Le relazioni dei Procuratori Generali in occasione della inaugurazione dell’Anno Giudiziario non sono sempre del tutto inutili. Accanto alla solita litania sulla insufficienza dei mezzi messi a disposizione della Giustizia e sulla inadeguatezza del legislatore, specializzato nel complicare il lavoro dei magistrati, e agli anatemi contro ogni possibile ipotesi di “perdono” collettivo, quali potrebbero essere l’amnistia o l’indulto, è possibile, spesso, trovare le tracce di quali cambiamenti profondi stia attraversando la società italiana.

Nelle recenti relazioni dei Procuratori Generali, vi è un dato che le accomuna quasi tutte: l’esplosione dei reati commessi dai minorenni. Si tratta di un fenomeno caratterizzato prevalentemente da quattro aspetti: spesso si tratta di reati che sono diretta ed esclusiva espressione del male di vivere e dell’incapacità di guardare con speranza al futuro, come avviene nei frequenti episodi di risse collettive, convocate a mezzo social per il solo gusto di menare le mani; sono consumati nello spazio pubblico e in pieno giorno, come ad esempio le rapine nelle strade della movida milanese, con l’impudenza di chi si sente ormai pronto a violare qualsiasi tabù; un ruolo prevalente hanno, nelle bande organizzate, gli immigrati di seconda generazione, a conferma che il processo di integrazione è spesso restato al livello di sole buone intenzioni (e il pensiero non può non andare allo sfacelo delle banlieue parigine); vi è una crescita esponenziale degli stupri, commessi facendo assumere inconsapevolmente alla vittima droghe, crescita che appare direttamente proporzionale alla sempre maggiore incapacità di avere sane relazioni umane e sociali.

È un dato che mette necessariamente, sul banco degli imputati, la scuola. Esso, del resto, appare perfettamente coerente con altri dati che, in questi ultimi anni, sono costantemente emersi, assolutamente omogenei tra di loro e di estrema gravità, anche se poi spesso relegati nei trafiletti di cronaca. Basta citarne alcuni a caso: i numerosi episodi di violenza contro docenti da parte di genitori che non avevano sopportato che i loro figli fossero oggetto di rimproveri o di cattive valutazioni; la vicenda della professoressa colpita con dei proiettili di gomma da un’intera classe, con una nota comica che ha mosso l’addebito alla stessa professoressa di non essere evidentemente stata capace di essere in sintonia con i suoi allievi; i risultati delle analisi Invalsi, i quali danno conto di un complessivo degrado del processo formativo in Italia, addirittura maggiore nei territori più disagiati, quali quelli del Mezzogiorno; l’esito della correzione degli scritti in un recente concorso in magistratura, il quale ha fatto emergere che la maggior parte dei candidati, sebbene laureati, non era neppure capace di scrivere in un corretto italiano; la lettera ai giornali di una famiglia finlandese che, trasferitasi a Siracusa, ha poi deciso di lasciare l’Italia per la necessità di proteggere i figli da un sistema educativo del tutto insufficiente.

L’esplosione dei reati dei minori, messa in luce dalle relazioni dei Procuratori Generali, non può, dunque, costituire una sorpresa. Neppure può essere spiegata facendo esclusivo riferimento al prezzo, che i minori in particolare hanno dovuto pagare, in termini psicologici e di mancata socializzazione, per i lockdown determinati dalla pandemia Covid19. Si tratta di un processo che ha radici lontane e che la pandemia ha solo aggravato. È, occorre aggiungere, un processo che è stato colpevolmente ignorato e nascosto sotto il tappeto per molto, troppo tempo da un buonismo peloso e irresponsabile. Il contenuto dele relazioni dei Procuratori Generali indica che continuare a perdere tempo significherebbe condannare le nuove generazioni alla irrilevanza. Ha scritto Walter Veltroni, sul Corriere del 29 gennaio “Per gli adolescenti di oggi il futuro non è passato, semplicemente non esiste. Si sentono l’ultima generazione e non capiscono il disinteresse del mondo a proposito del proprio ultimo destino. Possibile che gli adulti non capiscano il dolore che sale dai comportamenti, dalle parole, dai silenzi, dalle porte chiuse dei ragazzi del nostro tempo?”.

Veltroni ha perfettamente ragione. L’Italia ha alle spalle anni nei quali la scuola è stata la cenerentola dei servizi pubblici e si è fatto di tutto per togliere dignità, autorevolezza e prestigio ai docenti. Se questo non fosse successo, il tema della formazione sarebbe probabilmente restato estraneo ai progetti di autonomia regionale. Al tempo stesso, il dibattito sulla immigrazione, almeno sotto l’aspetto che qui rileva, è stato del tutto avulso dalla realtà. Nessuno, a cominciare dai “buoni”, si è dato carico della circostanza che l’immigrazione, senza un adeguato sforzo di integrazione, finisce con l’essere un fattore di disgregazione della società e, per gli stessi immigrati, il punto di partenza di un cammino fatto di vessazioni e di sofferenze, destinate a colpire, ancora più duramente, le nuove generazioni.

Il Governo Meloni ha il merito di avere, attraverso il Ministro Valditara, rimesso, al centro del dibattito politico, la scuola e, attraverso di essa, almeno alcuni aspetti della questione giovanile in Italia. Non è questa la sede per dare un giudizio sulle soluzioni proposte. Occorre, qui, sottolineare che non si è affatto in presenza di una questione marginale: le relazioni in occasione delle inaugurazioni dell’Anno Giudiziario indicano che si tratta di una questione vitale e urgente per il futuro prossimo del Paese.