Presidente Silvio Berlusconi, dal 1994 lei è in campo contro lo strapotere della magistratura. Non è una battaglia vinta.
Ma è una battaglia giusta e necessaria, come dimostra quanto sta emergendo dalle inchieste di queste settimane. Non è una battaglia contro la magistratura, che per gran parte è formata da persone oneste, preparate, con un forte senso dello stato e una profonda correttezza istituzionale, è una battaglia contro le degenerazioni che hanno caratterizzato certe correnti di sinistra della magistratura, certe figure insediate in alcuni uffici giudiziari chiave. Questa parte della magistratura si comporta non come un ordinamento dello Stato, ma come un vero potere, che si sovrappone alle istituzioni democraticamente elette, condizionandole e stravolgendo la volontà degli elettori. Così è accaduto nel 1992-1993 con Mani Pulite, così è stato fatto cadere il nostro primo governo nel 1994, così è stato abbattuto l’ultimo governo scelto dagli italiani, il governo di centro-destra uscito dalle elezioni del 2008. Io personalmente ho pagato un prezzo molto alto, per essermi opposto a questo disegno di potere, e con me la mia famiglia, i miei amici, i miei collaboratori, le aziende che ho fondato. Sono stato addirittura estromesso dal Parlamento con una legge e con modalità costruite appositamente contro di me, caso unico di un leader dell’opposizione in un paese dell’occidente democratico. Però la verità prima o poi emerge e oggi sta cominciando ad emergere. È una realtà triste per l’Italia ma conoscerla è necessario per cominciare a cambiare le cose. A ricostruire la cultura delle garanzie, dello stato di diritto, della separazione dei poteri.

La macchina della giustizia non gira più. La separazione delle carriere può essere uno strumento utile?
Sulla separazione delle carriere la penso come Giovanni Falcone, che non è solo un martire della mafia, per me è il simbolo di come dovrebbe essere un magistrato. La separazione delle carriere è una chiave di volta della riforma della giustizia nella quale io credo e che ho più volte tentato di realizzare. Il Pm dovrebbe essere l’avvocato dell’accusa, su un piano di parità con l’avvocato della difesa, non un collega e un amico di chi giudica. Ma ovviamente questo non è sufficiente. Anche i giudici dovrebbero davvero essere super partes e non come spesso è accaduto orientati nelle loro decisioni dalle proprie convinzioni politiche. In tutti i sistemi giudiziari civili le cose funzionano così. Purtroppo su questo tema ho sempre trovato resistenze molto forti, prima di tutto a sinistra, ma anche fra i miei stessi alleati di governo, molto cauti – uso un eufemismo – nel sostenere qualunque iniziativa che fosse sgradita all’Associazione Nazionale Magistrati.

Il bipolarismo è morto. In questo caos politico non è il momento di rifondare il centro? E lei non pensa di poter giocare un importante ruolo politico in questo senso?
È necessario definire cosa significa centro. Se si intende centro nel senso europeo, come luogo politico dei liberali, dei cattolici, dei garantisti, è proprio per riunire queste forze che 26 anni fa ho fondato Forza Italia. Del resto, la nostra collocazione è nel Partito Popolare Europeo, che abbiamo l’orgoglio di rappresentare in Italia, e di cui anzi abbiamo concorso a scrivere per gran parte la Carta dei Valori. In tutt’Europa, il Ppe rappresenta un centro alternativo alla sinistra e naturalmente distinto dalla destra. Questo è il centro che dobbiamo rafforzare e far crescere, perché è essenziale non solo per vincere ma per governare una grande democrazia europea. Due cose invece non mi interessano: un’operazione di palazzo, che raggruppi frammenti della classe politica in cerca di collocazione, e la creazione di un soggetto “terzo”, equidistante fra sinistra e destra, pronto ad allearsi con l’una o con l’altra secondo le occasioni e le opportunità. Questo in realtà non è mai esistito, neanche nella prima repubblica, non credo avrebbe spazio e in ogni caso non è nella nostra vocazione. Forza Italia è nata come alternativa liberale alla sinistra illiberale.

Conte piace ai moderati. Rassicura le famiglie. Veste bene. Ha preso da lei?
Lui ed io siamo diversi in tutto, dallo stile nell’abbigliamento alla visione della politica. Stento a vedere qualche analogia.

Speranza, lei ha detto, non è male come ministro della Sanità. Chi altro salverebbe dell’attuale governo?
Il ministro Speranza ha una storia e una visione politica che non potrebbero essere più lontane dalle nostre. Gli do atto però di aver affrontato questa drammatica emergenza con sobrietà e senso di responsabilità. Il giudizio politico sul governo è collegiale, e va al di là dei singoli ministri. Per questo – al di là della stima personale per alcuni di loro – non posso salvare politicamente nessuno.

