Il Sì al referendum giustizia
“Via la stagione della legge Severino, l’abuso d’ufficio serve solo a paralizzare gli enti pubblici”, parla Felice Laudadio
“Volete voi che sia abrogato il Decreto Legislativo 31 dicembre 2012, n. 235 (Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi, a norma dell’articolo 1, comma 63, della legge 6 novembre 2012, n. 190)?”
Il quesito numero 6 del referendum sulla giustizia promosso dai Radicali interroga i cittadini sull’abolizione del decreto Severino, cioè di quella norma voluta nel 2012 dall’allora guardasigilli Paola Severino con l’illusione di contrastare in maniera decisa il fenomeno della corruzione. Illusione perché nei fatti, almeno stando alle statistiche, non si è avuto l’impatto che ci si prefiggeva di avere. La legge Severino prevede, in caso di condanna, incandidabilità, ineleggibilità e decadenza automatica per parlamentari, rappresentanti di governo, consiglieri regionali, sindaci e amministratori locali. Ha valore retroattivo e prevede, anche a nomina avvenuta regolarmente, la sospensione di una carica comunale, regionale e parlamentare se la condanna avviene dopo la nomina della persona in questione.
Per gli amministratori di un ente territoriale è sufficiente la condanna in primo grado non definitiva perché si applichi la sospensione che può durare fino a diciotto mesi. Insomma, una pesante ingerenza nell’amministrazione della cosa pubblica che nei fatti non si è rivelata l’arma vincente contro la corruzione. Anzi. Nella stragrande maggioranza dei casi la legge è stata applicata contro sindaci e amministratori locali sospesi o costretti alle dimissioni per processi dai quali sono poi usciti assolti. Con il Sì al quesito referendario, dunque, si vota l’abrogazione dell’automatismo contenuto nel decreto Severino. Significherebbe restituire discrezionalità ai giudici così da decidere, di volta in volta, in caso di condanna, se sia necessario o meno applicare anche l’interdizione dai pubblici uffici.
«Non sarà un liberi tutti», chiarisce Felice Laudadio, avvocato e docente universitario che con Il Riformista accetta di svolgere una riflessione a sostegno della ragioni alla base della consultazione popolare promossa dai Radicali.
«Il referendum – spiega Laudadio in premessa – ha un contenuto abrogativo ma anche propositivo». E questa premessa vale tanto più per il quesito sull’abrogazione del decreto Severino. «Su questa disposizione una riflessione va fatta perché è chiaro che i reati, con le garanzie del giusto processo, vanno sanzionati ma è necessario che venga espiata una pena collegata all’accertamento della responsabilità con la misura restrittiva prevista dal codice penale», osserva. Se le limitazioni dei diritti politici collegate alla sentenza non definitiva per reati di 416 bis o comunque legati alla criminalità organizzata possono avere un loro fondamento, anche in proporzionalità, rispetto all’obiettivo della lotta alla mafia, nel caso dei reati contro la pubblica amministrazione una riflessione come quella proposta dal quesito referendario è più che mai necessaria.
«Non v’è dubbio che la fattispecie corruttiva sia un disvalore nel sistema delle relazioni sociali e umane – afferma il professor Laudadio- ma che determini la perdita del diritto di elettorato attivo e passivo in aggiunta alla sanzione penale collegata alla commissione del reato deve essere oggetto di una riflessione, da parte del legislatore, ispirata ai criterio generale di proporzionalità della limitazione rispetto alla gravità della condotta». Il tema è delicato e spinoso. È di quelli per cui è facile gridare all’untore e al corruttore. «Da trent’anni in questo Paese abbiamo le stesse litanie», afferma Laudadio. «Adesso invece è necessario che il popolo rifletta anche sulla razionalità e sulla proporzionalità di questa misura – aggiunge – spingendo i titolari del potere legislativo a una rilettura ispirata a criteri appunto di razionalità e proporzionalità della legge Severino che, a mio parere, va riscritta rispetto all’attuale contingenza». No agli automatismi di limitazioni e pene accessorie, quindi. Sì a valutazioni caso per caso. «I reati di pubblica amministrazione, la legge Severino li equipara tutti. Una misura data nell’empito del momento», osserva il professor Laudadio sottolineando come i tempi adesso siano cambiati e maturi, anche alla luce dell’esperienza di questi anni, per una riflessione come quella proposta dal referendum. «L’incandidabilità non può essere fissata ex lege ma, come un diritto fondamentale, va ancorata al giusto equilibrato processo».
Impossibile, poi, non considerare la complessità e l’inutilità, nella sfera dei reati contro la pubblica amministrazione, del reato di abuso d’ufficio. Secondo dati raccolti dall’Anci, l’associazione nazionale dei Comuni italiani, dei 100mila fascicoli aperti negli ultimi dieci anni il 60% si è concluso con archiviazioni e proscioglimenti chiesti dal pubblico ministero, il 20% si è estinto in sede di udienza preliminare, il 18% è arrivato a dibattimento e solo il 2% dei procedimenti si è concluso con una sentenza definitiva di condanna. «La previsione dell’abuso in atti di ufficio, anche nella riforma che stanno tentando, è di difficilissima applicazione perché bisogna provare il dolo nella violazione di legge, il dolo nell’inflizione dell’ingiusto danno o nell’erogazione dell’ingiusto vantaggio – spiega il professor Laudadio – Quanto alla violazione di leggi e regolamenti a cui fa riferimento, bisogna considerare che in Italia abbiamo qualcosa come centinaia di leggi e regolamenti». «L’abuso di ufficio – osserva – va abrogato. Crea una impasse nell’amministrazione perché terrorizza i dirigenti, i quali non firmano perché temono l’accusa di abuso in atti di ufficio e tutto quello che ne deriva in conseguenza anche della famosa legge Severino».
«Non significa un liberi tutti – precisa – ma significa infliggere sanzioni per le condotte di maggiore disvalore sociale (la corruzione, la concussione, il peculato, il falso). L’abuso in atti d’ufficio è oggettivamente un “reato ombra” che crea solo lotte nell’amministrazione e inutili appesantimenti. E come tutti i reati generici, che non hanno una definizione tassativa delle condotte, consente un accesso su condotte che potrebbero essere sanzionabili da parte del giudice amministrativo o da parte del giudice della responsabilità erariale. Il fatto penale – conclude Laudadio – è un discorso che non sta in piedi anche perché i risultati sono evidenti e in un certo numero di inchieste la percentuale è infinitesimale. Valutando costi e benefici, i primi superano ampiamente i secondi».
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