Il Palamaragate scoppiò il 29 maggio 2019. Quel giorno Corriere, Messaggero e Repubblica, con tre articoli sostanzialmente identici, diedero la notizia dell’indagine della Procura di Perugia a carico dell’ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati. In particolare, venne raccontato un incontro, avvenuto la sera fra l’8 e il 9 maggio precedente, presso una sala dell’hotel Champagne di Roma. In quel modesto albergo nei pressi della stazione Termini, Palamara si era intrattenuto con cinque componenti in carica del Consiglio superiore della magistratura e i deputati Cosimo Ferri (Iv) e Luca Lotti (Pd).

L’argomento di discussione della serata era stato la nomina dei capi di alcune importanti Procure, ad iniziare da quella della Capitale. L’8 maggio, infatti, fu l’ultimo giorno di servizio di Giuseppe Pignatone. All’insaputa del diretto interessato, i convenuti iniziarono a ragionare sul nome di Marcello Viola, procuratore generale di Firenze. L’incontro venne registrato con il trojan inserito da qualche giorno nel cellulare di Palamara. Il 23 maggio successivo la Commissione per gli incarichi direttivi del Csm voterà Viola nuovo procuratore di Roma con quattro voti su sei. Un voto ciascuno per gli altri due candidati, Giuseppe Creazzo, procuratore di Firenze, e Francesco Lo Voi, procuratore di Palermo. Per Viola aveva votato anche Piercamillo Davigo. La notizia dell’incontro dell’hotel Champagne ebbe l’effetto immediato di stoppare la corsa di Viola. Il voto finale in Plenum, previsto per giugno, non ci sarà mai. I giornali ed i telegiornali per giorni si occuperanno di questa vicenda. E anche il capo dello Stato fu “costretto” ad intervenire stigmatizzando quanto era successo.

Il Csm “rinnovato” dopo le dimissioni dei togati che avevano partecipato a quell’incontro annullerà la votazione di Viola. Al suo posto verrà nominato Michele Prestipino, fedelissimo di Pignatone fin dai tempi di Palermo.
Viola, siciliano di Cammarata in provincia di Agrigento, non si perse d’animo ed iniziò una battaglia a colpi di carte bollate davanti al giudice amministrativo, uscendone sempre vittorioso. Sia il Tar che il Consiglio di Stato stabilirono che aveva più titoli di Prestipino e che il Csm non doveva escluderlo. A differenza del Palamaragate, su questo aspetto è calato però il silenzio assoluto. La classica cappa di piombo. Un silenzio assoluto della grande informazione che per settimane ha gridato scandalizzata all’incontro di Palamara, poi radiato dopo un turbo processo. Adesso, invece, nessuno si scandalizza del fatto che la nomina dell’attuale procuratore di Roma da parte del Csm è illegittima. Grazie al silenzio dei media il Csm prende tempo. E, con una decisione senza precedenti, ha deciso di resistere insieme a Prestipino nei suoi ricorsi.

Se i ricorsi davanti al giudice amministrativo sono stati tutti persi, è rimasta ora la carta della disperazione. Il ricorso in Cassazione per “eccesso di potere” del Consiglio di Stato. Il ricorso verrà discusso il prossimo 23 novembre.
Ovviamente è un ricorso senza speranza. La tesi del procuratore romano è che il CdS abbia limitato la “discrezionalità” propria del Csm in tema di nomine. Le sentenze a favore di Viola sono comunque chiarissime. Il Csm ha violato le sue stesse regole in tema di incarichi direttivi. Viola per il momento non ha voluto indossare l’elmetto per lo scontro finale e chiedere l’ottemperanza della sentenza del giudice amministrativo che il Csm si rifiuta di eseguire. Nel frattempo, però, i mesi passano.

Il tempo è una variabile fondamentale in questa partita. Quando, prima o poi, il Csm, affronterà il dossier, si può essere certi che all’interno del Plenum ci sarà chi alzerà la manina e dirà: “Come facciamo adesso a mandare via Prestipino che da maggio del 2019 sta reggendo, prima come facente funzioni e poi come titolare, la Procura di Roma?”. Un assist importante che rischia di fare carta straccia delle sentenze di Viola. Prestipino, comunque, anche se dovesse essere “salvato” dal Csm, come prevedibile, sarà sempre un procuratore nominato dopo una forzatura. Situazione non piacevole perché tutti sapranno sempre che il candidato più titolato per quel posto era un altro.
Il merito, va detto, non è quasi mai di casa a Palazzo dei Marescialli. Passerà agli annali la frase del togato Valerio Fracassi a Palamara: «Decidi chi va, poi organizziamo il voto». Cosa aggiungere ancora?