Avrebbe auspicato un coinvolgimento maggiore delle opposizioni nella crisi Covid?
L’ho chiesto dal primo giorno e non ho mai cambiato idea. Nell’emergenza, un’opposizione responsabile collabora con le istituzioni mettendo da parte la polemica politica. Per questo ho visto con molto favore gli appelli del Capo dello Stato e del Governatore di Bankitalia al coinvolgimento per la ripartenza di tutte le forze vive del paese, non solo la politica. Al principio ero disposto anche a considerare l’idea di partecipare agli Stati Generali voluti dal Presidente Conte. Ho rinunciato quando ho visto di cosa si trattava in concreto: non un tavolo di lavoro comune ma una passerella mediatica. Dall’inizio della crisi ci sono stati molti incontri con la maggioranza e il governo: sono state occasioni solo formali, nelle quali hanno ascoltato le nostre idee e le nostre proposte, ma poi hanno agito in tutt’altro modo. I risultati sono pessimi, l’Italia forse sta uscendo dalla pandemia – lo dico con molta cautela, perché il rischio della seconda ondata è dietro l’angolo – ma è sprofondata in una crisi drammatica per famiglie, lavoratori e imprese. Noi siamo sempre disposti a collaborare, a mettere a disposizione la nostra competenza, la nostra esperienza di governo, le nostre relazioni internazionali, non per aiutare il governo ma per aiutare l’Italia. Ma collaborare significa lavorare insieme. Invece il governo ritiene di essere autosufficiente.

Mes, fondo salva Stati: sull’Europa siete più vicini a Pd e Iv che non a Lega e Fdi. Cosa pensa di Zingaretti? E di Renzi?
Penso che entrambi non hanno problemi a tenere in piedi il governo più a sinistra della storia della Repubblica, un governo basato sull’accordo con i Cinque Stelle, contrarissimi al Mes e ad un rapporto costruttivo con l’Europa. L’Unione ha imboccato la strada che i Popolari Europei – e noi all’interno del Ppe – avevamo indicato. Un’ampia solidarietà europea, della quale l’Italia beneficia più di ogni altro paese. Siamo stati noi, io personalmente con il prezioso aiuto di Antonio Tajani, a lavorare per il Recovery Fund, mentre il governo si intestardiva sulla strada impraticabile degli Eurobond. Questo strumento da solo vale per l’Italia il doppio di tutte le risorse che il Governo Conte è riuscito a mettere in campo. Domani (mercoledì) parteciperò ad un vertice europeo dei capi di stato, di governo e dei leader politici del Ppe con la signora von der Leyen. In quella sede proverò a convincere i responsabili politici europei ad anticipare all’Italia almeno una parte delle risorse del Recovery Fund. Non ci possiamo permettere di attendere l’inizio del nuovo anno, come prevederebbero i meccanismi del bilancio europeo.

Come si valorizza l’identità liberale nel centrodestra a trazione leghista?
Il centro-destra a trazione leghista esiste solo nell’immaginario polemico dei nostri avversari. Siamo una coalizione nella quale ogni componente ha una propria storia, una propria identità, un proprio elettorato di riferimento. Noi siamo i garanti del profilo liberale, europeista, garantista del centro-destra. Sta a noi far crescere quest’area politica, in una sana competizione con i nostri alleati che può solo fare il bene della coalizione. Il nostro compito è chiamare a raccolta quella che ho definito l’altra Italia: un’Italia sana, produttiva, concreta, che alla politica chiede serietà e qualche volta un passo indietro, che dallo Stato si attende poche regole chiare, una tassazione leggera, meno burocrazia. Molti di questi sono nostri elettori che oggi non votano perché sono delusi dalla politica.

Il Sindaco d’Italia: secondo lei è ora di eleggere direttamente il premier?
Da sempre diciamo che gli elettori devono poter scegliere da chi essere governati. L’elezione diretta del premier potrebbe essere una strada, anche se io tendo a preferire un sistema presidenzialista, nel quale i cittadini eleggono il Capo dello Stato, che ha poteri rafforzati di guida politica.

Modello Genova sui cantieri. Si può replicare ovunque?
È la dimostrazione del fatto che le cose si possono fare, in Italia, a condizione di superare una burocrazia asfissiante e paralizzante. Per questo chiedo da tempo l’abolizione del sistema delle licenze e la sospensione del codice degli appalti. Sono condizioni indispensabili per far ripartire l’edilizia e dare il via ad un grande piano di infrastrutture, necessario per far ripartire l’Italia.

