Gli immigrati producono quasi il 10 per cento del Pil. E pagano quasi 18 miliardi di tasse. Cioè – secondo i calcoli degli esperti – pagano una quantità di tasse superiore ai costi ai quali si sottopone lo Stato per accoglierli e per finanziare il welfare che loro utilizzano. Insomma, per l’Italia sono un affare. Ci guadagna almeno mezzo miliardo all’anno. Il dato sulla partecipazione degli immigrati alla formazione del Pil è clamoroso. Bisogna esaminarlo bene. Il dato esatto della porzione di Pil prodotto dagli immigrati è 146,7 miliardi e corrisponde esattamente al 9,5 per cento del Pil nazionale. Bisogna tenere conto di due cose. La prima è che gli immigrati oggi sono l’8,7 per cento della popolazione italiana. Quindi, in proporzione, producono più dei cittadini italiani (e di conseguenze pagano più tasse). La seconda cosa da tener presente è che gli immigrati sono la parte più povera della popolazione che vive in Italia.

Di solito svolgono mestieri poco retribuiti, di scarsissimo prestigio, cioè assolvono a tutti quei compiti gravosi, decisivi per il funzionamento di una società complessa come la nostra, ma assai poco graditi, e quindi rifiutati dalla parte meno povera della popolazione, che di solito è italiana. Le fasce più povere della popolazione producono, statisticamente, meno pil delle parti più ricche. Per capirci: la Lombardia ha un Pil pro capite che è circa il doppio di quello della Sicilia. È logico che sia così. Invece nel caso degli immigrati questo assioma si rovescia. Salta la logica. I dati dei quali sto parlando sono stati forniti dalla Fondazione Leone Moressa, che è un’organizzazione molto seria che da anni si occupa di problemi dell’immigrazione. E su questi dati sarebbe interessante se si aprisse una discussione seria, che eliminasse le componenti di propaganda che in genere travolgono tutte le discussioni che riguardano l’immigrazione.

È chiaro che il problema dell’immigrazione irregolare è un problema molto serio, e non si può risolvere con battute ideologiche. Però sarebbe giusto riconoscere due cose, prima di iniziare a discutere: innanzitutto che l’arrivo in Italia di svariati milioni di immigrati (i residenti sono 5,26 milioni, cioè sono aumentati del 44 per cento in dieci anni) è forse più un’occasione che un problema per il nostro Paese e per la sua struttura produttiva. Visto che i demografi ci dicono che le nascite nelle famiglie italiane sono in calo netto e gli italiani che fuggono all’estero sono moltissimi, è chiaro – e indiscutibile – che se non avessimo avuto un massiccio fenomeno di immigrazione, oggi ci troveremmo con un pil di dieci punti inferiore all’attuale, e quindi, tra i paesi europei, saremmo forse il più debole. Con scarsissime probabilità di crescita.
La seconda cosa da tener presente è che tutto lascia credere che la partecipazione degli stranieri alla crescita del pil italiano potrebbe aumentare molto se si risolvesse il problema dell’immigrazione irregolare. La regolarizzazione degli immigrati porterebbe a un ulteriore aumento del pil e a un fortissimo aumento delle entrate fiscali. Probabilmente (su questo il parere dei criminologi è abbastanza unanime) porterebbe anche a una riduzione drastica dei fenomeni di criminalità.

Del resto la fondazione Moressa ci informa anche del fatto che gli immigrati hanno una fortissima capacità non solo di lavoro ma anche di iniziativa imprenditoriale. Pensate che in questi ultimi dieci anni, mentre gli imprenditori nati in Italia sono diminuiti del 9,4 per cento, quelli nati all’estero sono aumentati addirittura del 32 per cento. Le imprese di proprietà degli stranieri producono ogni anno 125,9 miliardi cioè l’8 per cento del totale prodotto dalle imprese che funzionano in Italia. In settori come l’edilizia, addirittura arrivando a sfiorare il 20 per cento, cioè quasi una impresa edilizia su 5 è straniera, messa su da lavoratori immigrati. Tutte queste cifre possono sembrare un po’ complicate, ma in fondo non lo sono. Dicono tutte la stessa cosa. Non solo non c’è nessuna invasione di immigrati, non solo non c’è un salasso per i contribuenti italiani costretti a pagare milioni di euro per l’accoglienza, ma c’è un saldo largamente positivo tra benefici e costi dell’immigrazione.

Ora naturalmente non è in questo modo che si possono affrontare i problemi e le scelte politiche che riguardano l’accoglienza. Se arriva un gommone pieno di profughi, o un peschereccio pieno di naufraghi, non è che il ragionamento che si può fare è: mi conviene o no accoglierli? Vanno accolti per ragioni di umanità e per rispettare la Costituzione italiana e la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Il dato economico però è molto interessante. Perché smonta una campagna politica che ormai sta diventando travolgente. Non esistono né giornali né partiti politici di una certa consistenza, che non si adeguino al luogo comune secondo il quale gli immigrati sono un costo che non possiamo permetterci. Non sono un costo. E la discussione non può che partire da qui.

Perché invece vince la propaganda xenofoba? Per una ragione semplice: si dice che con la Prima repubblica sia finita la politica delle ideologie e sia iniziata la politica della concretezza. Non è così. Nella Prima repubblica era abituale la battaglia delle idee, e certe volte questa battaglia si incancreniva su idee faziose e preconfezionate, cioè su quelle che noi chiamavamo ideologie. Oggi invece le idee sono sparite del tutto e la norma è l’ideologia, che però non gode più della pluralità, come era una volta, ma è quasi sempre unica. Con poche sfumature. Sui temi relativi all’immigrazione, bisogna dire che ormai esistono due soli campi. Il campo principale, nel quale si radunano quasi tutti i partiti di destra e di sinistra, che – seppur con toni diversi – si pone la questione di come respingere gli immigrati. Se con violenza o con gentilezza, se a voce alta o sottovoce, se apertamente o un po’ di nascosto. Comunque si pone l’obiettivo di respingerli e scacciarli e ridurne il numero. Stop. E poi c’è un piccolo campo dove si radunano i sostenitori dell’accoglienza, che però tra i protagonisti di una certa rilevanza ha solo la Chiesa cattolica.

Ieri si è chiusa la campagna della Chiesa che aveva per titolo la frase “Liberi di partire, liberi di restare” – frase molto bella e molto liberale – e hanno parlato un paio dei massimi leader della cattolicità italiana. Gualtiero Bassetti, che è il capo dei vescovi, («Tra le opere di giustizia per le quali saremo giudicati – ha detto – vi è quella dell’accoglienza degli stranieri, come è scritto nel Vangelo di Matteo…»), e Matteo Zuppi, cardinale di Bologna («Dicono che questo dei migranti è un pallino di Francesco e che la Chiesa chiuderà, perché è diventata un ospedale da campo: sì, la Chiesa è un ospedale da campo perché è lì che si incontra Gesù. Non chiuderà. Gesù non si incontra nelle cliniche private». La contrapposizione è netta. Quel che dà da pensare è che, al contrario di quello che potresti aspettarti, la posizione dei partiti è piuttosto vecchia e del tutto ideologica, quella della Chiesa è moderna e molto laica. Succede.

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.