A Verona l’unico personaggio shakespeariano è stato Osimhen, autore di una doppietta irresistibile. La potenza del nigeriano, uomo ovunque dell’attacco del Napoli, è sembrata richiamare più le prodezze di Otello contro i Turchi che i languori dell’innamorato e inconcludente Romeo, ma Giulietta ne sarebbe stata comunque entusiasta; la curva sud del Verona, invece, deve aver sofferto il doppio viste le fobie razziste che la caratterizzano da anni. Il calcio italiano continua a far finta di niente, derubricando la violenza, esibita con cori e striscioni indegni, come “follia di pochi”, mentre si tratta di una mala pianta ben radicata in troppi stadi.

Ennesimo segno di declino della serie A, una volta “campionato più bello del mondo” e oggi periferia modesta e indecorosa del football europeo. Fuori dal campo tra razzismi vari, falsi in bilancio e plusvalenze farlocche, commissariamenti e litigi condominiali in Lega lo spettacolo è deprimente. Sul rettangolo di gioco, la messa diventa requiem: il VAR ha la stessa affidabilità dell’orario della circumvesuviana e le squadre italiane fanno da comparsa in Europa. La Juve, che pure è prima in campionato per rendimento nel 2022, è sembrata una squadretta alle prime armi contro gli spagnoli del Villareal, solidi e ben organizzati ma attualmente settimi in Liga. Una mediocrità imbarazzante quella dei bianconeri, ma ben condivisa visto che l’equilibrio del campionato è dovuto più alla debolezza che alle qualità delle pretendenti al titolo.

Tra le quali si è reinserito il Napoli, che ha davanti a sé l’Udinese e poi un trittico da paura, contro Atalanta, Fiorentina e Roma, che dirà molto sul destino di questa stagione. La media attuale di 2 punti a partita non basta per il titolo, ma il recupero di Osimhen, Anguissa e Koulibaly (con i quali si viaggia a 2,5 a partita) lascia qualche speranza. Per Insigne e Mertens è l’ultima occasione di vincere, the last dance come per i Chicago Bulls, prima della grande rifondazione, e sarebbe bello dirsi addio avvolti nel drappo tricolore. Ancora più bello sarebbe tornare a pronunciare la parola PACE, che la guerra in Ucraina continua a martoriare con immagini devastanti di morte e terrore.

Il sonno della ragione produce mostri, e in Europa oltre che un sentimento encomiabile di solidarietà e accoglienza verso le vittime ucraine comincia ad affiorare un astio generalizzato verso la cultura russa che non promette nulla di buono. Il volto di Dostoevskij, apparso sulla facciata dell’Augusto Righi a Fuorigrotta, diventa allora un richiamo necessario per non confondere i popoli e i governi, e per chiedere il contributo di tutti gli uomini e le donne di buona volontà alla pace. Ancora meglio sarebbe stato raffigurare Lev Tolstoj, perché nel suo grande affresco della guerra napoleonica c’è una denuncia dell’insensatezza della guerra che dovrebbe rappresentarci tutti.
Oggi più che mai.