Stiamo entrando in una crisi economica spaventosa. Come se ne può uscire?
La prima cosa da fare è mettere le imprese in condizione di tornare a realizzare utili nel più breve tempo possibile, evitando fallimenti e licenziamenti che aggraverebbero la spirale recessiva. Dobbiamo sostenere i consumi diffondendo liquidità nel mercato.
Per questo abbiamo proposto che il 2020 sia un anno di tregua fiscale, nel quale siano bloccati tutti i pagamenti verso lo stato: tasse, imposte, ammende e quant’altro, e che allo stesso tempo sia lo Stato a provvedere al pagamento immediato dei debiti della pubblica amministrazione verso le imprese. Occorre anche realizzare la riforma del fisco, introducendo la flat-tax, uguale per tutti, famiglie e imprese, ad un livello molto più basso dell’attuale imposizione fiscale, in modo da produrre uno shock positivo per la ripresa. Il passaggio al nuovo sistema dev’essere anche l’occasione per la pace fiscale fra Stato e cittadini, consentendo di definire le pendenze fiscali a condizioni favorevoli.

Caso George Floyd: cos’è che l’ha colpita?
Come ogni persona civile, sono indignato e addolorato per le immagini della morte di George Floyd. Un atto di brutalità ancora più grave perché compiuto da un uomo in divisa. Però respingo con sdegno ogni generalizzazione. Rimarrò sempre un ammiratore degli Stati Uniti, che sono una grande democrazia liberale capace di correggere gli errori e di punire le colpe dei singoli. Sarà la giustizia americana a punire adeguatamente i colpevoli di questo e di altri gravi episodi successi nelle ultime ore. Proprio per questo sono indignato anche dalla strumentalizzazione dell’accaduto e dall’esplosione di violenza che ne è derivata. Non solo negli Stati Uniti ma anche in Europa sono all’opera minoranze eversive che – con il pretesto della giusta lotta al razzismo – vorrebbero mettere in discussione l’identità, la storia, lo stile di vita dell’occidente liberale e cristiano. Riscrivere la storia e la nostra stessa identità abbattendo i simboli e i monumenti. Vogliono riproporre in altri modi quello che non è riuscito al comunismo nel 20° secolo, distruggere alla radice i valori delle nostre società liberali, già messe in pericolo dalla crisi legata alla pandemia e dall’espansionismo ideologico, politico e finanziario della Cina. Mi preoccupa il fatto che una parte della sinistra in tutti il mondo dimostri simpatia culturale e politica per queste tendenze. La libertà, la democrazia, la sicurezza non sono mai beni acquisiti definitivamente. Questi fatti ci servono a ricordarlo.

Lo legge il Riformista?
Non solo lo leggo ma lo apprezzo molto, ed ho grande stima delle persone che hanno dato vita a questa avventura editoriale. Il vostro giornale occupa con intelligenza e con coraggio uno spazio che nel mondo editoriale italiano era scoperto.

Ieri il quotidiano spagnolo ABC ha accusato i 5Stelle di essere stati finanziati dal dittatore venezuelano Maduro. Se confermato questo non le pare uno squarcio drammatico sulla realtà di un movimento che si è sempre schierato contro i finanziamenti alla politica e che ha sempre condotto una politica estera a dir poco bizzarra?
Per noi, a differenza dei Cinque Stelle, il garantismo è una cosa seria, da applicare anche nei confronti di chi come loro vive sulla cultura dell’odio e del sospetto. Quindi non mi pronuncio su queste accuse se non per augurarmi che vengano chiarite al più presto. Voglio però fare una considerazione: se anche si trattasse di una notizia falsa, è resa credibile dall’atteggiamento dei Cinque Stelle nei confronti del regime di Maduro. Un regime illegale, antidemocratico, comunista che ha ridotto quel paese nella miseria e nell’oppressione. I Cinque Stelle non soltanto lo hanno sempre difeso, ma hanno impedito, essendo al governo, che l’Italia prendesse una posizione chiara sul Venezuela. Per colpa dei Cinque Stelle, siamo l’unico paese d’Europa e dell’Occidente a non condannare Maduro. Se poi i Cinque Stelle agiscono così non perché finanziati dal dittatore comunista ma perché queste sono le idee e la loro cultura, forse è ancora peggio. Confermano di essere gli eredi della peggiore sinistra del ‘900.