Pessime condizioni igienico-sanitarie, strutture fatiscenti e celle come carnai. Con buona pace del famigerato metro e mezzo di distanza che dovrebbe limitare i contagi da Covid-19. La bomba epidemiologica che potrebbe scoppiare nelle carceri non risparmierebbe la Sicilia. Dove l’emergenza sanitaria sta amplificando l’annoso elenco di problemi che vivono i penitenziari dell’isola. Tanto che «se la tensione era alta già prima, ora è a livelli massimi e le recenti manifestazioni di rivolta sono un segno concreto di un profondo disagio», sottolinea Pino Apprendi, presidente regionale dell’associazione Antigone. E l’ultimo report – aggiornato allo scorso 25 marzo – sulla condizione delle carceri siciliane realizzato dal garante dei detenuti Giovanni Fiandaca, dipinge una situazione a macchia di leopardo.

Catania, la cui provincia presenta il numero più alto di contagiati, ha superato la capienza prevista: al carcere Bicocca sono reclusi in 196 a fronte di una capienza di 138 posti, al penitenziario Piazza Lanza vivono in 299 a fronte di una capienza di 279. Sovraffollate e difficilmente controllabili in caso di rivolta sono le celle del Pagliarelli di Palermo, dove i detenuti sono 1356 a fronte di una capienza di 1182. Condizioni di sforamento che riguardano anche le altre carceri dell’isola. Che, però, è riuscita liberare 123 posti: infatti si contano 6343 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 6466 posti.

Fiandaca, però, avverte: «I numeri non tengono conto della disomogeneità tra i vari istituti delle reali condizioni di vita all’interno degli stessi, del fatto che ci troviamo in presenza di una pandemia e che i criteri di valutazione degli spazi non possono essere gli stessi di un momento ordinario. Servono misure alternative più incisive». Anche perché a rischio non è solo la salute dei detenuti ma anche quella dell’intero personale che gravita attorno alle carceri. In particolar modo gli agenti di polizia penitenziaria. Una categoria, in Sicilia, sottodimensionata. E che ha le armi spuntate contro il virus e contro eventuali rivolte pericolose. «La situazione è molto pesante», ammette Francesco D’Antoni, segretario generale del sindacato Uspp: «La nostra salute – prosegue – è a rischio. Mancano gli strumenti di protezione, quelli che sono arrivati non sono adeguati.

Poi all’appello mancano 482 unità. Dovremmo essere 4266 in tutta la regione, invece, siamo 3784. Tra questi, 650 godono dei benefici della legge 104. Quindi dobbiamo fare un’ulteriore scrematura. Insomma se scoppiano gravi rivolte potremo fare poco. La Sicilia è allo sbando già da anni e l’emergenza sanitaria acuisce tutto questo. Se dovesse esplodere un caso in carcere, diventerebbe una bomba. Al momento stiamo tenendo ma non sappiamo ancora per quanto».

Intanto il comitato dei radicali “Esistono i diritti” ha indetto una marcia virtuale il 12 aprile per sensibilizzare le istituzioni regionali e il governo sul tema dell’amnistia per tutti quei soggetti non socialmente pericolosi: «Le carceri – morde Alberto Mangano, membro del comitato – sono luoghi potenzialmente esplosivi. I provvedimenti adottati finora non sono sufficienti. Il governo agisca, immediatamente».

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