Zitti e buoni
Budget militare fuori dal patto: così l’UE prepara l’Eurodifesa
Affondo di Vance contro l’Europa alla Conferenza di Monaco. All’Unione serve un sussulto d’orgoglio: per ora è nell’angolo

Le novità che giungono dal vertice sulla sicurezza di Monaco parlano alla storia. E dicono essenzialmente due cose: l’Europa deve imparare a fare da sé, contando meno sugli americani. E poi che le spese per la difesa sono tanto importanti da andare fuori, da oggi in avanti, dai vincoli del patto di stabilità. Possono – anzi : devono – aumentare senza che questo intacchi la tenuta complessiva dei saldi di bilancio e delle partite contabili delle singole nazioni europee.
Una novità, questa, di cui si è fatta portavoce la stessa Presidente della Commissione, Ursula von der Leyen. Una novità che il governo italiano ha accolto con « soddisfazione » e che riguarda «nuove iniziative volte a incrementare gli investimenti nel settore della Difesa», a partire «dall’esclusione di tali spese dal Patto di Stabilità», come richiesto da tempo dall’Italia. A porvi tanto di sigillo di ceralacca è una nota di Palazzo Chigi. Per la Presidenza del Consiglio «si tratta di un primo, fondamentale passo nella giusta direzione, che dovrà essere seguito anche dall’istituzione di strumenti finanziari comuni».
Il governo si dice poi «pronto a lavorare costruttivamente con le istituzioni europee e con gli altri Stati membri per raggiungere insieme questi importanti obiettivi», partendo dalla prossima presentazione del Libro bianco della Difesa dell’Ue. Il disimpegno americano, d’altronde, comporta una compensazione in termini di risorse, tecnologia, investimenti notevolissima. E un vero e proprio salto culturale, quando parliamo di modello di difesa europeo: serviranno una politica estera comune, un esercito europeo e una forza di intervento rapido, capace di essere mobilitata e diventare operativa in pochi giorni.
Quando il vicepresidente Vance dice che «Per gli Stati Uniti è importante che l’Europa si faccia avanti mentre Washington si concentra su aree del mondo che sono in grande pericolo», parla della necessità di rafforzare gli arsenali, formare personale militare giovane e qualificato ma soprattutto tornare a progettare sistemi d’arma competitivi con quelli americani dei quali abbiamo goduto nell’ambito NATO. Non può più essere messo tutto in cassa comune. E il gap da colmare è ampio. Con un bilancio di oltre 814 miliardi di dollari e una forza di 3,4 milioni di militari, gli Stati Uniti guidano saldamente la lista delle potenze militari mondiali.
Stando ai dati del dipartimento alla Difesa, gli Usa hanno 4.800 siti militari sparsi in più di 160 Paesi. In Europa, sono dispiegati circa 100.000 militari, di cui poco piu’ di 65.000 in modo permanente, mentre il resto e’ personale a rotazione e soprattutto rinforzi. L’Italia e’ il secondo Paese, dopo la Germania, per presenza militare americana. Dopo il monito del vicepresidente JD Vance che gli Usa potrebbero ritirare parte delle loro forze, al quartier generale della NATO si è già cominciato a valutare da dove potrebbe iniziare il disimpegno Usa. Secondo un diplomatico, è probabile che i primi a partire saranno i 20mila uomini e donne inviati nel Vecchio continente, a rinforzo del contingente di 80mila militari già presenti, all’indomani dell’invasione Russa dell’Ucraina, il 24 febbraio del 2022.
Le forze americane schierate in modo permanente in Europa, esclusi la Guardia Nazionale e il personale civile che lavora per il Dipartimento della Difesa, raggiungono un totale di circa 65.600 militari, secondo i dati del Dipartimento della Difesa, al 30 aprile 2024. Questo il dispiegamento delle forze: Germania 34.894; Italia12.319; Regno Unito 10.180; Spagna 3.253; Turchia 1.683; Kosovo 600 (nell’ambito della forza NATO Kfor). Il rinnovo tecnologico sarà prioritario, nell’agenda dei prossimi mesi per il Ministero della Difesa italiano e per tutti i partner europei. Che di recente ha invece mostrato segnali contraddittori, provando a fare saving su talune forniture, pur importanti per la sicurezza e l’efficacia delle unità combattenti.
Solo per citare un esempio, le europee Theon Sensors e Thales – che da sole producono circa il 60% dei visori notturni utilizzati nel mercato occidentale essendo le fornitrici dei soldati della maggioranza dei Paesi NATO e, nel caso di Theon, fornitrice di componenti per i visori utilizzati dagli US Marine Corps – considerati i migliori visori al mondo e finora usati come punto di riferimento tecnico dall’Esercito Italiano, sarebbero state escluse dall’ultima gara. L’Italia sarebbe la prima tra le grandi potenze militari a considerare l’ipotesi di abbandonare i prodotti considerati standard ed utilizzati da NATO, per passare a prodotti probabilmente poco più economici ma non altrettanto testati sul campo.
Solo un esempio di come la burocrazia militare debba oggi tornare a fare i conti con l’impego operativo, con la necessità di garantire da subito la sicurezza dei militari italiani e quella di tornare a investire, come ribadito ieri dal ministro Guido Crosetto, con un giusto recupero sul passato. Il 2% sul pil italiano, e in prospettiva ravvicinata il 3%, deve essere il nuovo, imprescindibile traguardo. Dopo le parole del vicepresidente americano JD Vance, non c’è più tempo da perdere.
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