L'analisi
Processo a distanza, rischioso se si estende oltre l’emergenza
Poi, accanto ai silenzi, accade che il governo sulla giustizia produca anche urla. E come al solito è roba che accoglie le peggiori idee che circolano nella magistratura e sui giornali. Tipo quella che va predicando Gratteri da tempo cioè di fare i processi per via telematica. Come se fosse la stessa cosa giudicare, ed anche essere giudicati, senza mai potersi guardare reciprocamente negli occhi. Come se fosse la stessa cosa ascoltare e vedere un testimone – fosse anche solo un teste di pg – in francobollo catodico per stabilire se dice o meno la verità. Come se fosse la stessa cosa per un avvocato avere l’imputato accanto oppure in video.
Comunque, dopo aver sperimentato nella primissima fase di emergenza le convalide a distanza sulla base di protocolli stipulati con gli Ordini degli avvocati, di nuovo senza base legale idonea, il governo ha presentato prima il DL del 17 marzo e poi una serie di emendamenti che stabiliscono la prevalenza di queste forme per i processi con detenuti. Fino a prevedere le Camere di Consiglio a distanza, per via telematica, oppure l’eliminazione delle discussioni dei difensori dalle udienze in Cassazione, per tutti i processi, temperata, si fa per dire, dalla possibilità di chiederne il mantenimento a pena di veder sospesi i termini di custodia cautelare.
Per motivi di spazio bisogna rinviare l’esame delle proposte sul tema, che in questo caso trovano l’entusiastica approvazione della magistratura tutta, Anm in testa, e pure di molti avvocati. Nessuno che risponda, intanto, che, con le precauzioni idonee, basterebbe che il mondo della Giustizia dimostrasse lo stesso coraggio chiesto non tanto ai medici quanto ai cassieri dei supermercati per rendere inutili queste innovazioni.
Resta però una preoccupazione di fondo: che questa non sia altro che l’avvisaglia di un cambiamento epocale, cioè dell’introduzione di un processo smaterializzato, come è stato definito dai penalisti; definizione che in questo caso riguarda le persone, non le cose. Un processo disumano destinato a sopravvivere all’emergenza perché in Italia succede così da decenni, per tutte le emergenze, dagli anni settanta in poi. D’altronde, ricordava Oliviero Mazza giorni fa, “la storia ci ricorda che il governo della salute pubblica non ha mai partorito riforme ispirate al garantismo”.
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