L’elezione della ferriana Tiziana Balduini, giudice di Magistratura indipendente, alle ultime suppletive ha fatto subito la differenza nella nomina del presidente del Tribunale di Roma. Con un solo voto di scarto ha avuto la meglio Roberto Reali, proposto dal togato centrista Michele Ciambellini. Sconfitto il candidato della sinistra giudiziaria Gaetano Bonomo. Dodici voti ad undici il risultato finale. A favore di Reali, i togati di Magistratura indipendente e di Unicost, oltre a Nino Di Matteo e Sebastiano Ardita. Per Reali anche i due laici in quota Lega, Emanuele Basile e Stefano Cavanna, ed il laico forzista Alessio Lanzi.

Per Bonomo, i cinque togati del cartello progressista Area, i due ex davighiani Giuseppe Marra ed Ilaria Pepe, che quasi sempre votano con le toghe progressiste, e Michele Cerabona, l’altro laico eletto in quota Forza Italia, e i tre laici pentastellati. Due sono state le astensioni, quelle dei vertici della Cassazione, il primo presidente Pietro Curzio e il procuratore generale Giovanni Salvi. Dopo oltre un anno dal pensionamento di Francesco Monastero, esponente di primo piano Unicost, il Tribunale di Roma, il più grande d’Europa con oltre trecento giudici, ha un nuovo presidente. Sulla carta i profili dei due candidati erano sostanzialmente equivalenti. Entrambi, poi, erano presidenti di sezione presso la Corte d’appello di Roma. A penalizzare Bonomo, la moglie. La consorte dello sconfitto, Maria Luisa Rossi, è presidente di sezione al Tribunale di Roma.

Terminati gli otto anni previsti per l’incarico semidirettivo, aveva fatto domanda per diventare giudice del Tribunale di Napoli. Ma non è bastato. Una incompatibilà difficilmente superabile. «Serve evitare nuove polemiche e opacità» ha detto Ciambellini, ricordando la vicenda dei due aggiunti moglie e marito in Procura a Roma. Si tratta di Stefano Pesci e Nunzia D’Elia la cui nomina suscitò polemiche e, pare, è oggetto di discussione in Commissione per le incompatibilità. Balduini, vicina come detto a Cosimo Ferri, leader storico di Magistratura indipendente, aveva preso il posto di Marco Mancinetti, rappresentante di Unicost, costretto alle dimissioni lo scorso settembre dopo che il pg della Cassazione Giovanni Salvi gli aveva notificato l’avvio di un’azione disciplinare per il contenuto delle chat scambiate con lo zar delle nomine Luca Palamara.

Era stata bocciata la possibilità che a Mancinetti potesse subentrare Pasquale Grasso, ex presidente dell’Anm e giudice a Genova, anch’egli di Mi, il primo dei non eletti alle elezioni suppletive tenutesi nel 2019. Il Plenum aveva affermato che era necessario un ritorno alle urne, «non potendo subentrargli chi si trovava nella graduatoria di una competizione diversa da quella che ha portato alla sua elezione al Csm». L’elezione del giudice Balduni lo scorso aprile aveva spiazzato tutti. Legata a Ferri e quindi alla corrente più coinvolta nel Palamaragate, in pochi la davano per vincente. Sulla carta Luca Minniti, esponente di Magistratura democratica, doveva vincere a mani basse in segno di “discontinuità”. Le toghe, evidentemente, avevano dato una lettura diversa di quanto accaduto all’hotel Champagne, ridimensionando la vicenda. Si è quindi “ricreato” l’asse Palamara-Ferri.