solo mai auspicata dall’Italia, ma che ha di fatto creato attriti sul piano internazionale – anch’essi assolutamente non voluto dal governo”. Capito? Se a Palazzo Chigi non sanno scrivere i comunicati e, al primo in cui citano la Francia rischiano la rottura diplomatica con Parigi, la colpa è dell’equipaggio una nave finlandese carica di naufraghi africani.